Capitolo 17

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Alex's pov

Uffaaa...quanto ci mette quella a provare un vestito?

È da un quarto d'ora che è là dentro, mentre io sono seduto su un divanetto in velluto rosso, con una forma geometrica strana.

-Hai fatto?- chiedo implorante

-No, non riesco a trovare niente di decente!- risponde, con la solita voce da ochetta.

Sbuffo e ne approfitto per guardarmi in torno. Le pareti rosa cipria, ricoperte di glitter, ospitano le foto delle ultime collezioni; gli abiti sfarzosi, appesi a ridosso dei muri, rendono il posto troppo soffocante, e un insolito odore di biscotti alla cannella aleggia in giro per lo spazio adibito ai camerini.

-Alex!?- sento richiamarmi –Sono indecisa tra due abiti, mi aiuti?-

No

-Ok, fa vedere!- esce con indosso un tubino nero semplice, a tre quarti e lo scollo rotondo; tra le mani ha una stampella con un abito identico.

-Scusa, qual è la differenza?- le chiedo infastidito e un po' confuso

-Non vedi?- ma allora è ottusa. Deve aver visto la mia faccia perché sospira e mi spiega –Ecco, vedi? Quello che ho addosso è semplice, quello appeso ha uno spacco di due centimetri sul lato! Oddio, e ora quale scelgo?-

-Non lo so, io vado al bar difronte a prendere un caffè. Quando hai finito mi trovi lì- la superficialità di questa ragazza mi stupisce sempre di più.

Mentre attraverso la strada mi squilla il cellulare. Controllo la provenienza della chiamata: Gerardo.

<<Oddio>>, penso <<Chissà su cosa mi vuole rimproverare ora>>.

Rispondo: -Pronto, Gerardo?!

-Alex- la sua voce non è dura come al solito, è preoccupata –Tuo padre...ehm, ecco...- appena sento "tuo padre", inizio a fare due più due; la sua voce preoccupata, così tanta incertezza in sole due parole...inizio a preoccuparmi.

-Gerardo, che succede a mio padre?- domando, duro

-Ha fatto un incidente in macchina, e ora è in coma- no, non è possibile, il destino non può portarmi via anche lui.

Dall' altro capo del telefono Gerardo richiama la mia attenzione, ma io non lo ascolto, io prendo solo respiri profondi.

Chiudo la chiamata, e mi affretto ad arrivare alla mia auto, mandando nel frattempo un messaggio a Vanessa per avvisarla della mia mancanza.

Sfreccio per le strade di Londra, infischiandomene dei limiti di velocità.

Un peso, adesso preme tra il cuore e lo stomaco, impedendomi di respirare correttamente.

Quando sono davanti all' ospedale, lascio l'auto parcheggiata alla meno peggio, e corro per arrivare da papà, solo che non ho idea di dove andare.

All' entrata, dietro un bancone, c'è una signora sulla cinquantina che si lima le unghie laccate di smalto.

-Signora, sa dirmi dov' è Elia Ferrari?-

- Quinto piano, corridoio a destra, ultima stanza a sinistra, n°127- risponde tutto d'un fiato, come se potesse percepire la mia fretta, data dalla preoccupazione.

Me ne vado di corsa senza nemmeno ringraziarla, a quello ci penserò dopo, e corro verso l'ascensore. Occupato, cazzo. Salgo affannosamente le scale fino al quinto piano, e davanti alla porta del reparto, mi predo un secondo per respirare. Poi ricomincio a correre: <<corridoio a destra, stanza 127>>,continuo a ripetermi.

Più mi avvicino, più il peso sullo stomaco aumenta.

Trovata la stanza entro, e mi dirigo verso il corpo immobile di mio padre.

Dal suo naso parte un tubicino, collegato a quello credo che sia un respiratore, e un BIP a intervalli regolari, riempie la stanza.

Mi lascio cadere sulla sedia al lato del letto e gli prendo una mano tra le mie.

Me la rigiro tra le mani e analizzo con cura ogni piccola ruga che la ricopre. "Ogni solco un'avventura" diceva la mamma.

Inizio a parlargli, voglio sapere se almeno mi può sentire.

-Ciao papà- prendo un respiro profondo –Sono io, Alessandro. Stavo pensando a quando c'era la mamma con noi. Ti ricordi? Illuminava le nostre giornate di immenso, brillava di luce propria. Si, forse era un po' fissata con la pulizia, ma ci amava più della sua stessa vita. Prima di morire ci ha fatto fare una promessa, ricordi? Avremmo dovuto prenderci cura l'uno dell' altro. Capisci papà? Capisci ora perché devi svegliarti? Non per me, io posso cavarmela. Ma per quella promessa, fatta al nostro angelo, lo stesso che veglia su di noi da ormai tre anni.- niente, il battito è rimasto lo stesso. Io però continuerò a provare; per oggi basta.

Mi alzo, gli lascio un bacio sulla fronte ed esco dall'ospedale.

Mentre sto per salire in macchina il telefono vibra in tasca. È un messaggio di Vanessa: <<Alex, mi dispiace per tuo padre ma io stasera devo andare ad una festa. Buona fortuna>>.

Certe persone, non meritano neanche di essere commentate.

Getto il telefono sul sedile del passeggero, e mi dirigo verso casa mia, con il pensiero di riuscire a calmarmi.

Non riesco nemmeno ad inserire la chiave nella toppa per quanto sono arrabbiato.

Chiudo la porta con forza, e apro il mobile dei liquori; ne afferro uno a caso, lo apro e inizio a ingurgitare la sostanza. Un forte calore si propaga nel mio stomaco, ma il peso che non mi fa respirare c'è sempre.

Finita la prima bottiglia passo alla seconda, dal sapore deduco sia vodka.

Devo fermarmi, ma da solo non ci riesco. C'è solo una persona capace di farlo: Alice.

Afferro il telefono con mano inferma, e faccio partire la chiamata.

Dopo tre squilli, risponde: - Pronto?!

-Alice, sono Alex- biascico –Mio padre...ha fatto un incidente ed è in coma, io ho bevuto due bottiglie intere di superalcolici e non riesco a fermarmi...ti prego, aiutami...- dall'altro lato, silenzio.

La conosco fin troppo bene da sapere che ora sta valutando mentalmente tutti i pro e i contro della situazione.

Dopo due minuti, risponde: -Entro domani mattina sono da te- dice, e riattacca.

La aspetterò sveglio.



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