Rio de Janeiro, qualche giorno dopo
Quante volte, da quando ero arrivata in Brasile, avevo avuto l'occasione di camminare sola per la casa prima ancora che Chintia cominciasse ad armeggiare con le stoviglie?Domanda interessante, se ci si pensa, no? Dopotutto quella donna era capace di stare sveglia anche tutta la notte a incitare le galline perché deponessero le uova per paura di farci rimanere senza cibo per fare colazione.Ma la vera domanda, quella che perfino mio padre non avrebbe mai osato pensare di formulare, era un'altra. Quante volte mi ero svegliata alle 5:30 del mattino, quando ancora i grilli friniscono del prato e il gallo russa beatamente sulla sommità del camino, senza che mi venisse la benché minima voglia di tornare ad appoggiare la testa sul cuscino e lanciare un dardo alla sveglia se questa avesse osato anche solo emettere un piccolo suono?Sul serio, non c'era persona meno mattiniera di me. E tutti lo sapevano bene. Anche Percy, che non aveva mai avuto il coraggio di venirmi a svegliare prima delle 7.Quindi perché diavolo ora mi trovavo davanti alla porta della sua camera, con la mano alzata già pronta a bussare e un sorriso deficiente stampato sulla faccia? Ed ero sicura al cento per cento di stare sorridendo vista l'immagine riflessa che mi ero trovata davanti allo specchio solo due minuti prima.Due minuti prima. Le 5:28.
Roba da far venire la pelle d'oca anche a chi lavorava di notte.
A sostenere la mia tesi sul sorriso deficiente ci pensava il vago dolore che cominciavo a sentire alle guance, non proprio abituate a stare in quella posizione così a lungo.
Non so bene come era potuto succedere. Insomma, un momento prima stavo dormendo beatamente, mentre quello dopo ero lì, seduta nel letto, con un pensiero confuso in testa e la sensazione di dover fare qualcosa. Così mi ero alzata, inorridendo davanti all'orario proiettato dalla sveglia, ma avevo continuato a seguire quella strana idea: mi ero cambiata, indossando dei vestiti abbastanza leggeri e una felpa in vita, poi ero uscita il più silenziosamente possibile, lasciando la porta leggermente aperta nel caso in cui il gatto avesse voluto entrare.
Sì, Frappola mia piaceva e sì, era riuscito a corrompermi in cambio di qualche miagolio ben piazzato.
In realtà, se devo dirla proprio tutta, l'idea che avevo non era caduta dal pero solo nel momento in cui mi ero svegliata. No. Era un pensiero che vagava nella mia testa da un po', esattamente dal giorno successivo all'episodio della macchina.
Mi era piaciuto molto, non potevo nasconderlo a nessuno. Il fatto che Percy avesse pensato di dover fare qualcosa, quella cosa, per me, per farmi capire ciò che ancora non avevo compreso, aveva significato molto. Davvero tanto.
Non aveva fatto nulla di maestoso o prestigioso, ma alcune volte un gesto semplice, spontaneo, vale molto di più di ciò che si può fare con i soldi. E lui era riuscito a guadagnarsi qualcosa d'importante, di speciale, che non concedevo a nessuno da molto, molto tempo: la mia totale e completa fiducia.
Quando eravamo tornati a casa qualche ora dopo, mi ero premurata di riporre la sciarpa che avevo usato per bendarmi in fondo all'armadio, vicino alle scarpe e al vestito. Un'altro tesoro da aggiungere alla mia collezione di ricordi di quel viaggio che difficilmente avrei scordato.
Quella mattina avevo deciso che era il giorno giusto per farlo, ma non potevo pensarci da sola: il piano comprendeva anche la presenza di Percy perché avevo bisogno di un passaggio.
E perché la cosa non avrebbe avuto senso senza di lui.
Non potevo però presentarmi in camera sua alle 5:30 di mattina, vestita di tutto punto e con il pretesto che lui si alzasse dal letto solo per accontentare un mio capriccio quindi dovevo trovare un motivo valido per convincerlo, e io sapevo come.
Per mio fortuna, e sua sfortuna in base ai punti di vista, ricordavo bene che lui mi doveva ancora un piccolo favore, frutto della promessa che aveva fatto nel momento in cui gli avevo lasciato il bagno sotto scongiura, poche settimane prima.
E io ero intenzionata a riscuotere il mio premio proprio alle 5:30 di un Mercoledì mattina, già.
Posai la mano sulla maniglia e, senza indugio ma con delicatezza, l'abbassai lentamente, buttando poi la testa oltre la soglia per spiare l'interno della camera.
Era tutto buio, ma si riusciva a vedere abbastanza bene nella stanza perché Percy aveva lasciato le imposte della finestra aperte. Diceva che, così, non rischiava mai di rimanere a letto, visto che la sua sveglia era magicamente caduta nella vasca qualche settimana prima. Già, alla fine ero riuscita a farmi ridare la mia, di sveglia, anche se in cambio gli avevo dovuto dare un bacio – una vera catastrofe, insomma – .
Feci scorrere lo sguardo nella camera, soffermandomi poi sul letto, dove il mio ragazzo stava dormendo beatamente. Entrai con cautela, avvicinandomi a lui silenziosamente. Grazie al cielo le assi di legno del pavimento non scricchiolarono sotto il mio peso, cosa che invece succedeva nella mia camera.
Non potei proprio evitare di sorridere divertita quando, vicina a lui abbastanza per distinguere bene i suoi lineamenti, vidi il modo in cui era sdraiato: con un braccio a penzoloni oltre il bordo del letto, l'altro appoggiato sul petto e la bocca spalancata, Percy era il ritratto del principe azzurro. Per completare tutto ciò, stava pure sbavando, proprio come quel primo giorno sull'aereo.
Mi stupii nel constatare quanto tempo fosse passato. Quante cose fossero successe da allora. Quanto io fossi cambiata.
Appoggiai le ginocchia a terra per essere all'altezza del letto, poi allungai una mano per scostare un ciuffo di capelli dalla fronte di Percy. Ero più che sicura di non poterlo svegliare con un leggero sfioramento di dita, e infatti lui continuò a dormire spensierato.
Non mi sarei mai stancata di guardarlo mentre dormiva. Un po' mi dispiaceva di non poter vedere i suoi meravigliosi occhi verdi, ma il suo volto restava bello ugualmente. Sopracciglia scure, naso dritto e una mascella squadrata. Vicino alla tempia vi era una piccolissima cicatrice bianca, il ricordo di una brutta caduta dallo skateboard quand'era piccolo, così mi aveva raccontato.
Erano poche le occasioni in cui ero io a osservare lui e non il contrario.
Avevamo preso l'abitudine di stenderci su un telo nel prato davanti a casa nel pomeriggio, dopo esser tornati dalla scuola, e stare semplicemente così, lui con le gambe incrociate e io con la testa sul suo petto e un suo braccio a cingermi le spalle. In un paio di quelle occasioni era capitato che mi addormentassi mentre ascoltavo il battito del suo cuore, e al mio risveglio lo avevo trovato a osservarmi intensamente, dritta negli occhi. Secondo lui, stare sdraiato un'ora e passa a guardarmi dormire non era affatto uno spreco di tempo. Vallo a capire.
Dovevo smetterla di addormentarmi, sul serio! Sopratutto visto che mi sentivo ancora un po' a disagio al pensiero di essere osservata, ma alla fine questo non importava perché era Percy e andava bene così.
Mi riscossi da quei pensieri a malincuore, costringendomi a concentrare la mia parte razionale sul motivo per cui ero nella camera del mio ragazzo prima dell'alba, proprio come una stalker.
«Percy?» lo chiamai a bassissima voce, nella speranza che bastasse quello per svegliarlo.
Vane speranze, lo sapevo, infatti lui continuò a ronfare bellamente e a sbavare.
«Percy, svegliati!» riprovai con un tono più alto, questa volta scuotendolo piano per la spalla.
Lui si mosse leggermente, farfugliando qualcosa di incomprensibile, poi...
... nulla, perché tornò a dormire.
Sapevo benissimo che destarlo dal suo sonno sarebbe stato un grave problema nel mio piano, come un'incognita, ma speravo sul serio di non arrivare a tanto. Beh, io ci avevo provato, no? Se con le buone proprio non funzionava, rimanevano solo le cattive, purtroppo.
Quindi lasciai scorrere lentamente la mano sul suo braccio, accarezzandolo, per poi fermarmi sul bicipite e dargli un forte pizzicotto. E, finalmente, lui si tirò su dal letto di scatto, con gli occhi spalancati e il respiro trattenuto. Mi scansai appena in tempo per evitare di subire una testata.
«Ma che dia–»
Gli appoggiai una mano sulla bocca per evitare che svegliasse Grover o Chintia. Riconoscevo di non essere stata proprio delicata, ma lui si era svegliato e questo era l'importante, no?
«Shhh! Ora ti lascio andare, ma cerca di non urlare, okay?» sussurrai.
Lui fece un segno di assenso con la testa, alzando gli occhi al cielo, quindi ritirai la mano.
«Tutto bene?» domandò subito.
Io annuii, sorridendo leggermente dopo aver acceso la lampada sul suo comodino. In questo modo potevamo vederci meglio.
«Ma che ore sono?» chiese mentre si stropicciava gli occhi con entrambe le mani, per poi passarsele nei capelli combinando un vero e proprio disastro di proporzioni epiche. Quello era il suo tratto distintivo e amavo sul serio quando riuscivo a trovare il coraggio di allungare le braccia e mettere le mani nei suoi capelli per giocarci un po'.
Alzai le spalle, cercando di fare l'indifferente. «Sono le 5:30.»
Com'era prevedibile, Percy si accigliò vistosamente mentre si chinava in avanti, verso di me.
«Le 5:30? Sei davvero sicura di stare bene? È scoppiato un'incendio?» domandò sarcastico. La sua faccia esprimeva sbalordimento, ma il della sua voce era un po' canzonatorio.
«Ah. Ah. Molto divertente, davvero. E sì, sono sicura di stare bene» risposi cercando di far trapelare tutto il sarcasmo di cui ero capace, ma sotto sotto ero felice che la prima cosa che mi aveva chiesto era se stavo bene. Significava davvero molto.
La sua bocca si curvò in un sorrisetto e, ai lati, si formarono due piccole fossette. Cercai con tutte le mie forze di non allungare una mano per toccargliele.
«Ne sono felice» mormorò.
Passò ancora una volta la mano tra i capelli, poi si scostò leggermente a destra per farmi un po' di spazio, in modo che potessi sedermi sul suo letto anch'io. In effetti, cominciavo a sentire male alle ginocchia.
«Dunque, bando alle ciance» disse mentre prendevo posto accanto a lui, piegando una gamba sotto l'altra. «È un vero onore averla nelle mie stanze, signorina Chase. A cosa devo tale piacere?»
Non potei evitare di sorridere divertita davanti al suo tono formale. Insomma, indossava una maglietta che aveva visto giorni migliori, era coperto da un lenzuolo stropicciato e i suoi capelli erano un incubo anche per il più temerario dei parrucchieri. Il tutto risultava davvero buffo.
«Sono contenta che tu ti diverta con così poco, Testa d'Alghe, ma sono venuta a riscuotere ciò che mi aspetta» gli risposi, guardandolo alzare un sopracciglio.
«E sarebbe?»
Allargai le mani. «Il tuo debito, ovvio! Hai presente il favore del bagno, no?» domandai, alzando un angolo della bocca.
Quando lo vidi spalancare gli occhi e aprire la bocca, non riuscii a trattenermi dal sentirmi soddisfatta. Di cosa, non lo so proprio.
«Ma io stavo scherzando!» rispose facendo un finto broncio.
In risposta gli diedi una piccola pacca sul braccio. «No che non scherzavi! Ricordo perfettamente di averti sentito dire "Farò qualsiasi cosa mi chiederai".»
Passarono alcuni istanti di silenzio, durante i quali ci sfidammo reciprocamente con lo sguardo, ma alla fine, com'era ovvio, vinsi io in seguito a un suo sospiro.
«Quindi?» domandò rassegnato.
«Quindi ora ti alzi, ti cambi e poi porti la tua magnifica ragazza al mare per vedere l'alba, proprio come l'altro giorno» dissi con un sorriso, chinandomi poi in avanti per dargli un sonoro bacio sulla guancia.
In risposta al mio piano geniale lui sbuffò, poi all'improvviso, sfruttando il fatto che mi fossi avvicinata per baciarlo, mi prese per le braccia, attirandomi a sé. Così ci ritrovammo sdraiati, una sopra l'altro, e non feci in tempo neanche a dire qualcosa che lui aveva unito le nostre labbra.
Capii subito che quello sarebbe stato un bacio lungo per svariati motivi, uno dei quali il fatto che né io né Percy sembravamo avere intenzione di mettervi fine a breve.
Non posso dire che il bacio non fosse ben voluto perché mentirei a me stessa, ma ero sul serio intenzionata a portare a termine il mio piano e restare a letto avrebbe solo rallentato il tutto. Malgrado ciò non potei proprio evitare di ricambiare il bacio mentre arrotolavo una ciocca di capelli tra le dita e con l'altra mano stringevo la sua maglietta all'altezza della spalla. Nel momento in cui finalmente schiusi le labbra, quel contatto divenne qualcosa d'intimo, di proibito, quasi peccaminoso.
Era il primo ragazzo che baciavo in quel modo, il primo ragazzo a cui permettessi di baciarmi in quel modo. In un paio di occasioni era capitato che lo dovessi bloccare perché immagini di quella sera mi tornavano in mente, e il cuore rischiava di esplodermi nel petto. Ma la maggior parte delle volte riuscivo a vincere la paura del momento, sopratutto se pensavo che lì con me c'era Percy e nessun'altro.
In cerca di aria, mi separai dalla sua bocca mentre lui si spostava verso l'incavo del mio collo, dove sapeva di trovare una zona davvero molto sensibile. Cominciò a far passare la punta della lingua sulla pelle, per poi tornare a posarci la bocca e mordere leggermente. E io non potei far altro che trattenere il respiro, lasciandomi sfuggire un piccolo gemito gutturale dalla gola.
Cambiai posizione, spostando la gamba dall'altra parte del letto e mettendomi a cavalcioni sulle sue cosce. In quel modo riuscii a far passare le mani sul suo petto, attraverso la maglietta percependo i suoi muscoli guizzare sotto il mio tocco leggero.
E poi... beh, lo sentii sotto di me. Il suo desiderio. La sua eccitazione.
Doveva essersene accorto anche lui di quel contatto perché, dopo essersi lasciato scappare un profondo sospiro, posò le sue mani sulle mie, bloccando qualsiasi cosa stessi facendo.
Ero confusa. Davvero molto confusa.
Una parte di me sapeva che, se lui non si fosse fermato, probabilmente avremmo continuato fintanto che la mia stabilità mentale poteva sopportarlo. Il problema è che non aveva idea di quanto sarei riuscita ad andare avanti. Inoltre, sentire con il mio corpo quanto il suo mi desiderasse, aveva annebbiato completamente i miei pensieri, e ora non sapevo cosa pensare: dovevo esserne felice? Oppure era il caso che mi preoccupassi?
Stavamo insieme soltanto da qualche settimana e lui mi aveva detto chiaramente, forse perché qualcosa sospettava, di volerci andare piano con la nostra relazione, di fare le cose con calma. Ero stata felice di questo: non sarei mai riuscita a passare del tempo in compagnia di qualcuno che voleva solo approfittarsi di me nel giro di un paio di appuntamenti. Sarei andata completamente in paranoia, comprando il primo biglietto per New York e decidendo di non uscire più di casa.
Che Percy avesse cambiato idea sull'andarci piano? In quel caso, probabilmente, dovevo uscire in fretta dalla sua camera e mettere fine a quella relazione.
«Ehm... Scusami» mormorò Percy, grattandosi la testa con evidente imbarazzo. Il collo gli si era tinto di rosso e i suoi occhi sembravano guardare ovunque tranne me. «È che, sai... è mattina presto e, beh... tu sei bellissima.»
Oh.
Oh!
Dio quant'ero stupida! Dovevo smetterla di arrovellarmi la testa con dei stupidi e infondati dubbi su Percy visto che, ogni volta, lui riusciva a dimostrare di essere il miglior ragazzo che avessi mai potuto sperare d'incontrare in tutta la mia vita.
Non solo era stato lui stesso a fermarsi, dimostrando di avere un autocontrollo notevole –, ma si era pure scusato. E poi aveva detto che erobellissima.
Arrossii involontariamente, sentendo che il silenzio carico del mio e del suo imbarazzo stava diventando davvero opprimente.
Alla fine Percy tossicchiò, schiarendosi la voce, e azzardò una piccola occhiata nella mia direzione. «Ehm, potresti darmi cinque minuti, per favore?» domandò. «Sai, devo cambiarmi e ho bisogno di qualche minuto per... riprendermi.»
Saltai in piedi all'istante, e solo in quel momento capii perché faticasse a guardarmi in faccia: mi sentivo allo stesso modo.
«Oh, certo, sicuro» balbettai. «Allora io aspetto fuori» aggiunsi indicando la porta e dirigendomi in quella direzione.
«Okay, ehm, grazie...» rispose Percy ancora seduto sul letto. Prima di uscire notai che teneva stretto in pungo il lenzuolo, che lo copriva fino in vita. Decisi che fosse meglio rimanere all'oscuro di ciò che c'era sotto.
Non chiedere se non vuoi sapere, giusto?
***
Raggiungere la spiaggia non fu affatto facile come avevo pensato. Diverse volte dovemmo tornare indietro da dov'eravamo venuti e imboccare la strada opposta e, solo quando Percy scorse un paio di palme dalla forma strana, riuscimmo a districarci per le vie, arrivando alla spiaggia pochi minuti prima del tramonto.
La causa di tutto ciò era forse dovuta al fatto che io, la volta precedente, ero rimasta bendata fino alla fine mentre lui guidava. Se invece avessi guardato la strada, probabilmente sarei riuscita a ricordamela meglio di quanto non facesse il mio ragazzo. Certo, al ritorno non avevo nessuna benda a coprirmi gli occhi, ma diciamo che ero con la testa altrove, concentrata sul rivivere quell'ultima esperienza avuta con Percy.
A forza di andare a destra e a sinistra, alla fine eravamo finiti vicino a una piccola spiaggia, ben isolata dalla città. Non raggiungeva nemmeno i dieci metri in lunghezza, ma trovandola deserta, avevamo deciso di fermarci per qualche minuto. Alla fine eravamo rimasti lì per un paio di ore, dopo le quali eravamo tornati alla fattoria mano nella mano, con un sorriso sulle labbra e la certezza di potermi fidare ciecamente del mio ragazzo.
Quella mattina, però, c'era scuola e quindi avevamo davvero poco tempo prima di dover tornare. Malgrado ciò, non avevo davvero saputo resistere al desiderio di guardare l'alba con Percy su quella spiaggia, che era divenuto un po' il nostro piccolo posto nel mondo.
«Ebbene, ho riscosso tutti i miei debiti?» domandò Percy.
Ci eravamo messi sulla sabbia, qualche metro prima della risacca. Io sedevo tra le gambe di Percy, con la schiena e la testa sul suo petto caldo. Era piacevole stare in quella posizione, con il vento che mi soffiava leggermente sul viso e nessuna preoccupazione imminente su cui lambire il cervello.
«Uhm... Direi di sì, Testa d'Alghe. Anche se sarai sempre in debito con me» risposi.
Lo sentii sbuffare leggermente, con il fiato che mi solleticava il collo. Immaginai che sul suo volto fosse appena comparso un ghigno. «Ah, sì? E sentiamo, come mai?»
Feci spallucce, ma non potei nascondere un piccolo sorriso divertito.
«Beh, perché io ho accettato di mettermi con te, ovviamente! Sai quanta fatica ci vuole per sopportarti?» dissi con un finto tono lagnoso.
Calò il silenzio da parte sua ma, qualche attimo dopo, non riuscii a trattenere una risata genuina: sul serio, non c'era frase più falsa di quella che avevo appena detto.
«Ah, ti diverti a fare la spiritosa di prima mattina, eh?» borbottò mentre voltavo leggermente la testa e le spalle, in modo che potesse vedere che stavo sorridendo. I nostri volti distavano poco meno di una spanna.
Ero felice di quella vicinanza, non solo fisica ma anche mentale: sentivo di essere sulla stessa linea d'onda di Percy, ed ero immensamente grata di trovarmi lì in quel momento.
«Un po'.»
Lui scosse leggermente il capo, e alzò gli occhi al cielo. «Non mi lascerai mai in pace, vero?» chiese con un sopracciglio alzato.
«Esatto, Testa d'Alghe. Meglio che ti ci abitui» risposi appoggiando una guancia sulla sua e chiudendo gli occhi. Inspirai il profumo dei suoi capelli che si mischiò con quello del mare: un lato positivo dell'essere andati in spiaggia era che, per tutto il resto della giornata, Percy avrebbe profumato di sale e freschezza, quel misto di odori che potevi sentire solo al mare.
«Comunque ti ringrazio di avermi portato qui» dissi, tirando indietro la testa per lasciargli un bacio sulla guancia ruvida: frettolosa com'ero stata, non gli avevo nemmeno lasciato il tempo di radersi quella mattina.
Lui mi sorrise in risposta, poi io tornai a guardare l'orizzonte, appoggiando il capo vicino al suo collo.
All'improvviso la mia mente venne attraversata da un ricordo, non troppo lontano da quella mattina: davanti agli occhi vidi il giorno in cui io e Percy eravamo andati in spiaggia e lui, intenzionato a scoprire qualcosa di più sul mio conto, aveva proposto di giocare a dire-non dire con i peperoncini portati da casa. Ricordavo molto bene il momento in cui lui aveva fatto quella domanda, quella sulla mia verginità proprio mentre stavo per rispondere alla chiamata di mio padre al telefono. Ero andata completamente nel panico, lo dovevo riconoscere, ma per dei validi motivi. Grazie al cielo, alla fine Percy aveva deciso di non insistere nel sapere i dettagli che, sicuramente, non sarei mai riuscita a dirgli.
Ora però la situazione era cambiata: oltre a conoscerci meglio, avevamo deciso di provare a stare insieme, e questo implicava l'avere fiducia uno dell'altra; credere che, qualsiasi cosa fosse successa, lui ci sarebbe stato per me.
Ma questo valeva anche per quello che già era successo? Cosa avrebbe pensato di me Percy se avesse scoperto il mio passato? Mi avrebbe più guardata allo stesso modo? Avrebbe più avuto voglia di starmi vicino sapendo il fardello di problemi che mi portavo dietro?
Perché la verità era che avevo paura, paura che Percy mi lasciasse senza più guardarsi alle spalle.
Serrai le palpebre, ripetendomi che dovevo smetterla di pensare. Non c'era motivo per cui dovessi rovinarmi una bella mattina in compagnia di quello che ancora era il mio ragazzo a causa del mio passato: avevo rinunciato già a troppe cose per colpa di Luke ed ero stanca, stanca di tutto.
Era arrivato il momento di dire basta.
«Perché ci tenevi tanto a vedere l'alba?» chiese Percy all'improvviso, riportandomi bruscamente alla realtà. Con un po' di buona volontà, riuscii ad arginare i miei pensieri sul fondo della mia testa per riuscire finalmente a godermi quel momento.
Si creò una strana, ma piacevole, atmosfera: con il vento che soffiava leggermente dal mare, i raggi rossastri del sole all'orizzonte e Percy vicino, dentro di me cominciò a regnare una calma assoluta, quasi totale. Poche volte nelle ultime settimane – ma che dico? Negli ultimi anni – avevo avuto il piacere di sentirmi così bene. E tutto questo solo per merito di Percy Jackson, un ragazzo speciale, gentile e dal cuore nobile, il quale era stato in grado di strapparmi dal mondo isolato che mi ero creata. Dopotutto, forse per me c'era ancora speranza...
«Non lo so... Ne avevo voglia e basta, credo» mormorai, mentre le mie parole venivano catturate dal vento.
Stetti ad ascoltare Percy inspirare profondamente per poi lasciare andare l'aria con la stessa lentezza. Distese le gambe e fece passare un braccio sotto il mio, stringendomi la vita contro di sé, mentre percepivo i battiti del suo cuore aumentare.
«Che c'è?» domandai aggrottando leggermente la fronte.
Pochi attimi dopo lui chinò il viso, avvicinandosi al mio tanto che riuscivo a sentire la sua guancia ispida sul mio orecchio destro.
«Non voglio spaventarti, non voglio allarmarti e sopratutto non voglio metterti fretta. Accettalo e basta, non c'è bisogno che anche tu ricambi. È importante che tu ti prenda tutto il tempo, ma io ho l'urgenza di dirti che...» mormorò con un tono di voce pacato, ma carico di emozioni.
E poi accadde, senza alcun preavviso. «Ti amo, Annabeth.»
***
«Sapientona?»
Aprii un occhio, alzando una mano per mascherare i forti raggi del sole che mi davano fastidio, in modo da poter vedere meglio il profilo di Percy.
«Uhm?»
Non sapevo esattamente che ore fossero ma, calcolando il tempo approssimativo da quando eravamo tornati da scuola e la posizione del sole all'orizzonte, doveva essere quasi ora di cena. Sospettavo che, da un momento all'altro, Chintia avrebbe mandato Grover ad avvertirci che era pronto da mangiare.
Purtroppo, però, stavo pensando di saltare la cena e di andare dritta a letto, magari dopo un bicchiere di latte fresco, perché ero davvero molto stanca e, se non fosse stato per Percy che mi aveva chiamato, probabilmente mi sarei addormentata con la testa sulle sue ginocchia di lì a breve. Mi ero già fatta un promemoria mentale per il futuro: mai, e dico mai, decidere di alzarsi dal letto prima che il resto del mondo si svegli, nemmeno per passare un momento magnifico in compagnia del proprio ragazzo.
Okay, forse alla fine ne era valsa davvero la pena, ma non sarebbe di certo diventata un'abitudine!
Il fatto era che non riuscivo ancora bene a inquadrare la situazione, malgrado la scarica di emozioni che, ogni volta in cui ripensavo a quel momento, mi travolgeva il petto, facendomi desiderare di possedere una macchina del tempo per tornare indietro: Percy aveva detto di amarmi.
Lui. Amava. Me.
Come potevo essere sicura che, in realtà, non si era trattato solo di un brutto scherzo giocato dalla mia mente? In cuor mio, però, sapevo che era stato reale, proprio come lui era fatto di carne e ossa.
Ma oltre alle tre fatidiche parole, c'era quello che Percy aveva detto prima. Non solo lui accettava che io non fossi pronta a dirgli la stessa cosa – ne ero poi così sicura? –, ma si era premurato di avvisarmi, sicuro che mi sarei spaventata. E sicuramente sarebbe andata così se me lo avesse detto solo qualche settimana prima.
Forse per il luogo, forse per il tempo scelto, la paura che pensavo di sentire nel momento in cui Percy mi avrebbe detto "ti amo" non si era vista: al contrario, avevo avuto quasi la tentazione di ricambiare le parole. Alla fine, però, me n'ero stata in silenzio, limitandomi a cambiare posizione tra le sue braccia e a baciarlo intensamente.
La giornata, poi, era trascorsa velocemente e, in men che non si dica, eravamo tornati da scuola e ci eravamo accampati sul prato fuori casa, come altri pomeriggi prima di quello.
«È ora di rientrare. Sai anche tu quanto a Chintia dia fastidio il cibo freddo» disse Percy, spostando una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio svogliatamente.
Sbuffai contrariata da quell'idea, mettendomi seduta di malavoglia mentre lui si alzava, porgendomi una mano.
«Credo che andrò a letto direttamente. Sono troppo stanca per alzare anche solo una forchetta» mormorai, soffocando uno sbadiglio con una mano.
Percy mi rivolse un sorrisetto sghembo, mentre si chinava per lasciarmi un bacio all'angolo della bocca. «Come fa-»
«Percy Jackson?»
Non trascorreva giorno in cui non mi stupissi di come si facesse in fretta a passare dai momenti migliori a quelli che proprio non vorresti vivere, quelli che si evitano come la peste perché causano troppa sofferenza e amarezza.
Il bel viso di Percy, prima governato dalla pace più assoluta, impiegò esattamente un attimo di secondo a diventare di ghiaccio, con il sorriso congelato sulle labbra e una scintilla di rabbia repressa nello sguardo. Ancora chinato su di me, vidi il cambiamento repentino come l'arrivo violento di un uragano e non ebbi nemmeno il tempo di bloccarlo prima che lui si voltasse, posando gli occhi verdi sulla donna che stava alle sue spalle.
Anfitrite si ergeva in tutta la sua altezza in mezzo al vialetto, in cui era parcheggiata una lussuosa macchina praticamente nuova da tanto che scintillava, con una mano a chiudere il cardigan nero e l'altra abbandonata lungo il fianco.
Malgrado l'ultima volta che l'avevo vista indossasse un vestito da sera che le donava ovviamente un'aria da signora, in pantaloni kaki e semplice maglietta a tinta unita non era da meno: sembrava quasi che a circondarla ci fosse un'aurea regale, che solo le persone nate e cresciute nell'alta borghesia possedevano. La invidiai un po' per il modo naturale in cui si prestava, ben lontano dalla sciatteria con cui, di solito, mi presentavo io.
Eppure, a differenza di molte altre persone appartenenti al suo rango, Anfitrite non emanava quella sorta di arroganza mascherata da benevolenza. Se ne stava solo lì in piedi, con gli occhi puntati su di noi. Mi rivolse un breve sorriso cordiale, facendomi un cenno con il capo, poi si concentrò su Percy che, dal canto suo, non si era mosso nemmeno di un millimetro da quando si era voltato.
Avanzai di qualche passo, posando leggermente una mano sul braccio del mio ragazzo.
«Che cosa ci fai qui? Come fai a sapere dove vivo?» domandò lui, serrando la mascella. «Questa è violazione di domicilio! Vattene.»
C'era da riconoscere che la donna non si lasciò minimamente scalfire dal tono duro con cui Percy le aveva parlato, ma, anzi, mosse qualche passo, accorciando la distanza a meno di due metri da dov'eravamo noi. Sotto la mano sentii i muscoli del braccio di Percy tendersi, segno che avesse serrato i pugni.
«Sono venuta in pace, davvero. Vorrei solo parlare qualche minuto con te, se è possibile, e poi toglierò il disturbo» rispose Anfitrite. «Annabeth può restare, se preferisce»aggiunse poi, rivolgendomisi con gentilezza e cordialità.
Non avevo dubbi che fosse venuta in pace, malgrado il pensiero che Percy aveva su di lei: da ciò che avevo potuto apprendere la sera del gala, Anfitrite era l'eccezione a tutte le regole dell'alta borghesia. Questo, ovviamente, rendeva ancora più curiosa la storia di Percy e di suo padre che, invece di stare con Sally, era scomparso, lasciando una collana a forma di tridente e un bambino di cui prendersi cura, per sposare una bella donna ricca, più agevole al tipo di famiglia da cui proveniva Poseidone.
Se avessi dovuto azzardare un'ipotesi, avrei optato per il classico matrimonio combinato, ma Anfitrite non sembrava affatto il genere di donna che permetterebbe a un uomo di abbandonare il proprio figlio, anche se questo è costretto da un contratto.
E poi, il tempo dei matrimoni combinati era passato da un pezzo, anche per i nobili.
«No. Te ne devi andare subito. E non osare più tornare.»
Guardai Percy e non potei evitare di dispiacermi per lui vedendo la sofferenza mascherata dalla rabbia nei suoi occhi. Non era facile da cogliere, ma io sapevo che c'era. E sentivo anche che, se Anfitrite se ne fosse andata senza dire nient'altro, Percy se ne sarebbe pentito per tutta la vita, domandandosi cosa lei fosse venuta a dirgli.
«Percy, guardami» dissi, appoggiando una mano sulla sua guancia per convincerlo a voltarsi con riluttanza. «Sei sicuro che non te ne pentirai se ora lei sale in macchina e se ne va? Sei convinto che sia meglio ignorare il problema e fare finta che non esista? Dopotutto, cosa ti costa ascoltarla per qualche minuto?»
Lui aprì la bocca, pronto a ribattere, ma io gli appoggiai una mano sulle labbra e scossi leggermente la testa. «Ascoltala, Percy, ti prego. Io sono qui, di fianco a te, ricordalo» mormorai a voce più bassa, accarezzandogli la guancia, fino ad arrivare all'orecchio.
Lui mi guardò negli occhi per quelli che mi parvero anni, poi alla fine chiuse le palpebre e sospirò profondamente, deglutendo.
«Va bene, parla, ma sii veloce. Avrei altro di meglio da fare...» disse, rivolgendosi ad Anfitrite con astio, senza mascherare il diniego.
La donna sorrise brevemente, incrociò le braccia e parlò.
«Ho sempre saputo della tua esistenza, ancora prima di sposare Poseidone, e più volte ho cercato di convincerlo a incontrarti, a parlarti. Oggi non sono venuta qui con lo scopo di raccontarti tutta la storia, perché quello spetta a tuo padre farlo, ma ci tenevo a dirti che è una davvero una brava persona, malgrado ciò che la situazione faccia presagire. E vorrei chiederti di dargli un'altra possibilità di spiegarsi.»
Percy produsse una breve risata amara. «Ti ha mandato lui, non è vero?»
Anfitrite scosse il capo e nei suoi occhi lessi che era davvero sincera. «No, lui nemmeno sa che sono venuta qui. Pensa che in questo momento io sia da qualche parte al circolo di bridge.» Alzò gli occhi al cielo come se quell'idea fosse ridicola. «Ti prego, dagli un'altra possibilità. È davvero pentito del modo in cui ti ha trattato la sera del gala.»
Guardai preoccupata Percy serrare maggiormente la mascella per lunghi istanti di silenzio, ma poi lui si rilassò visibilmente, sospirando. Prima di rispondere mi lanciò un'occhiata, forse per scoprire la mia opinione in merito. Tutto ciò che feci fu un gesto con mento e una stretta sul braccio, e questo sembrò bastare per convincerlo definitivamente.
«Ci penserò, va bene? Non posso prometterti niente di più» disse alla fine.
E in quel momento sentii di essere veramente fiera di lui, per tutto. Allungai una mano e strinsi la sua nella mia, rivolgendo un sorriso ad Anfitrite.
«Okay. Grazie, Percy» rispose lei, annuendo. «E grazie anche a te, Annabeth, per averlo convinto ad ascoltarmi.»
Feci un gesto vago, guardandola dirigersi verso la sua macchina, dopotutto io non avevo fatto altro che Percy non volesse fare.
«E per quel che vale, sarei davvero felice di essere la tua matrigna, Percy» aggiunse poco prima di salire in auto.
La guardammo allontanarsi, un puntino sempre più piccolo all'orizzonte, poi mi voltai verso il mio ragazzo, che si strinse nelle spalle come se si volesse giustificare, e mi allungai per baciarlo.
«Sono fiera di te, Testa d'Alghe.»
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Love the way you live [PERCABETH]
Fiksi PenggemarAnnabeth ha diciotto anni ed è una ragazza come tutte le altre, forse un po' riservata, forse un po' cauta. Certo è che non sente di meritarsi ciò che le accade quella sera. Il trauma subito è così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere...