Margaret... Era proprio lei. Teneva in mano una chiave d'argento e stava dando ordini alla ragazzina diabolica.
«Mi dispiace per quanto è successo Faith.» disse con gli occhi rassegnati. «Opaleye, cancellale la memoria.»
Io indietreggiai di qualche passo, incredula. «Ma che stai dicendo?! Non voglio che mi si cancellino i ricordi.» protestai spaventata.
Margaret tacque, aspettando che il suo demone mi raggiungesse. Non avevo intenzione di farmi toccare, per cui scappai via. Corsi per il giardino, provando a raggiungere la scuola il prima possibile; se tutti gli altri l'avessero vista, non avrebbe potuto cancellare la memoria a tutti.
Una palla di fuoco volò oltre la mia testa, incendiando un albero e facendolo cadere sulla mia strada.
«Stai ferma, va bene? Ci vorrà solo un minuto.» disse e scattò in avanti, la mano tesa a risucchiare i miei ricordi.
In un attimo accadde.
Prima che potesse anche solo sfiorarmi, la mia chiave prese a brillare e il demone fu respinto via.
«Accidenti ragazzina! Non posso lasciarti sola un momento.»
Aprì gli occhi e con mia sorpresa notai che Armaros era davanti a me, la sua pupilla mi scrutava da sopra una spalla.
«Ehy, insetto! Come ti viene in mente di toccare la mia contraente?» urlò alla ragazzina.
«Ma tu sei A-Armaros.» realizzò. «Non avrei fatto nulla se avessi saputo che era la tua contraente.»
«Opaleye che...?»
Anche Margaret arrivò, ma si fermò non appena vide Armaros. «Tu chi sei?» chiese minacciosa.
«È uno degli altri demoni maggiori: è il demone del casato Blacke.» spiegò Opaleye.
«Quindi anche tu sei una contraente.» mi guardò Margaret, la chiave in mano e gli stivali sporchi di neve.
«Già.» tagliai corto. Ero delusa.
Margaret era la mia migliore amica da tempo immemore, eppure non si era fatta scrupoli ad ordinare al suo demone di cancellarmi la memoria.
«Dovrei ucciderti, dannta!» gridò Armaros e Opaleye si mise a tremare.
Ora che lui era qui, potevo chiaramente distinguere la diffrrenza di potere: l'aurea di Armaros inglobava quella di Opaleye, che sembrava quasi non esistere.
«Lascia perdere.» tagliai, voltandomi e andandomene.
Non avevo voglia di parlare con Margaret e per tutto il resto delle lezioni la evitai.
Andai a parlare con Laurence di quello che era successo, raccontandogli tutto per filo e per segno.
«Così anche Margaret Campbell è una contraente.» concluse lui, riflettendo su quanto avevo detto. «Dovrei parlarci anche io a questo punto.»
«Fa attenzione al suo demone... È strano.» lo avvertì, ricordando gli occhi sadici di Opaleye.
Come per magia, alle nostre spalle comparvero Margaret e la sua ragazzina diabolica.
«Ma guarda! I contraenti sono due!» osservò deliziata Opaleye.
«Laurence, anche tu allora. Ero sicura che a scuola ci fosse qualcun altro come me.» sorrise Margaret e poi si rivolse a me. «Faith, io ti chiedo scusa.»
Abbassai lo sguardo. «Pensavo fossi mia amica Margaret.»
«Lo sono, infatti!» insistette lei.
Io non risposi e limitai a fissarla.
«Opaleye!»
Una voce femminile ci interruppe tutti ed Elettra si fiondò ad abbracciare la ragazzina.
«Elettra! Da quanto tempo!» esclamò di ricambio Opaleye.
«Oddio, no.» alzò gli occhi al cielo Armaros.
«Sei adorabile come al solito Opa!» continuò Elettra, stringendosela.
«E tu sempre bene equipaggiata!» ridacchiò l'altra, la testa fra il seno di Elettra.
«Vi prego, basta. Altrimenti qui qualcuno vomita.» commentò acido Armaros.
«Non preoccuparti, ce ne stiamo andando.» conclusi, uscendo di scuola.Nel pomeriggio venne a trovarci Crystal e Armaros non perse tempo per divertirsi un poco. Io mi limitai solo a salutare, scambiare due chiacchiere e via, ma era chiaro per chi mia cugina fosse venuta.
Decisi di andare ad allenarmi, per cui infilai il completo e i pattini nel borsone e mi diressi verso la porta d'ingresso.
Lasciai un foglietto a mia nonna: "Non torno a casa per cena. Ci vediamo più tardi."
Non incontrai molta vita durante il tragitto, apparte qualche gatto che mi fissava con i suoi occhioni gialli. Nevicava ancora e la cosa mi sorprese: non aveva mai nevicato così tanto e se fossimo andati avanti, probabilmente avremmo avuto problemi di circolazione.
Quando arrivai alla pista, però, la trovai chiusa. Accanto alle due enormi porte dell'ingresso vi era un catenaccio, con su scritto "Chiusa per ristrutturazione."
«Mi prendi in giro? Oh, andiamo!» sbottai, dando un calcio al metallo della porta. «Dove vado ora?»
Me ne stavano capitando una dopo l'altra e mi domandavo ancora cosa avessi fatto di male. Presi in considerazione l'idea di tornare a casa, ma non mi andava di stare con mia cugina e Armaros; allora camminai per le strade di Londra, sotto i raggi della luna piena. Non era molto sicuro andarsene in giro con quel buio, ma avevo davvero bisogno di sbollire la rabbia e di lasciarmi alle spalle quella giornata orrenda.
«Dannazione!» calciai una lattina, facendo scappare alcuni gatti. «Non me ne va bene una!»
«Oh, immagino.»
Mi voltai sorpresa, incorciando lo sguardo di una vecchia sul ciglio della strada.
«Come scusi?» domandai incerta.
«Ti ho sentita parlare e mi sono permessa di origliare, cara.»spiegò.
La osservai meglio: era vestita di viola, con tanto di cappello e borsetta ornati da fiorellini di stoffa; era uno stile simile a quello di Mary Poppins.
«Ti sei persa cara? Fa abbastanza freddo qui fuori... Magari posso invitarti per una tazza di té.» si avvicinò, prendendomi una mano con la sua, grinzosa.
Rabbrividì al contatto con la pelle fredda e constatai che una bella tazza di té non mi avrebbe fatto male. «Magari...» iniziai, ma mi bloccai.
"Ma che sto dicendo? È un'estranea."
«Magari un'altra volta, a casa mi staranno aspettando.» dissi cercando di essere convincente, divincolandomi dalla presa. Mi voltai, ma mi bloccai immediatamente dal momento che un barboncino di bloccava la strada ringhiando.
«Oh! Al mio piccolo Fifì non devi piacere molto.» continuò la vecchia. «Come ho detto, perchè non vieni a predere qualcosa di caldo con me?» insistette la vecchia.
A quel punto mi accorsi che c'era qualcosa che effettivamente non andava: forse il fatto che le strade fossero deserte, forse la cadenza lasciva della nonna o forse il barboncino che cominciava ad ingigantirsi.
"Un momento!"
Guardai con orrore il barboncino diventare delle dimensioni di un cavallo e la vecchia dietro di me sciogliersi.
«Abbio avuto fortuna a trovarti da sola e senza il tuo demone! La chiave... La chiave...» mi ringhiò contro Fifì. «Che ne dici di darcela?»
Non aspettai un secondo in più. Corsi, sorpassando ciò che era rimasto della vecchia, ossia una pelle umana, e mi diressi verso la metropolitana.
«È un demone! Perchè diamine non ho avvertito la loro presenza?» mi domandai ad alta voce, scivolando sul ghiaccio.
Ero sicura di aver percepito chiaramente l'aura di Armaros, ma quella di quei mostri era rimasta celata.
Inoltre, ogni volta che una di quelle cose mi attaccava saltava fuori il discorso della misteriosa chiave; non poteva essere una coincidenza: tutti volevano questa chiave da me ed io ero l'unica a non sapere di cosa diamine stessero parlando.
Scossi la testa, concentrandomi sulla mia direzione: i demoni odiavano mostrarsi in pubblico e non mi avrebbero mai attaccata in presenza di tutta quella gente.
Mi portai la mano al collo, pronta ad evocare Armaros, ma le mie dita afferrarono il vuoto. La chiave non c'era!
"No! No!" pensai terrorizzata quando realizzai di averla lasciata sulla scrivania della mia camera. Alle mie spalle udì le urla di quelle creature che mi inseguivano; non ebbi il coraggio di voltarmi ad osservarle, ma non avevo dubbi sul fatto che il loro aspetto fosse ripugnante.
Mentre svoltavo un angolo scivolai sul ghiaccio e mi ritrovai in mezzo alla neve del parco. Mi rimisi in piedi, ma un pizzicorio al gomito attirò la mia attenzione: un taglio lungo più o meno 5cm faceva capolino sulla mia pelle.
«Accidenti!» sussurrai, con il fiatone che impediva di parlare.
Ero sola, senza protezione, ferita e stanca: non avrei mai retto l'attacco di due demoni. Mi guardai allora attorno, constatando che anche il parco era deserto, fatta eccezione per qualche senza tetto profondamente addormentato.
Ebbi l'idea di lasciare il borsone a terra e di nascondermi dietro una panchina dal momento che sanguinavo e non riuscivo più a correre. Sentivo il cuore battere all'impazzata e il fatto di non vedere quasi nulla non mi tranquillizzava affatto. Sospirai, ma delle voci mi costrinsero a guardare nella direzione da cui ero venuta.
«Dove è andata?!» strillò una voce acuta.
Assottigliai gli occhi e distinsi due figure alte quanto me; una grinzosa, con la pelle del volto ricoperta di squame, mentre l'altra aveva la pelliccia bianca arricciata e immaginai che quello fosse Fifì. La vecchia, o quello che ne rimaneva, aveva le mani munite di lunghi artigli e una coda spinata, mentre il barboncino delle fauci munite di quattro file di denti taglienti.
"Un trionfo di bellezza..."
«Troviamola Fifì! L'anima dell'erede dei Blacke ci renderebbe estremamente potenti, senza contare che lei è la chiave per una forza illimitata.» abbaiò la vecchia.
«Ho avvertito un'anima squisita in lei.» si leccò le fauci Fifì.
Mi tappai la bocca e rimasi in apnea, sperando di diventare invisibile.
"Quindi non si riferiscono alla chiave, ma a me!" pensai terrorizzata. Non ci capivo più nulla e sentivo la testa scoppiare.
«Aspetta! La sento!» urlò entusista Fifì. «È ferita!»
Stavo per mettermi a correre nuovamente, quando me li ritrovai davanti, gli occhietti neri famelici.
Arretrai, afferrando un bastone e mulinandolo per tenerli alla larga.
"È davvero finita per me?
Il dubbio si insinuò nella mia testa, facendomi tremare le gambe e lasciando che la paura si impadronisse del mio corpo. Fifì mi strappò il bastone dalle mano e la vecchia mi spinse contro la panca.
Prima che potesse infilzarmi con le unghie lunghe un metro, sentì il palmo delle mani bruciare e una luce intensa si frappose tra me e la vecchia.
Ero fin troppo scossa di mio per sorprendermi anche di quello.
«Dannata ragazzina!» gracchiò Fifì, dimenandosi.
«Hai fatto fin troppo. Ora lascia che ci pensi io, Faith Blacke.»
Un'aurea demoniaca intensa come quella degli altri demoni maggiori mi raggiunse e i miei occhi incrociarono quelli rossi del ragazzo albino che mi aveva ossessionata in tutti quei giorni.
«E tu chi diamine sei?!» strillò la vecchia, minacciandolo con gli artigli.
«Haures, uno dei cinque demoni maggiori.» scandì, in tono solenne. «Osate rivoltarvi contro un demone maggiore? Vi farò a pezzi.»
Delle stalattiti aguzze spuntarono dal terreno, impalando la vecchia, ma Fifì le schivò, rifugiandosi su un albero. Il cane ringhiò, sguinzagliandosi contro il ragazzo albino. Questo lo schivò con un solo, unico movimento fluido, come se stesse pattinando. Poi, quando si rese conto di essergli alle spalle, dalle sue mani si formò una falce di ghiaccio; si scagliò contro il demone, ma questi sacrificò una zampa per evitare l'attacco mortale.
Il sangue schizzò ovunque, sporcando i cespugli e la neve lì presente.
«Sei agile, te lo concedo.» commentò Haures. «Ma sei troppo debole.»
Delle stalattiti comparvero dal terreno e l'unico modo per schivarle era saltare; quando il demone lo fece, il ragazzo mulinò la falce, spiccando un balzo verso la bestia, per poi tagliarlo in due.
Fifì si dissolse in una nuvola di polvere e sabbia come era successo per la vecchia e tutto tornò normale.
Io ero ancora per terra, le gambe tremenati e il sangue che colava dalla ferita al braccio.
«Vuoi una mano?» chiese.
«Grazie.» mormorai mentre mi rimetteva in piedi. «Mi hai salvato la vita.»
«Tu sei l'erede dei Blacke, una delle famiglie fondatrici, dov'è il tuo demone?» chiese, fissandomi con gli occhi rossi.
«A casa, a flirtare con mia cugina.» risposi sarcastica e mi guardó senza capire.
«Lascia perdere.» tagliai corto, recuperando la mia roba.
«Aspetta! Prima mi hai chiamata per nome: come fai a conoscermi?» lo interrogai, dubbiosa.
«Mi sono preso la briga di osservarti da vicino.» alzò le spalle, noncurante del fatto che mi avesse stalkerata per tutto questo tempo.
Provai a rispondere, ma la fitta al braccio mi ammutolì. Le lanciai uno sguardo e mi accorsi che il sangue non la smetteva di uscire; la ferita aveva i bordi sporchi e, a giudicare dal dolore, si era anche infettata.
«Hai bisogno di disinfettarla, ma per il momento posso solo bendartela.» disse, prendendo delicatamente il mio braccio e bendandolo.
Una volta che ebbe finito, lo ritirai e osservai il lavoro che aveva fatto.
«Grazie.» mormorai.
«Ti riaccompagno a casa: come avrai capito, non è saggio girare a quest’ora tutta sola.» si offrì.
Fu gentile anche perchè si caricò il mio borsone in spalle e mi aiutò a uscire dal parco; ero davvero uno straccio: ne avevo ricevute talmente tante che la mia schiena era a pezzi.
D'un tratto un rumore sinistro e gorgogliante raggiunse le nostre orecchie.
«Cos'era?» chiese sospettoso Haures, guardandosi intorno.
«Il mio stomaco... Non ho mangiato.» risposi completamente rossa.
Lui mi guardò e poi scoppiò a ridere. Non sapevo come mai, ma Haurus mi piaceva: non era arrogante come Armaros, nè disinibito come Elettra e nemmeno sadico come Opaleye. Era gentile, mi aveva salavato la vita e mi stava anche accompagnado a casa.
«Sicuro di essere un demone?» domandai.
Lui mi guardò. «Come mai?»
«Non lo sembri affatto.»
«A volte il mio aspetto e il mio carattere possono trarre in inganno, ma sono un demone vero e proprio.» sorrise.«Ora cerchiamo qualcosa da farti mangiare.»
Mi portò fino in un pub e io, affamata qual'ero, scelsi la prima cosa che c'era sul menù: mi andava bene qualunque cosa. Mi arrivò dopo poco un piatto di ravioli alla zucca e presi a spazzolare il piatto.
Hauros mi osservava attento, gli occhi rossi che seguivano ogni movimento. Solo dopo aver pulito il piatto mi accorsi che avevo mangiato in un modo animalesco. Cercai di rimediare pulendomi con un fazzoletto e guardai da un'altra parte imbarazzata.
«Ehm... Tu non mangi?» chiesi, tanto per essere educata.
«Non servirebbe a nulla.»
Sgranai gli occhi. «In che senso?»
«Noi ci nutriamo di anime. Il cibo normale non ci sazia, sarebbe come non aver mangiato nulla.» spiegò, giocando con il mio bicchiere.
Chiesi il conto e quando andai per pagare mi accorsi che il mio portafoglio non c'era. Sbiancai, peggio del colorito di Hauros, che sembrava aver intuito già tutto.
«Niente soldi?» chiese.
«Odio questa giornata. Ora che faccio?» domandai stanca.
«Un modo troveremo.» sorrise, chiamando la cameriera, una biondina con un grembiule a quadri.
«Pronti per pagare?» domandò.
Io guardai terrorizzata Hauros, chiedendomi che avesse in mente.
Eravamo in una saletta riservata, lontana da sguardi indiscreti, inoltre gli avventori erano pochi.
Hauros si sporse oltre il tavolo e fece abbassare la cameriera, per poi baciarla.
"Eh?"
Distolsi lo sguardo, rossa e provai a guardare altrove. Se sperava di convincere la cameriera in quel modo a non farci pagare allora era fuori di testa.
Quando si staccò, la cameriera aveva uno sguardo diverso, quasi vitreo; se ne andò immediatamente.
«Andiamo.» disse con un sorriso, leccandosi le labbra.
Mi alzai con lui e solo dopo avemmo fatto alcuni kilometri osai domandargli cosa avesse fatto.
«Non ci sei arrivata?» domandò con un sorrisetto malizioso.
Ci arrivai dopo qualchre minuto. «Tu... Le hai mangiato l'anima!» esclamai scandalizzata.
Sorrise, come se fosse una battuta e continuò a leccarsi le labbra. «Ancora sicura che io non sia un demone?»
Scossi la testa, intimidita.
"Questo qui è un demonio." pensai.
«Quella ragazza non è morta però.» ricordai.
«Non muoiono subito infatti, solitamente dopo un giorno o due. Ora basta però!» disse allegro. «Siamo arrivati.»
Riconobbi la mia villa e aprì il cancello in ferro battuto con le chiavi. «Vuoi entrare? Posso fare del té.» domandai.
Scosse la testa. «No, grazie. Il mio contraente mi starà attendendo, inoltre il tuo demone si arrabbierebbe.» mi fece l'occhiolino. «Non vogliamo che la città venga rasa al suolo da una battaglia demoniaca, no?»
Mi voltai per entrare in casa, ma poi mi ricordai di una cosa.
«Chi è il tuo contraente?» chiesi, ma Hauros era sparito. Al suo posto ora scendeva solo neve bianca.
STAI LEGGENDO
Black Faith
Misterio / SuspensoLa vita di Faith è una monotona routine che si ripete da quando è venuta al mondo... O almeno fino a quando il suo defunto nonno non le lascia in eredità una chiave d'argento che apre l'unica porta della vila dei suoi nonni che è sigillata da anni. ...