"Dalla padella alla brace" pensai, mentre quegli occhi rossi mi scrutavano.
Sapevo di avere davanti il responsabile del terremoto che aveva mandato nel panico Londra, inoltre si trattava di un demone maggiore in pessimi rapporti con il suo contraente e chissà per quale ragione sospettavo che la cosa non facilitasse la questione.
Mi girai completamente verso quei due tizzoni ardenti e strinsi la chiave al collo.
«Amos...» iniziai, provando a mantenere calmo il tono di voce. « So cosa sta succedendo, sono venuta per chiarire le cose.»
Le pupille si dilatarono, come se avesse percepito qualcosa; si spostò e un ragazzo castano si presentò davanti a me.
«Questo potere... Tu devi essere l'erede dei Blacke...» mi disse, annusando l'aria come avevo visto fare ai demoni che mi avevano dato la caccia al parco.
«Sono venuta con Josh: ti riportiamo a casa.» lo informai, cercando di non far focalizzare l'attenzione su di me. Quello si mostrò ritroso e le pupille si ridussero a due fessure.
«Non torno nella magione degli Atherton! Sparisci!»
Un'altra scossa di terremoto si scatenò e altri pezzi di soffitto caddero sul treno, appiattento il vagono. Ero certa che un'altra scossa avrebbe fatto si che diventassi una frittata.
«Ascoltami, lui vuole creare un legame con te, perchè non dargli una possibilità?» insistetti, sebbene il tetto del vagone mi sfiorasse di due centimetri la testa.
«Non è adatto: la sua anima è troppo debole.» mi spiegò, facendo marcia indietro.
«È qui fuori, almeno dagli una chance di convincerti!» esplosi, ma fu un errore.
Un secondo dopo una scarica di detriti e rocce mi facevano volare fuori dal vagone. Feci appena in tempo a ripararmi il volto, ma le braccia e le gambe erano pieni di tagli.
«Faith!»
Josh mi corse incontro e ero sicura che si sarebbe messo a piangere se Amos non fosse comparso davanti a noi.
Cercai la chiave al collo: quella era una dannatissima emergenza!
«Cerchi questa?» domandò Amos, mostrandomi la mia chiave d'argento che pendeva dal cordoncino nero.
"Dovrò appiccicarmela addosso quella chiave."
«Amos, torna a casa.» lo pregò Josh
Amos lo guardò con aria di sufficienza e lo sbeffeggiò. «Ma guardati: stai pregando un demone! Non sarai mai un buon contraente!»
Facevo fatica a seguirli dal momento che il dolore per le ferite mi annebbiava il cervello. Mi rialzai in piedi e guardai quel demone.
"È quasi più odioso di Armaros." pensai.
«È preoccupato per te, non lo capisci?» gli urlai stanca.
Amos e Josh mi guardarono.
«È venuto fino a casa mia per chiedere aiuto, ha avuto il coraggio di venire fin qui giù a riprenderti e tu lo sbeffeggi? Diamine! Io che pensavo che il cretino fosse Armaros!»
«Faith, hai una crisi di nervi?» domandò preoccupato Josh.
«No!»
Amos, che mi aveva osservato per tutto quel tempo, parve abbastanza contrariato. Si lanciò contro me e Josh, ma riuscì a spingere di lato il ragazzo prima che lo potesse colpire. Poi accadde quello che era successo al parco.
Un muro di luce si frappose tra me e Amos, impedendogli di ridurmi in poltiglia. Il demone si ritirò sorpreso, facendo cadere la mia chiave.
Una volta che smisi di brillare, caddi in ginocchio, incapace di stare in piedi. La chiave era a pochi centimetri da me e sembrava che Amos fosse malconcio dopo il mio "miracolo".
Raccolsi il mio ciondolo, ma esitai ad evocare Armaros.
Josh, intanto, si era rialzato e andava dritto verso Amos; questo si allontanò incattivito, ma Josh continuò ad avvicinarsi.
«Amos, mi spiace di non essere all'altezza, ma desidero comunque avere un buon legame con te.» disse lui, ma una scossa di terremoto lo interruppe.
Guardai il soffitto tremare e mi rivolsi a Josh. «Josh! Usa la chiave, altrimenti qui crolla tutto!»
Il ragazzo parve capire perchè iniziò a dettare ordini al demone. La sua chiave si attivò e Amos parve calmarsi, fino a quando non sembrò adottare un'aria più docile.
Parve dirgli di tirarci fuori da lì, ma io ero ormai allo stremo delle forze per poter dar retta a quei due, per cui lasciai che Amos ci prendesse entrambi sotto braccio e ci portasse fuori dalla metropolitana.
Una volta in superficie, mi accasciai a terra e non capì più nulla.«...Non capisco, eppure non sembri stupida, ragazzina...»
Aprì gli occhi piano, ma le fredde luci della stanza dove mi trovavo mi costrinsero a serrare nuovamente le palpebre.
Riprovai una seconda volta, più cautamente.
Osservai la stanza e non la riconobbi: era bianca, spoglia e puzzava di disinfettante.
"Un ospedale..."
Accanto al mio letto, seduto su una sedia, c'era Armaros. Mi tirai su a sedere e scoprì che avevo gambe e braccia fasciate e piene di cerotti, probabili cure dei tagli che Amos mi aveva causato.
«Ah, sei sveglia! Dì ciao al tuo fratellone.» mi sorrise, salutandomi.
«Ma che...?» domandai con una faccia confusa. Solo dopo mi accorsi della presenza di un'infermiera accanto alla porta.
«Finalmente sei sveglia Faith.» sorrise, avvicinandosi. «Come ti senti?»
«Acciaccata.» risposi, non trovando altre parole migliori.
«Normale. Sai, sei stata vittima di una delle scosse di terremoto: sei stata molto fortunata.» mi spiegò, scrivendo qualcosa su delle carte vicino al mio letto.
"Quindi è questa la scusa che si sono inventati."
«Volete qualcosa da bere? Offre l'ospedale.» domandò sempre sorridente.
«Un caffè, dolcezza.» le ammiccò Armaros.
Scossi la testa e l'infermiera se ne andò.
«Carina vero? Probabilmente me la porto fuori a cena uno di questi giorni.» commentò lui, guardando la porta chiudersi.
«Immagino che ripeterti per l'ennesima volta che sei disgustoso non serva a nulla.» lo fulminai acida. «E poi che storia è quella del fratello?»
Lui si mise seduto sul mio letto e si mise a giocherellare con le bende. «Se non mi spacciavo per tuo fratello, non mi avrebbero fatto entrare.»
«Ma nemmeno ci assomigliamo!» protestai indignata.
«Oh, si invece! Siamo insopportabili tutti e due, ma mentre tu rimarrai zitella a vita, io sono popolare tra le ragazze.» mi spiegò con malizia.
«Ti prego, vai a farti imbalsamare da qualche parte...»
Si alzò proprio mentre l'infermiera tornava con il caffè e dovetti assistere al flirt del mio demone.
«Ah, Faith! Se stai bene, puoi anche tornare a casa.» mi avvertì l'infermiera e uscì definitivamente di scena.
Mi alzai, ma scoprì di avere il camice ospedaliero addosso, per cui tornai a letto il più in fretta possibile.
Armaros fischiò e rise. «Carino! È la nuova moda?»
«Vai a cercarmi i vestiti invece di fare lo scemo.» gli ordinai, a braccia conserte.
Fece un inchino e sparì a cercare qualcosa che potessi mettere.
Mi appoggiai al cuscino e afferrai il suo caffè ancora mezzo pieno, prendendone una sorsata: avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su.
Tornò dopo poco con i miei vestiti e me li depositò sul letto.
Con mia grande sorpresa, non ci fu nemmeno bisogno di dirgli di andare fuori.
Mi sbrigai a cambiarmi e a tornare a casa.
Una volta che fummo nella villa dei Blacke, guardai Armaros.
«Perchè Josh è venuto da noi?» gli domandai.
Lui mi fissò per un secondo e poi fece spallucce.«Che vuoi che ne sappia? Magari eri la persona più vicina.»
Detto questo, tornò nel seminterrato.
Rimasi immobile per qualche minuto a riflettere sulla questione. Avevo fatto la stessa domanda a Josh quando era venuto a a casa mia, ma Armaros lo aveva interrotto: ero certa che sapesse qualcosa, ma non mi avrebbe mai detto nulla.
Andai nello studio del nonno per cercare indizi.
Ripresi il tomo sulle famiglie fondatrici e lo sfogliai fino all'ultima pagina. Qui, disegnata a mano, c'era la piantina di Londra e segnate le ville dei cinque contraenti.
La famiglia Atherton era a Est, nei pressi di Dartford, e a rigor di logica Josh avrebbe potuto chiedere aiuto a Margaret, che si trovava a sud, o a Laurence, a Nord-Est.
«Perchè venire da me?» domandai a voce alta.
Quella storia puzzava e, con o senza Armaros, avrei fatto luce in quella questione.
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Black Faith
Mistero / ThrillerLa vita di Faith è una monotona routine che si ripete da quando è venuta al mondo... O almeno fino a quando il suo defunto nonno non le lascia in eredità una chiave d'argento che apre l'unica porta della vila dei suoi nonni che è sigillata da anni. ...