Capitolo 16

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Non risposi, voltandomi e dirigendomi con il biglietto in mano ad aspettare il treno. Sentivo i suoi passi dietro i miei, e quando mi fermai, le sue mani erano sui miei fianchi. Erano calde, e si erano posate leggermente su di essi, quasi come se avessero paura di ferirmi. "Ab ti prego" assomigliava ad una supplica, come se avesse veramente bisogno di me. "Mi dispiace" mi ricomposi freddamente, e mi girai verso di lui, per poterlo guardare negli occhi "Non mi posso più fidare di te" continuai per poi rivoltarmi verso le rotaie in attesa del treno. "Lo sai cazzo!" Sussultai quando urlò improvvisamente, ma continuai a guardare davanti a me. "Lo sai anche tu, anzi lo sai meglio di me che senza di te avrei fatto il doppio delle cazzate che ho fatto con te" disse cercando di addolcire di più il tono. Allungò una mano per sfiorarmi il polso, ma mi scansai immediatamente "Non sono la tua fottuta babysitter Riccardo!" Ora ero io che stavo urlando, un' altra volta. In quei pochi giorni avevo perso troppe volte la pazienza, non riuscivo a rimanere composta sotto il suo comportamento così maschilista e lunatico. Anzi non riuscivo proprio a sopportarlo, lo trovavo stressante: in poche ore riusciva a sciuparti tutta l'energia che avevi e l'attimo dopo cambiava umore, e tu eri costretto a stargli dietro, ormai al limite delle forze. Avevo capito bene il suo meccanismo, ed ero fin troppo stanca di lasciarmi prosciugare ogni volta. Mi voltai verso un luogo sconosciuto cominciando a camminare. Il treno si vedeva in lontananza e io avrei pagato di tutto per velocizzare le cose. "No hai ragione. So che hai sentito quando parlavo con Sara, ma hai voluto sentire solo quello che andava bene a te per potertene andare!" Mi afferrò per il polso con tanta rabbia, che quasi tremavo per la paura. Mi fece girare di scatto, capovolgendo la situazione e ritrovandomi con la faccia schiacciata sul suo petto. Mi staccai quel che bastava per poterlo guardare negli occhi, ma data la vicinanza, abbassai la testa imbarazzata. "Vuoi sapere... cosa ho aggiunto di bello su di te?" Volevo saperlo? Volevo veramente sapere cosa pensava di me questa volta? No, questa volta no: avevo paura, paura che ciò che sarebbe riuscito a dire, avrebbe potuto colpirmi troppo, arrivarmi dritto al petto e non uscirne più. E io non volevo portarmi quel peso dentro: ormai avevo imparato a conoscerlo, avrebbe detto qualcosa al quale non avrei potuto resistere, e mi sarei legata involontariamente a lui. Un rumore assordante mi fece risvegliare dai miei pensieri: il treno era arrivato in stazione, e senza pensarci due volte mi staccai da lui e salii sul mezzo con tutti i miei rimorsi. "Mi dispiace Rick, non voglio saperlo."

Entrai nella cabina, guardando fuori dal finestrino verso un punto indefinito, quando il mio sguardo si posò su di lui: bello come sempre, anche se sembrava triste, si mise insistentemente le mani nei capelli, si sedette nella panchina di pietra che sembrava così fredda, come spesso lo era lui. E infine si appoggiò sulle ginocchia prendendosi la testa tra le mani. Il treno annunciava la sua ultima chiamata, mentre io mi torturavo dentro. Sapevo che non era quello che in realtà volevo, e allora perchè lo facevo? Perchè ero saita su quel treno con tanta convinzione? Ero certa che non era ciò che volevo: io volevo ancora quel contatto, quei sorrisi, quegli abbracci, quelle litigate, io volevo lui. E basta. Mi alzai dal mio posto e presi di fretta lo zaino, corsi per la cabina e, mentre le porte stavano per chiudersi, riuscii ad infilarmi in mezzo, per poi cadere con la faccia sull'asfalto. Mi alzai distrattamente mettendomi lo zaino in spalle e avvicinandomi al ragazzo con la testa tra le mani. "Andiamo?" Gli chiesi freddamente, ma sapevo che c'era un pizzico di dolcezza nella mia domanda. Alzò la testa guardandomi quasi incredulo, per poi comporsi sulla panchina. Si alzò da essa posando le mani sui miei fianchi: un sorriso cresceva sul suo volto, mentre il mio era quasi paralizzato sotto il suo tocco. Mi abbracciò di colpo stringendomi delicatamente e non potei far altro che ricambiare il suo abbraccio. Si staccò attaccando la sua fronte alla mia e gli posai una mano sua mascella: era tirata, quasi come se si trattenesse, indecisa, come se avesse una mente tutta sua. Ho sempre pensato che dal volto delle persone, sopratutto dalla mascella, riesci a capire se sono arrabbiati, felici, tristi. Lui era indeciso. Chiusi gli occhi assaporandomi il momento e quando li aprii le sue labbra sfioravano le mie. Erano semi aperte e passavano delicatamente sulle mie. Aveva il respiro irregolare, mentre la mia mano gli accarezzava la guancia. Ci volevamo a vicenda, in quel momento c'eravamo solo noi. Ma non era ciò che volevo io in quel momento, non volevo quel bacio sapendo che sarebbe finito in un'angolo scuro dei suoi ricordi. No io volevo rimanere nella parte felice, volevo essere quella che l'avrebbe cambiato, in un modo o nell'altro. Mi staccai da lui abbassando la testa. "Si, a-andiamo" disse evidentemente in imbarazzo, mentre ci incamminavamo verso l'uscita della stazione.

Aprimmo la porta di casa Brinnò, e Riccardo si diresse subito in stanza per una doccia calda, mentre io mi sedetti sul divano di fianco ad Edoardo. "Sono ancora qui" dissi sospirando, anche se l'idea non mi dispiaceva "Già, non mi dispiace, sei simpatica e voi due mi fate ridere" ridacchiò voltandosi a guardarmi. Ci fu un minuto di silenzio, che passammo a guardarci e a ridere, senza saperne il motivo. Ma ad tratto si fermò a fatica, guardandomi seriamente. "Io te l'avevo detto sai? L'avevo urlato, ma tu non mi hai sentito." Scosse le spalle alzandosi dal divano, mentre lo seguivo con lo sguardo confusa. "Cosa?" Chiesi innocentemente mentre mi tendeva una mano per aiutarmi ad alzarmi. La afferrai rimettendomi in piedi davanti a lui. "Io lo conosco da quando eravamo piccoli, Riccardo. Lo conosco troppo bene, e so per certo che sarebbe corso da te, in qualsiasi caso." Sorrise per poi lasciarmi da sola nel salone di quella casa. Mi avviai pensierosa verso la nostra stanza, trovando Riccardo già vestito seduto sul letto.

"Quando vuoi ripartire?" Sarebbe stato così sempre, forse anche quando saremo tornati a Roma: litighiamo prendendo decisioni affrettate, oppure diciamo cose che in realtà non pensiamo, ma in fondo stavamo diventando amici incondizionatamente dal nostro volere. E ritorneremo sempre ad abbracciarci, magari con difficoltà, ma in un modo o nell'altro ci saremo riusciti. Sorrisi tra me e me a quel pensiero, in fondo, lui non doveva sapere che l'avrei sempre perdonato.

Questa decisione di pubblicare ogni domenica è una cazzata non trovate? Ero un po' indecisa su questo capitolo, pensavo che forse sarebbe stato meglio far partire Abigail. Ma non era quello che volevo io e di conseguenza neanche quello che avrebbe voluto lei. Il loro viaggio dovrebbe continuare e finire a Roma, me l'ero promesso. Voi cosa ne pensate?
LukyGirl xx

Vagabonda a Parigi || Riccardo RidolfiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora