"Allora?" chiese dopo svariati attimi di silenzio "Perchè li-" non riuscii a finire la frase che un bussare alla porta lo fermò. Nella stanza entrò Edoardo, ancora assonnato, con le mani in testa borbottando qualcosa di incomprensibile. Lo ringraziai mentalmente per avermi salvato da quella situazione, non mi piace parlare dei miei genitori naturali, neanche dei miei adottivi se per questo. Restò un minuto, se non più, in silenzio a fissarci"Sentite, mi dispiace dirvelo, ma tra poco arriveranno i nostri genitori e loro, ecco..." appresi subito ciò che voleva dire, così mi alzai ed iniziai a sistemare la stanza e a preparare la valigia. "Si bhe, loro non sanno che siete qui e in teoria, questa sarebbe la stanza mia e di mia sorella quindi" abbassò lo sguardo, mentre sul mio volto si formava un sorrisetto incontrollabile. Mi avvicinai cautamente a lui, poggiandogli una mano sul viso vellutato."Non ti preoccupare, ora che ne andiamo: grazie per averci ospitato qui, e grazie mille per la festa di ieri sera" detto ciò sorrisi, e ritornai a fare ciò che stavo facendo in precedenza.
Bastarono cinque minuti, non di più, e ci ritrovammo nuovamente nella piccola auto di Riccardo. Dal vialetto, Edoardo e sua sorella ci salutavano, agitando le mani nell'aria. Sorrisi, sapendo che mi ero appena fatta dei nuovi "amici". La macchina partì, e mi ritrovai di nuovo, da sola, con Riccardo. Iniziai a guardare fuori dal finestrino, aspettando con ansia che lui iniziasse a parlare:non volevo parlare dei miei genitori, o della festa di ieri sera, volevo solamente scherzare con lui, ridere e fare battutine inappropriate. Ma questo silenzio veramente non lo sopportavo. Iniziai a giocherellare con le mie dita, diventando sempre più nervosa; spesso lanciavo delle occhiatine a Rick, notando che, fissava apatico la strada, come se non volesse ne' parlare ne' tanto meno, guardarmi. Volevo tentare, oggi volevo rischiare più del normale: guardai attraverso il finestrino il suo riflesso "S-sono simpatici Edo e sua sorella" sorrisi, voltandomi a guardarlo, eppure la sua espressione rimaneva sempre uguale, il suo sguardo puntato dritto sulla strada. Aprii bocca per continuare ciò che stavo dicendo, per aprire un discorso, ma lui mi bloccò in partenza. "Stai zitta. Ti prego, non voglio parlare con te" sussurrò. La mascella era tesa, lo sguardo era perso, ed io ero ferma. Lo fissavo spaesata mentre cercavo di ripercorrere, nella mia menta, tutto ciò che avevamo fatto dalla mattina, per capire dove avevo sbagliato. Eppure non trovai nulla, nessun imperfezione, niente di niente. Inarcai le sopracciglia, spostandomi di poco dal sedile, in modo da poterlo guardare meglio. "Scusa? No fammi capire cos'ho fatto." chiesi duramente, trattenendomi dall'urlargli in faccia, con lui c'era sempre qualcosa che non andava. Fermò la macchina, girandosi verso di me. Aveva il respiro corto e mi fissava confuso, quando prese a parlare, era affannato, quasi come se avesse corso "Io non capisco più niente Ab! Tu non sai quanto vorrei odiarti in questo momento, però non ci riesco. Appena mi guardi tutte le cose che vorrei dirti spariscono e non riesco assolutamente a ricordarmene una. Guarda in questo momento: ci sono troppe cose che vorrei dirti, eppure quando mi guardi l'unica cosa che penso è... lascia stare" finii sbuffando, mentre io rimanevo impassibile sotto le sue parole. Fece per mettere in moto la macchina, quando lo fermai. Aprii la portiera, presi la mia borsa e la mia chitarra, e scesi dalla macchina. Non avevo soldi, non avevo nulla, ma l'unica cosa che volevo era andarmene da lui, dovevo assolutamente allontanarmi. Non potevo più stare con lui, in poco tempo riusciva a toglierti tutta la tua positività dal corpo, e rimanevi apatica, come lui. Mi raggiunse dov'ero seduta al ciglio della strada. Rimase fermo in piedi davanti a me, facendo ombra sulla mia piccola figura accucciata "D-dai Ab, sali in macchina" disse dolcemente, ma questa volta non mi sarei mossa di li, no questa volta sarei rimasta ferma. "Vattene." pronuncia solo, tenendo sempre lo sguardo fermo sull'asfalto.
"Cosa?" chiese imbarazzato dopo alcuni attimi di silenzio. "Vattene! Non voglio più vederti o sentirti, non voglio più sapere nulla di te. Voglio che tu esca dalla mia vita, che salga su quella dannatissima macchina e che te ne vada via! Sei la persona più lunatica che io conosca: prima sei felice e sogno di trasferirci a Torino, poi mi urli contro; un attimo prima mi fai un complimento e l'attimo dopo è come se non esistessi; prima cerchi di baciarmi e poi ti chiudi in bagno. In due giorni sei riuscito a dirmi le cose più brutte che potessero uscirti dalla bocca, e ora dici che vorresti odiarmi?! Bene! Odiami pure. Basta che tu te ne vada. Questa volta mi hai veramente fatto male, ora puoi esserne fiero." gli urlai contro, alzando lo sguardo da terra e dicendogli tutto, guardandolo dritto negli occhi. Ero ormai in piedi, davanti a lui, mentre una lacrime mi bagnava la guancia. Allungò la mano, per accarezzarmela, ma subito mi scansai, guardandolo delusa e schifata. Arretrò avvicinandosi alla macchina "Mi dispiace" sussurrò prima di entrare nel veicolo e di lasciarmi lì, in mezzo alla strada. Mi sedetti di nuovo a terra, scoppiando in un pianto disperato: mi sentivo persa, sola, ed era tutta colpa mia. Lo sapevo benissimo che era colpa mia se mi trovavo in questa situazione ora. Tanto ero abituata a cavarmela da sola, fin da quando ero piccola, me la sono sempre cavata da sola. Nessuno era al mio fianco nel momento del bisogno. Con un coraggio inaspettato, mi alzai da terra, pulendomi accuratamente i vestiti, e mi avvicinai al ciglio della strada. Dalla tasca del giubbotto tirai fuori la mano e iniziai chiamare qualsiasi macchina mi passasse davanti.
Passò un bel po' di tempo prima che una macchina si fermasse, eppure avevo ancora il volto rigato dalle lacrime. Una macchina familiare di colore blu, si avvicinò a me, e si fermò esattamente al mio fianco. Mi avvicinai cautamente, mentre la macchina abbassava i finestrini oscurati. Quando fu completamente giù, potei scrutare l'interno di essa. due signori sulla cinquantina sedevano davanti, mentre due bambini sui cinque anni erano appoggiati sui sedili posteriori, intenti a giocare ad un videogioco. I sedili erano blu anche all'interno e la macchina era decisamente in disordine. "Hai un bruttissima cera piccolina" disse la donna dalla dolce voce "Dove sei diretta?" Chiese poi, mentre io cercavo di forzare un sorriso "A Roma" risposi semplicemente, osservando la famiglia felice. "Bene, anche noi siamo diretti lì, forza salta su!" L'uomo aveva la voce gonfia e roca, molto diversa da quella della moglie. E in quel momento mi sentii libera di tornare a casa in pace, eppure qualcosa mi mancava.
Ciao a tutti! Scusate se non ho postato prima ma ho avuto diversi casini. Vi dico già che nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa, spero bella per voi.
Buon anno a tutti, e scusate ancora per la mia interminabile asseza!
LukyGirl xx
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Vagabonda a Parigi || Riccardo Ridolfi
FanfictionAbigail Celli è una normale ragazza, che ama la musica più di se stessa. Si trova a Parigi, chiusa in una metropolitana per raccogliere dei soldi e tornare a casa. Farà la conoscenza di un ragazzo, che la aiuterà a tornare a Roma e chissà, magari le...