New York, Dicembre
Passai le dita sul finestrino e tolsi il sottile strato di condensa che vi si era creato sopra. Ai miei occhi comparve lo spettacolo più bello che potessi sperare di vedere dopo sei mesi.
New York era coperta di bianco come se qualcuno l'avesse avvolta in una calda coperta color latte per assicurarsi che non prendesse freddo, alla pari di un bambino. I candidi fiocchi di neve cadevano a una lentezza estenuante, ma pur sempre rilassante, andando ad aggiungersi allo strato biancastro che già occupava le strade e tutti gli edifici della città.
Non si trattava proprio di una bufera, grazie a Dio, perché altrimenti avremmo dovuto rimandare il rientro a dopo le feste natalizie. Bensì, era proprio quello che ci si aspettava dal clima di quei giorni: un miracolo di Natale.
Non avevo mai viso la città così bella. Sentii lo stomaco stringersi in una morsa e tutto il mio corpo fu pervaso da una piacevole sensazione di familiarità.
Ero a casa. Eravamo a casa.
Con il sorriso sulle labbra spostai lo sguardo alla mia destra e la vista cambiò completamente. Altro che neve candida! Percy stava sbavando beatamente con la testa appoggiata sulla mia spalla e il rivolo di bava che minacciava seriamente il mio maglione intatto – fino a quel momento, per lo meno.
Scossi il capo e alzai lo sguardo al cielo.
«Dopotutto qualcosa è rimasto uguale» mormorai mentre scuotevo delicatamente la sua spalla nel vano tentativo di svegliarlo. Percy dormiva da ben quattro ore, più o meno da quando avevamo sorvolato l'inizio del Messico e mai una volta aveva dato segni di essere vicino alla fine di quello stato catatonico.
Beato lui che riusciva dormire! Con tutta l'adrenalina che avevo in corpo mi era difficile anche solo immaginare di poter chiudere occhio.
«Ehi, bella addormentata nel bosco, il gallo sta cantando già da ore» ironizzai facendogli uno buffo sulla guancia. Quella non sporca di bava, s'intende. «Siamo quasi arrivati, tra poco inizieremo l'atterraggio» aggiunsi, aggiornandolo sulle parole dette poco prima dal pilota.
«Uhm, bene, non vedo l'ora di farmi una dormita come si deve nel mio letto.»
Alzai entrambe le sopracciglia, incredula. «Stai scherzando? Ti sei appena svegliato, Testa d'Alghe!»
Lui si strinse nelle spalle e mi guardò di sottecchi, sorridendo furbo. Si sporse in avanti, palesemente intenzionato a baciarmi, ma prima che potesse essere troppo vicino per non essere bloccato gli misi il palmo della mano sulla bocca. Aggrottò le sopracciglia e cambiò espressione del viso, spalancando gli occhi nell'evidente tentativo di addolcirmi con lo sguardo da cucciolo, ma, sfortunatamente per lui, non funzionò. Ci avevo fatto gli anticorpi, ormai.
«Scordatelo. Sei ricoperto di bava. Prima ti pulisci e poi ci posso ripensare» lo redarguii, anche se, in realtà, non avevo alcun problema a baciarlo così, tutto bavoso. Ero così abituata a lui appena sveglio, ormai, che la cosa non mi toccava minimamente. Ma era divertente vederlo mettere il broncio e tenerlo al guinzaglio per un po' non avrebbe fatto troppo male alla sua autostima, che era andata innalzandosi da quando ci eravamo messi insieme, mesi prima.
«Guastafeste. Non posso nemmeno dare un innocente bacetto alla mia ragazza che questa mi blocca. Dovrei seriamente prendere in considerazione l'eventualità di cercarmene un'altra, di fidanzata. Una che accoglie i miei baci divini e la mia bava come oro, che ne pensi?» domandò, alzando un angolo della bocca nella sua solita espressione strafottente.
Che dicevo sulla sua autostima?
«Penso che se quest'eventualità dovesse lontanamente accadere sarà meglio per te se cambi Paese. Se non addirittura Stato. Parlando per ipotesi, s'intente.» Sorrisi angelica e ripetei il buffetto sulla sua guancia mentre l'aereo cominciava ad abbassarsi di quota.
Strinsi la mano di Percy che, tutt'a un tratto, si era fatto silenzioso e pensai che nulla e tutto era cambiato in sei mesi. Eravamo seduti fianco a fianco su un aereo che stava percorrendo la medesima rotta di sei mesi prima, solo al contrario. Percy aveva ancora paura di volare e continuava a sbavare mentre dormiva. Io avevo ancora la stessa capigliatura e la convinzione che gli uomini fossero dei maiali non era cambiata, malgrado non potessi dire la stessa cosa di Percy e di molti altri che avevo incontrato negli ultimi mesi. Ma ora sapevo che al mondo, quegli stessi maiali erano davvero davvero pochi e le cose brutte capitavano. Sempre. Bisognava solo imparare a sopravvivere. Proprio come avevo fatto io.
«Ricordami di spedire una cartolina domani. Ho promesso a Nico che gli avrei mandato una foto di New York così che potesse vederla prima ancora di arrivare» dissi un po' per distrarre Percy, un po' per essere sicura di non dimenticarmene.
«Ma domani è la vigilia! I postini di certo non fanno gli straordinari per te.»
Alzai gli occhi al cielo. Di nuovo.
«Grazie tante. Hai capito cosa volevo dire, dai. Ricordamelo e basta.»
Percy alzò le mani davanti a sé mentre l'aereo toccava bruscamente terra con un sobbalzo che ci sbalzò tutti sui sedili. Un pilota davvero provetto quello alla guida...
Il fatto che Nico mi avesse fatto quella richiesta prima di partire non era così stramba. Io e Percy avevamo promesso a Nico che in estate sarebbe potuto venire a trovarci a New York se tutto sarebbe andato secondo i piani. Quel bambino mi mancava già. In realtà tutti mi mancavano: Chintia, Grover, Katia, Bianca... A Rio avevo lasciato una parte del mio cuore, e sarei sempre stata pronta a prendere un aereo per andare a riprendermela. Ed ero sicura che per Percy valesse la stessa cosa.
Ora però ero in fibrillazione: dietro i cancelli degli arrivi c'era mio padre. Mancava poco perché potessi tornare ad abbracciarlo. Mi era mancato talmente tanto che il cuore quasi mi faceva male.
«Sei sicura che sia una buona idea?» domandò Percy ridestandomi dai miei pensieri quando fummo davanti al carrello mobile del ritiro bagagli.
Aggrottai la fronte, confusa sul significato delle sue parole. «A cosa ti riferisci?»
Lui spalancò gli occhi, quasi indignato, e allargò le braccia. «All'incontrare tuo padre, ovviamente! Come fai a non essere preoccupata? Penso di avertelo già detto, ma i padri di solito tendono a odiarmi» borbottò, scuotendo il capo.
Davanti alla sua espressione così buffa, scoppia a ridere, lasciandogli un bacio proprio sulla guancia sporca. «Che c'è da ridere? Fossi in te io sarei preoccupato. Anzi, no. Me la starei facendo letteralmente addosso! Che succederebbe se mi odiasse? E se ci vietasse di vederci? Sai, non è che posso vivere a lungo senza i tuoi toast al burro d'arachidi e lattuga. Alla fine morirò!»
Attesi che terminasse con la sua crisi isterica da donna e poi lo presi per le spalle, anche se era più alto di me. No, quello non era affatto cambiato.
«Non è che i ruoli tra noi due si sono invertiti e nessuno mi ha avvertito? Da quando ti preoccupi di cosa pensa la gente?» gli domandai, ignorando il fatto che i bagagli avessero già iniziato a girare e che, probabilmente, i nostri fossero tra quelli. Puntai i miei occhi in quelli di Percy e non li distolsi più. «Ti amo, Percy, okay? E questo non cambierà mai, anche quando non mi ricorderai di inviare la cartolina perché sarai troppo impegnato a rimetterti in pari con la Play Station. Non mi importa cosa dirà mio padre, tua madre o chi per essi. Siamo tu ed io. Questo è ciò che conta.»
Passò qualche istante di silenzio mentre noi due non smettevamo di guardarci negli occhi. Probabilmente le persone intorno a noi pensarono che ci fossimo incantati, ma poco importava perché, quando Percy colmò la distanza che ci separava, tutto scomparve come sempre e le mie ultime parole divennero realtà. Eravamo solo lui ed io.
«E poi mio padre ti adorerà, scemo. Ma solo se ora muovi il culo e recuperi i nostri bagagli, altrimenti farò qualsiasi cosa in mio potere perché ti renda la vigilia un inferno» aggiunsi con un sorriso d'intesa. Sì, mi piaceva strapazzarlo qualche volta.
«Agli ordini, capo» disse Percy, facendo il saluto militare.
Venti minuti, qualche imprecazione e un piede schiacciato dopo, Percy riuscì nella sua impresa e ci incamminammo verso l'uscita. Presi un respiro profondo mentre Percy faceva passare una braccio intorno alla mia vita e mi stringeva a sé, poi le porte scorrevoli si aprirono davanti a noi e uscimmo.
Fu facile individuare mio padre tra la folla: stringeva tra le mani un cartello formato A3, giallo fluo, e il mio nome scritto sopra a caratteri cubitali.
Non posso dire esattamente quello che provai perché solo una figlia che ama tanto sua padre come me può comprenderlo. Posso dire solo che i metri che ci separavano scomparvero e io mi trovai stretta tra le sue braccia così all'improvviso che il cuore mi saltò in gola.
Ero a casa. L'altra mia casa.
Solo più tardi mi resi conto che Percy era ancora al mio fianco e che stava facendo la medesima cosa: per uno strano caso del destino Sally, sua madre, e mio padre si erano appostati vicini ad aspettarci e avevano cominciato a chiacchierare. Quando si dice scherzo del destino.
«Mamma, lei è Annabeth Chase» disse Percy indicandomi alla donna al suo fianco, mentre mi guardava con un'espressione strana sul viso che non riuscii a interpretare. Al contrario, a sua madre bastò guardarlo in volto per comprendere qualcosa che mi sfuggiva perché, un'istante dopo, malgrado avessi allungato la mano per stringere la sua, mi trovai stretta in un grosso abbraccio impossibilitata a muovermi, così non mi rimase altro che stringerla a mia volta.
Mi ricordava un po' Chintia.
«Annabeth, è un vero piacere conoscerti. Non c'è stata telefonata in cui Percy non mi abbia parlato di te.»
Inarcai le sopracciglia per la sorpresa essendo all'oscuro di tutto, ma ne fui felice, ovviamente. Sapevo da Piper che non era affatto facile trovare una suocera così benevola nei confronti della nuora.
«Beh, ehm, lui invece è mio padre. Papà, lui è Percy...» dissi, cercando di trattenere un sorriso. «Il mio ragazzo» aggiunsi e l'espressione che balenò per un istante sul volto di mio padre scacciò qualsiasi microscopico dubbio mi fosse venuto in merito.
Ma poi il suo voltò si fece duro. Si avvicinò a Percy e gli strinse la mano, arricciando le labbra. Che diavolo stava succedendo? Non avevo mai visto mio padre comportarsi in quel modo.
«Ragazzo, Sox o Yankees?»
La faccia perplessa di Percy rispecchiava la mia, anche se cominciavo a capire cosa avesse intenzione di fare mio padre. Sperai solo nella mia buona stella in cielo. Ormai mi restava solo quella.
«Yankees, signore.»
Sospirai un attimo prima che mio padre annuisse, solenne, e sorridesse a Percy per la prima volta. «Adoro la tua risposta, ragazzo. Benvenuto in famiglia.»
«Ehm... grazie?» rispose Percy, sorridendo nervosamente, ma visibilmente più rilassato di cinque minuti prima. Dal canto mio, mi lasciai andare a una risata divertita, cingendo le braccia intorno a Percy.
«Dunque, ora che abbiamo fatto le presentazioni... Vi va di venire da noi a cena, domani?» domandò Sally tutt'a un tratto. La vigilia era una cosa seria a New York, ma da quello che mi aveva raccontato Percy, sua madre non aveva problemi ad accogliere a braccia aperte chiunque facesse lo stesso con suo figlio. Quindi la proposta non era poi una sorpresa.
Lanciai un'occhiata a mio padre e bastò un istante per capirci. «Beh, non vogliamo rischiare di finire in ospedale per la seconda vigilia di fila, vero papà?»
Mio padre annuì una volta, solenne. Percy mi guardò confuso, ma io feci spallucce.
«Storia lunga. Beh, se mio padre è d'accordo, a me farebbe molto piacere, signora Jackson.»
Poi, tutti assieme, ci dirigemmo verso l'uscita.
Malgrado solo sei mesi prima pensassi il contrario, sapevo che la vita sarebbe continuata, in molti modi diversi.
Non avevo grandi piani, in realtà, ma non erano necessari.
Io e Percy avremmo ripreso l'università in Gennaio per completare gli studi e poi chissà. Magari potevamo prenderci un periodo per viaggiare, vedere il mondo e la bellezza che gli angoli più nascosti della terra celavano. Sicuramente ci saremmo amati.
«Ci vediamo domani» mormorò Percy chino sul mio orecchio quando, all'uscita, i nostri genitori si diressero nelle direzioni opposte. Lo guardai negli occhi e annuii, stringendolo a me per un ultimo istante. «Ti amo, Annabeth.»
Sorrisi.
Percy era al mio fianco e io non avevo dubbi che, insieme, potevamo fare e affrontare qualunque cosa.
Dopotutto ero Annabeth Chase, ed ero pronta a vivere.~ F I N E ~
Sapete cosa voglio fare ora? Andare a comprare un barattolo di Nutella formato famiglia (sì, comprare, perché in casa mia non esiste), tornare a casa dopo aver catturato qualche pokemon, ignorare mia sorella che chiede dove diavolo sto andando, chiudermi in camera, mettermi sotto le lenzuola (anche se è Luglio), spararmi a mille la playlist di Adele e piangere.
Piangere come se non ci fosse un domani.
Sentite i miei lamenti da tricheco dopo essere salito sulla bilancia e aver visto il numerino rosso?
Ecco, sono io.
Perché, beh... Okay, lo dico... E' finita. Finita sul serio.
La verità è che volevo rendere questa parte dei saluti speciale, ma probabilmente durerà molto meno di quello che è durato l'ultimo capitolo perché ho il cervello talmente vuoto al momento che non riesco a pensare.
Ci sono così tante cose da dire, tante persone da ringraziare, tanti insulti da fare a me stessa che è difficile stare dietro a tutto, tricheco in vacanza quale sono.
Sì, questo epilogo è arrivato dopo mesi, ma a mia discolpa dico che vi avevo avvertito. Voi lo sapete quanto sono incostante. L'importante è che è arrivato, no?
Il fatto è che negli ultimi mesi, più in generale nell'ultimo anno, sono cambiata quasi completamente. Non mi riconosco più nella persona che ero solo l'estate scorsa, e non so nemmeno se il cambiamento sia stato positivo o negativo. Poco importa perché ora sono qui e questa cosa, fanfiction se vogliamo proprio essere precisi, è giunta inesorabilmente al suo termine dopo.... quanti? Due anni e mezzo signori! Due. Anni. E. Mezzo.
Roba da pazzi dal mio punto di vista visto che non sono mai riuscita a portare a termine qualcosa di così lungo.
Mi ricordo ancora quando pubblicai il prologo (molto diverso da quello che potete leggere ora). La mia idea generale era molto vaga e inesperta per quanto riguardava i temi trattati. Non che ora sia cambiata di molto.
Vorrei citare ogni singola persona che mi ha accompagnata in questo lungo cammino, ma ho una memoria molto corta e, sopratutto, sono piiiiigrissima. Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie.
G R A Z I E. Voi che seguite, ricordate, preferite, recensite: siete le mie persone (e sì, ho rubato palesemente la citazione).
Ora il punto dolente.
Ci sarà un sequel? Ehm.....................
Mi rammarica dirlo a chiare lettere, ma no.
Probabilmente no.
Per varie ragioni, una tra le quali è che mi sto concentrando su un'originale (trovate il prologo ).
E poi, gente, mi aspetta un anno d'inferno (alias quinto anno per i comuni mortali) e dopo di quello inizia la vera vita.
Si cresce, purtroppo. Sigh.
Non escludo però completamente la cosa, sia chiaro. Chi lo sa? Magari mi viene lo sghiribizzo dei cinque minuti e mi invento qualcosa.
Il fatto, però, è che io odio i sequel. Trovo che tolgano quel tocco di magia che l'originale ha. Non so se mi spiego...
Duuuuunque. Chiudo qui.
Oddio, sto davvero per mettere la parola fine.
Okay, vado a immergere la faccia nel barattolo. Fanculo la dieta. Questa è una situazione di emergenza. Ti prego, Santa Adele, cura le mie ferite.
Non mi resta che dire una sola cosa: grazie.
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Love the way you live [PERCABETH]
FanficAnnabeth ha diciotto anni ed è una ragazza come tutte le altre, forse un po' riservata, forse un po' cauta. Certo è che non sente di meritarsi ciò che le accade quella sera. Il trauma subito è così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere...