Capitolo 4

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Rio de Janeiro, 20 Giugno


Annabeth



Il silenzio regnava nell'abitacolo in moto. Era spezzato solo da qualche rumore sinistro del motore e dai clacson che suonavano ininterrotti per le strade. Ma, a differenza di New York e del suo traffico, lì la gente guidava con calma, senza fretta, come se il tempo fosse stato un cane al guinzaglio, capace di imparare il proprio controllo. Le persone camminavano molto, troppo, lentamente sui marciapiedi, fermandosi ogni cento metri per scambiare due, ma anche quattro, chiacchiere con conoscenti.

Beh, non ero proprio sicura che tutte quelle persone si conoscessero. Era umanamente impossibile. Okay che da due anni a quella parte la mia vita sociale si era ridotta ai minimi storici, ma nell'arco della mia vita non avevo mai conosciuto così tante persone.

I lampioni, posti a cento metri l'uno dall'altro, erano già stati attivati. Proiettavano una luce abbastanza fioca sulla strada imbrunita dal calar del sole brasiliano, ma abbastanza luminosa da poter guidare senza troppi problemi di vista.

Al mio fianco, Grover, guidava con gli occhi ben piantati sulla strada. Si districava nel poco traffico con ammirabile destrezza, scartando le altre auto come facevano i giocatori di calcio quando erano in possesso di palla.

I semafori, incredibilmente, diventavano verdi appena lui si avvicinava.

Prese per sbaglio una tombino particolarmente ricurvo, che fece sobbalzare il furgoncino e, di conseguenza, anche noi.

Un salto, un tonfo sordo e poi, dai sedili posteriori, un gemito di dolore. Dallo specchietto retrovisore vidi Jackson-il-cafone massaggiarsi la testa con una perfetta smorfia sul volto. Aveva picchiato la testa sul tettuccio del furgone.

Grover sorrise di sfuggita nello specchietto retrovisore.

-Scusa Percy, sto cercando di evitare la maggior parte di buche ma sono così tante che è impossibile non beccarne almeno una.- si scusò.

-Non fa niente.- borbottò Jackson portando il braccio al finestrino e appoggiandoci sopra la testa.

Gli occhi di Grover tornarono attenti alla strada che si era fatta più irregolare. I palazzi cominciavano a farsi via via più radi, mentre gli alberi aumentavano.

All'improvviso lo sterrato si fece ghiaioso, mentre l'asfalto diventava una macchia scura alle nostre spalle.

Guardai l'orologio che portavo al polso, e mi accorsi che era passata già una buona mezzora da quando eravamo partiti dall'aeroporto.

Grover, dopo avermi lanciato un'occhiata fugace, mi rassicurò.

-Tranquilla, siamo quasi arrivati. Come avrai già capito, la casa non è proprio in centro città.- piccola risatina. -Anzi, è tutt'altro che in centro.-

Ci lasciammo alle spalle l'ultimo lampione funzionante per immergerci nell'oscurità. Solo i fanali del furgoncino proiettavano abbastanza luce conica da poter orientarsi in quel buio pesto.

Lo sterrato ghiaioso era diventato di terra arida. Una serie infinita di alberi, prevalentemente querce e pini, incorniciavano il limite della strada, aiutando il guidato nell'arduo compito di guidare.

Avevo preso la patente a 17 anni, sotto suggerimento di mio padre che era un amante delle auto, nella speranza che anch'io mi appassionassi ai motori. Sfortunatamente vedevo questa possibilità solo come un'esigenza di trasporto invece di un eventuale hobby.

Love the way you live     [PERCABETH]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora