Capitolo 23

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Rio de Janeiro, quella sera


Non si pensa mai che, dal punto di vista anatomico e fisico, l'articolazione dei suoni è un processo complicatissimo. Ci viene inevitabilmente naturale. Due o più suoni, posti in una sequenza precisa, generano delle sillabe che, a loro volta, secondo lo stesso ragionamento, formano delle parole di senso compiuto. Parole che posso essere banali o articolate, ma pur sempre una combinazione di suoni il cui significato cambia, a seconda di ciò che noi vogliamo comunicare.

Parlare, per noi, è naturale, come se fossimo nati solo per fare quello. Ma, in realtà, la questione è molto più complicata di così e il dono della parola non dovrebbe mai ritenersi scontato, come invece avevo sempre fatto io.
Solo quando quelle due parole, le quali se prese singolarmente possono andare a comporre altre immagini, uscirono dalle mie labbra, senza prima passare per quello che io chiamavo "filtro coscienzioso", compresi il potere che secernevano. Avevo sempre banalizzato la diceria secondo cui tutte le parole, se poste in un certo modo, avevano un potere, un qualcosa di speciale, di unico. Ma mi dovetti ricredere nell'istante immediatamente seguente alla mia uscita brillante.
Lo avevo detto, davvero.
Finalmente.
E, a differenza di ciò che avevo immaginato in funzione di quel momento, parlare mi era venuto così naturale che mi parve quasi di non aver aperto bocca.
Eppure lo avevo fatto.
Io, proprio io che mai avrei creduto di poter dire quelle parole senza che un peso mi opprimesse il petto; senza che mi sentissi obbligata a dirlo. Credevo fermamente in ciò che avevo affermato, senza alcuna dispensa o dubbio in testa.
In contrapposizione, ma prevedibilmente, il cuore prese a battermi più forte nel petto, sebbene fossi quasi certa che la causa fosse attribuibile più alle emozioni che stavo provando dentro di me che non alla paura di una possibile reazione negativa da parte di Percy.
Trassi un respiro, accorgendomi solo in quell'istante di star trattenendo il fiato, e mi sentii bene, assurdamente ma piacevolmente bene con me stessa. Sbattei velocemente le palpebre, tornando a focalizzare l'attenzione su quello che era il mio bellissimo e incredibile ragazzo, sebbene non avessi mai distolto lo sguardo dal suo. Percy mi stava fissando a sua volta, in un modo talmente intenso da creare un mondo parallelo, i cui protagonisti eravamo esclusivamente noi: io e lui, lui e io.
Non badai affatto al silenzio vuoto che si creò tra noi perché, quando il suo volto si aprì in un sorriso lento e largo, ma unico nel suo genere, tutto al di fuori di lui perse di significato. L'unica cosa che importava era che Percy fosse lì a sorridermi come mai aveva fatto prima di allora: era la prima volta in assoluto che lo vedevo indossare quel sorriso, molto diverso da quello che usava nei giorni migliori, in cui il sole splendeva e noi potevamo passare del tempo insieme. Con quel sorriso, Percy mi stava trasmettendo uno squarcio nella visione della felicità più assoluta, ma non solo: vedevo sollievo, aspettativa e gratitudine.
Amavamo Percy Jackson.
Lo seguii con lo sguardo mentre, dopo aver lanciato un'occhiata a Nico che dormiva beatamente con le coperte rimboccate fin sotto il mento, si alzava dal pavimento, spostandosi dal capezzale del letto e avanzando nella mia direzione, le braccia quasi ferme lungo i fianchi e quel sorriso imperturbabile disegnato in volto.
Solo quando fu a poco meno di due passi di distanza allargò le braccia, protraendole in avanti, per poi avvolgerle intorno al mio corpo, stringendomi a sé come mai aveva prima di allora. O meglio, io mi aggrappai a lui come mai avevo fatto, trovando in Percy la colonna portante della mia stabilità fisica e mentale.
Mi lasciai semplicemente abbracciare, trovandomi improvvisamente con la faccia premuta contro la sua scapola, le braccia intrappolate tra le sue, bloccata in quell'istante. Ma poi, non appena trassi un respiro, sentii quell'aroma inconfondibile che solo Percy aveva e il resto fu inevitabile: le mie braccia andarono a stringere le sue spalle e sentii le sue mani allargarsi sulla mia schiena, una all'altezza della vita e l'altra sulla parte dorsale, avvicinandomi in qualche modo ancora di più a lui.
Non eravamo mai stati così vicini, né fisicamente né sensibilmente.
Dopo un po' di tempo, Percy ritrasse leggermente il capo, tenendomi comunque ancorata a sé in un movimento cullatorio, e io percepii distintamente il suo fiato caldo vicino alla tempia. «Ti amo anch'io, Annabeth» sussurrò. «Su, forza, è ora di andare a dormire. È stata una giornata lunga anche per noi» aggiunse.
Solo in quel momento, in seguito a ciò che aveva detto Percy, presi coscienza del fatto che il mio letto era effettivamente occupato da Nico e Bianca e che, di conseguenza, per quella notte non avrei potuto usarlo. Proporre di mettere i bambini nel mio letto era stato istintivo: loro venivano prima di tutto, non c'erano dubbi.
Le mani di Percy mi presero le spalle e mi allontanarono di qualche centimetro: in quel modo lui riusciva molto bene a guardarmi in volto, ma era abbastanza vicino da poter toccarmi toccare il naso con il suo.
«È tutto okay?» chiese mentre una piccola ruga d'espressione si formava in mezzo alle sue sopracciglia.
Non avevo idea del perché lui avesse fatto quella domanda né perché, tutt'a un tratto, mi sentissi il cuore battere forte, ma di una cosa ero certa: quella notte più che mai avevo bisogno della presenza di Percy accanto a me, della sua pelle, del suo profumo. Quella era stata una delle giornate più difficili che avessi mai vissuto e in segreto speravo che lui potesse alleviare un po' gli incubi che, sicuramente, avrei avuto.
Perciò, dopo aver mosso il capo su e giù brevemente, mi protesi in avanti, con gli occhi incollati ai suoi, sfiorandogli a fior di pelle le labbra calde con le mie. Sostai per qualche secondo in quella posizione, senza però cercare di approfondire il contatto, e alla fine, quando tornai a una distanza tale da poterlo guardare senza che il verde delle sue iridi invadesse tutto il mio campo visivo, sentii la sua mano sul fianco premere con maggiore intensità.
«Grazie» mormorò. Aspettai che aggiungesse qualcos'altro per giustificare quella sua uscita, ma Percy non parlò più.
Ero leggermente confusa. Perché mi ringraziava?
Rivissi nella mente gli ultimi istanti invano, in cerca di qualche dettaglio che mi fosse sfuggito involontariamente. E poi una piccola voce fastidiosa nella mia testa bisbigliò: Percy si stava per caso riferendo alla mia dichiarazione improvvisa? Forse pensava che mi fossi lasciata andare definitivamente con lui?
Una parte di me, in effetti, si sentiva fiera di aver superato un ostacolo così grande, ma l'altra parte, quella più influente nel mio cervello, pensava colpevolmente che Percy, in fin dei conti, non doveva ringraziarmi perché io non mi ero affatto aperta con lui.
Buona parte del mio passato – se non l'intero passato, quello più importante – era ancora per lui ignota.
Con un sospiro di sconforto, allentai la stretta sulle sue spalle, abbassando le mani fino a incontrare le sue, che nel mentre avevano lasciato il mio corpo.
«Dai, andiamo a letto...» Con le dita intrecciate, lo seguii fuori dalla mia stanza.
Prima di chiudere piano la porta, lanciai un'ultima occhiata ai bambini, i quali per fortuna dormivano beatamente, poi attraversammo il corridoio per raggiungere la camera di Percy che si trovava in fondo.
Non contai quanti passi fossero, né quanto impiegammo, ma il pensiero che invase la mia testa in quel lasso di tempo fu talmente sconvolgente che la camminata mi parve senza fine.
Mi stupii di me stessa per non averci pensato prima quando ricordai che quella era la prima volta che passavamo tutta notte assieme, nello stesso letto, a stretto contatto. Anzi, era la prima notte in assoluto che io dormivo con una persona – un ragazzo – che non fosse Piper.
Io e Percy nello stesso letto per un'intera notte.
Con tutta sincerità non ero in grado di capire se fossi pronta o meno, ma anche solo il fatto che non stessi scappando a gambe levate era per me un grande traguardo e un segno positivo.
Percy mi lanciò un'occhiata fugace e discreta, ma io me ne accorsi ugualmente e presi coscienza anche del fatto che lui fosse evidentemente preoccupato per qualcosa. Che avesse i miei stessi pensieri?
Era altamente probabile che lui si stesse domandando se io fossi pronta per una cosa del genere, ma ero intenzionata a superare molti dei miei ostacoli quella sera e, dopo le due famose parole, in me regnava la convinzione che con lui potevo farcela, perciò feci finta di niente e proseguii mentre raggiungevamo la porta della sua camera.
Nell'istante in cui misi piede al di là della soglia, fu come se la mia vista si fosse acuita tutta in un colpo, come se il mio udito fosse diventato più fino: ogni più piccolo particolare di quella stanza catturò la mia attenzione. Come le scarpe da ginnastica poggiate accanto alla sedia delle scrivania, rivolte con la punta verso le gambe di quest'ultima; come lo scacciapensieri nero appeso alla lampada sul comodino; come il ticchettio dell'orologio chiodato alla parete che batteva ininterrottamente ma con una certa costanza. E poi, a interrompere quel rumore regolare arrivò un click, più forte, e io seppi che Percy aveva chiuso la porta.
Con la mano appoggiata sulla tastiera inferiore del letto, mi voltai lentamente, come se qualcosa mi stesse attirando in quella direzione. E inevitabilmente incrociai il suo volto, la sua bocca, i suoi occhi che mi fissavano.
Con una mano sulla maniglia della porta e la schiena appoggiata al legno levigato, le sue spalle si muovevano su e giù e io presi a contare quante volte il suo petto si allargava. Non riuscivo a spostare lo sguardo da quel punto su cui, in realtà, non ero concentrata perché la mia testa era da tutt'altra parte.
Nella stanza regnava un silenzio strano, carico di qualcosa che io non riuscivo a cogliere, anche se, dentro di me, ero consapevole di esserne la causa. Era evidente che Percy stava aspettando una mia mossa, qualcosa che gli facesse capire che dopotutto stavo bene, che sarei stata bene.
Ma io sapevo che tutto ciò non sarebbe mai potuto accadere: la menzogna, quella cosa non detta, avrebbe sempre aleggiato sopra di noi, come una tenda pronta a chiudere il sipario della nostra storia. Quanto tempo sarebbe passato prima di giungere in una strada a fondo chiuso? Mesi? Addirittura anni?
Sul serio potevo vivere con la consapevolezza di star distruggendo la sua fiducia e, sopratutto, me stessa di nuovo? Potevo davvero vivere con quel peso incontrastabile del mio passato, sostenendo sulle spalle tutto e niente, lasciando che la mia vita andasse alla deriva?
Perché è quello che sarebbe successo se non avessi aperto bocca, se io, quella stessa sera, non mi fossi lasciata andare definitivamente.
Nel mio piccolo, sapevo benissimo che Piper aveva ragione senza ombra di dubbio: Percy non meritava nulla di ciò che gli stavo facendo passare temporeggiando ancora e ancora.
Però sapevo anche ciò che dava origine ai miei dubbi, ai miei timori. Mi ritrovavo a dover combattere una battaglia contro il futuro, contro la consapevolezza di star procedendo alla cieca. Dopotutto, avevo qualche garanzia che Percy non sarebbe scappato?
Sì, ormai lo conoscevo bene e sapevo che non sarebbe mai stato in grado di voltarmi le spalle all'improvviso, ma che sarebbe successo con l'avanzare del tempo? Proprio come la menzogna aveva il potere di distruggerci, anche la verità poteva portare al medesimo destino.
Perciò tutto si riduceva a una semplice scelta fatta alla cieca, un lancio della monetina: testa o croce? Verità o bugia? Adesso o mai più?
Sbattei le palpebre una, due, tre volte in successione e, alla fine, mi dissi basta.
Mossi un piede in avanti lasciando andare la tastiera del letto e, quasi nello medesimo momento, Percy fece lo stesso. Fu solo quando ci incontrammo a metà strada che crollai tra le sue braccia, in tutti i sensi.
Il modo in cui mi strinse a sé, come io strinsi lui, fece affiorare involontariamente tutte le emozioni provate nel corso dell'intera giornata, ma anche tutto ciò che avevamo – che avevo – passato prima.
E allora dentro di me presi una decisione che, malgrado i miei timori, si rivelò essere la più facile e anche la più normale di tutte. Dopotutto se non potevo riporre tutta la mia fiducia nel fatto che Percy sarebbe rimasto, allora nulla aveva più senso.
«Non lasciarmi mai» mormorai, sentendo l'ombra calda delle lacrime che percorrevano la loro strada verso il basso. «Promettimelo, Percy, ti prego.»
Lui aumentò la stretta delle sue braccia attorno al mio corpo, spostandone una alla base della schiena e l'altra appena sotto il mio sedere, sulla coscia. Non compresi subito le sue intenzioni, nemmeno quando i miei piedi vennero staccati da terra e io mi trovai a stringere più forte le braccia al collo di Percy. Ma, nel momento in cui lui camminò in direzione del letto su cui si sedette un'istante dopo, smisi di domandarmi cosa stesse per fare, consapevole che il suo abbraccio valeva più di mille parole al vento.
Seduta a cavalcioni su di lui, con le ginocchia lasciate scoperte dai pantaloncini che sprofondavano nel materasso, piansi per molto tempo in silenzio, senza mai osare di alzare la testa dalla sua spalla o di allentare anche solo per un secondo la morsa delle braccia.
«Per sempre, Annabeth. Non ti lascerò mai, a meno che tu non voglia» disse tutt'a un tratto, il mento appoggiato sulla mia spalla e la bocca a pochi centimetri dal mio orecchio. «Te lo prometto.»
E io mi abbandonai a lui, credendogli senza alcuna remora perché sapevo che stava dicendo la verità.
Restammo in quella posizione a lungo e a un certo punto le lacrime finirono, lasciandomi solo con il viso bagnato e un senso di vuoto e pieno allo stesso tempo. Fu parecchio strano perché non mi ero mai sentita in quel modo: era come se tutto andasse bene e male contemporaneamente, come se il mondo stesse per finire e iniziare.
Non mi accorsi nemmeno che Percy si era mosso e che si era alzato in piedi tirandomi con sé fino a quando non percepii le sue mani sui fianchi e le dita a contatto con la mia pelle. I suoi movimenti erano lenti, molto lenti, mentre la mia maglietta veniva alzata fin sotto alle ascelle e poi sfilata dalla testa dopo che ebbi sollevato le braccia.
Poi fu la volta del pantaloncini. Osservai Percy mentre sfilava il bottone di metallo dall'asola e tirava giù la cerniera. Non mi stupii affatto quando incrociai i suoi occhi che erano sempre stati fissi sulla mia faccia: comprendevo che, non guardando il lavoro che stava facendo, voleva farmi capire che non aveva altre intenzioni che spogliarmi semplicemente. Ma non ce n'era bisogno: sapevo che i suoi erano gesti automatici, volti solo a togliermi i vestiti e basta.
Mi fidavo di lui ciecamente.
A prova della mia certezza andava il fatto che le sue mani non avevano toccato altro che i vestiti, senza mai andare a sfiorare la mia pelle se non necessario. Eppure ero lì, vulnerabile e quasi nuda.
Stetti a guardarlo mentre si voltava verso un cassetto dell'armadio a muro, da cui prese una delle sue magliette bianche che mettevano sempre in risalto la sua carnagione. Me la infilò, facendo passare un braccio alla volta dalle maniche e poi, quando la mia testa sbucò oltre la scollatura della maglietta, con dei movimenti lenti mi sistemò i capelli su una spalla, sfiorandomi inavvertitamente il collo.
Sentivo il suo profumo, vedevo i suoi occhi seguire i gesti che faceva.
L'orlo della maglietta mi solleticava le cosce.
«Tutto bene?» sussurrò, mentre spostava la mano dalla mia spalla al viso, accarezzandolo. Io piegai la testa, appoggiando la guancia sul palmo della sua mano e mossi il capo su e giù, una sola volta.
«Okay, allora» disse. Poi mi prese in braccio, come aveva fatto prima, e mi adagiò sul materasso, nello stesso punto dove prima eravamo rimasti abbracciati. Il letto era ancora caldo.
Rimasi lì a osservarlo mentre anche lui si spogliava dei vestiti usati durante il giorno, che appoggiò su una sedia sopra i miei, infilandosi una maglietta abbastanza logora e rimanendo in boxer.
In quel frangente di tempo il mio cervello tornò attivo: sapevo che era arrivata l'ora e sentivo il cuore battermi nel petto, ma stranamente i battiti non accelerarono e il panico o la paura non presero il sopravvento. Ero guidata solo da un senso di determinazione.
Poi Percy si avvicinò al letto dalla parte opposta alla mia e scostò l'angolo delle lenzuola. Passandomi dolcemente un braccio intorno al busto, mi sospinse in giù, facendomi sdraiare accanto a lui. Il letto, proprio come quello nella mi camera, era studiato per la completa comodità di una sola persona, ma vicini com'eravamo potevamo starci senza il rischio di cadere. Il calore del corpo di Percy, poi, era molto meglio di quello che una qualsiasi coperta avrebbe potuto darmi.
Strofinai la fronte sulla sua un paio di volte, con gli occhi chiusi e un labbro stretto tra i denti, e mi immaginai di aprire bocca e sputare fuori quelle fatidiche parole, una in successione all'altra. Provai anche a formulare l'immagine dell'espressione che Percy avrebbe avuto, ma non ne ebbi il tempo perché lui, quello vero, mi posò un bacio sulla fronte e io aprii gli occhi, guardandolo intensamente.
Presi un profondo respiro.
«Avevo diciotto anni e nemmeno un mese prima avevo ritirato il diploma» mormorai, distogliendo lo sguardo dal suo per la prima volta con intenzione, per fissarlo su un punto imprecisato sopra la sua spalla. Sentivo già che una parte di me stava tornando indietro, nel passato.
Attesi qualcosa d'indefinito, forse che Percy mi dicesse che non c'era bisogno che parlassi, che tutto andava bene così. Ma, al contrario, lui mi prese il mento tra le dita e mi costrinse gentilmente a tornare a guardarlo e capii che no, non volevo affatto che lui mi fermasse, ma solo che lui rimanesse lì con me, per evitare che io cadessi troppo nei ricordi. Volevo che mi incoraggiasse, che capisse.
E che, infine, non fosse disgustato di me.
«Ero una ragazza normale. Insomma, avevo anch'io i miei sogni e sì, in un certo senso ero interessata ai ragazzi molto più di quanto lo sia stata negli ultimi anni. Ma avevo appena ricevuto una delusione tosta e desideravo solo allontanarmi il più possibile dalle persone che avevo conosciuto al liceo, tranne Piper e Jason.» Mi bloccai perché guardare quegli occhi verdi così seri e concentrati su di me era diventato troppo. Se volevo davvero avere qualche speranza di arrivare alla fine in un modo o nell'altro, dovevo concentrarmi, perciò tornai a chiudere gli occhi e ad appoggiare la fronte su quella di Percy, il quale non si mosse.
«Ero andata a quella festa solo perché Jason compiva diciotto anni e perché Piper sa essere molto insistente quando vuole, l'hai vista anche tu. A un certo punto della serata, non ricordo l'ora precisa, mi sono accorta che un tipo mi fissava. Al momento non gli ho fatto troppo caso perché, insomma, ero insieme a Piper. Ero abituata alla gente che la fissava.» Ora che avevo iniziato, era come se le parole fossero sempre state dentro di me, lì, pronte a uscire non appena io avessi cominciato a parlare.
«Ma avevo questa sensazione... Poi me ne sono andata: casa mia distava pochi isolati e non pioveva più.» Sentii la mano calda di Percy poggiata sulla guancia e questo mi diede un po' di sicurezza in più. Lui era lì con me.
«Eppure quella strana sensazione continuava ad assillarmi. Fossi stata meno stupida, probabilmente avrei chiamato un taxi e nulla sarebbe successo. Ma non l'ho fatto quindi, quando la borsa mi è rimasta impigliata in un cespuglio e quel tipo è comparso all'improvviso, penso che dentro di me sapevo già di essere in pericolo. E poi...» Trassi un profondo respiro tremante mentre una sola lacrima cadeva sul cuscino e strinsi le labbra.
Non ci fu bisogno di aggiungere nient'altro: penso che Percy trasse le sue conclusioni palesemente ovvie perché l'istante immediatamente dopo mi ritrovai a soffocare un singhiozzo contro il suo petto, nella sua maglietta e la mia visuale divenne nera.
«Va tutto bene. Ci sono qui io ora e non permetterò a nessuno di farti del male, Annabeth, mai più.»



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Non ho mai lasciato una nota d'autore qui su Wattpad perché mi limitavo solo a copia-incollare i capitoli da efp. Ora, come ho scritto sull'altro sito, mi scuso per quest'assenza ma ho avuto dei problemi personali e questa storia era l'ultima cosa dei miei pensieri. Ma non mi sono dimenticata, e leggo sempre i commenti che mi lasciate quasi ogni giorno. 

I vostri commenti mi fanno piacere, davvero, sopratutto perché dimostrano che tenete alla storia, ma per favore, vi chiedo di non commentare se volete solo "minacciarmi"/qualcosa del genere di continuare. Non arrivate da nessuna parte.

E di nuovo, come ho detto su efp, non so quando aggiornerò. Sicuramente non sarà settimana prossima e nemmeno quella dopo. L'unica certezza è che aggiornerò.

Nella speranza che siate ancora qui a leggere, vi ringrazio e vi saluto <3

Annie


Love the way you live     [PERCABETH]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora