Fattoria Ferreira, una settimana dopo
Annabeth
La Domenica passò, e così anche il Lunedì. Come avevo promesso a Katya, passai tutti i giorni subito dopo la scuola a trovare Nico, che non mostrava segni di miglioramento.
Mi ero procurata delle aspirine e un termometro, che tornava sempre utile. Con quelli speravo di poter portare alla guarigione Nico, ma dopo quattro giorni non vedevo segni di miglioramento.
Trascorrevo gran parte del mio pomeriggio al capezzale del bambino, cambiando ogni mezzora la benda bagnata sulla fronte, per fare in modo di dargli un po' di sollievo.
Varie volte lui si era svegliato dal suo sonno profondo, e in quelle occasioni ero riuscita a nutrirlo abbastanza per donargli un po' di forze necessario.
Arrivata a Mercoledì non notavo, ancora, nessun miglioramento e la mia preoccupazione e quella di Katya crebbero tanto che, quando me ne andai quella sera, decidemmo di portarlo al pronto soccorso se non fosse migliorato entro il giorno dopo.
E poi avvenne il miracolo. Giovedì, temendo già il peggio, bussai e il sorriso con cui mi accolse Katya mi rincuorò come mai prima.
La temperatura corporea di Nico si era abbassata durante la notte, ed era pure riuscito a mangiare mezzo piatto di brodino.
Fino a quel momento non mi ero accorta di nulla, ma una grande tensione mi aveva attanagliato lo stomaco, il che significava che lui aveva messo le radici nel mio cuore. Il che andava contro tutto quello che mi ero promessa prima di partire solo due settimane prima.
Quel Venerdì rimasi sveglia fino all'1 di notte, con solo un libro a farmi compagnia e il tremolio della luce di una lampada a rischiararmi il cammino.
La sveglia ticchettava i secondi inesorabilmente, ma, come mi succedeva spesso, la mia mente era proiettata su quello che accadeva nel libro, tanto presa dalla trama da non accorgersi della notte che si impossessava della sera tarda. Non mi ero preoccupata dell'ora tarda perché il giorno dopo, Sabato, non avevo lezione e quindi potevo dormire fino a tardi. Inoltre ero sicura che Chintia non sarebbe venuta a svegliarmi come, invece faceva gli altri giorni, perché c'era questa regola secondo cui il Sabato e la Domenica eravamo liberi di fare quello che volevamo.
Alla fine però, malgrado i miei coraggiosi propositi, la stanchezza aveva avuto la meglio, e io mi ero addormentata con il libro, aperto alla pagine a cui ero arrivata, sul petto e la testa piegata a destra. Grazie al cielo avevo l'abitudine di leggere mezza sdraiata.
Poco tempo dopo, o almeno così mi era sembrato, due colpi forti alla porta mi destarono.
Spalancai gli occhi, spaventata, voltando di scatto la testa alla porta che tremava ancora per i colpi subiti. Speravo di essermeli solo immaginata, ma due secondi dopo altrettanti colpi si abbatterono sulla porta, e io avevo il timore che potesse cadere da un momento all'altro.
Mi alzai di malavoglia, maledicendo in tutte le lingue che conoscevo chiunque avesse osato svegliarmi alle... un momento, che ore erano?
Lancia un'occhiata al display del mio cellulare, che giaceva dimenticato dalla sottoscritta sul mobiletto accanto alla porta, accorgendomi che erano solo le 8.10.
Chi diavolo aveva osato svegliarmi alle 8 e 10 di Sabato mattina?
I colpi alla porta erano diventati insistenti quando, finalmente, la spalancai. E rimasi paralizzata dalla sorpresa.
Jackson era di fronte a me, con un braccio e il pugno alzati, come per bussare. Lo squadrai da capo a piedi in meno di un secondo, rimanendo ancora più perplessa per il suo abbigliamento.
Sopra portava una semplice canotta bianca, a mezze maniche, ma sotto indossava dei pantaloncini al ginocchio, che, guardando il tessuto di cui erano fatti, servivano solo a fare una cosa: nuotare.
Lo fulminai con lo sguardo mentre, tutto ad un tratto, diventavo consapevole di come ero conciata io.
Indossavo solo dei pantaloncini di cotone striminziti e una canottiera con le spalline, che usavo solo in sostituzione del pigiama dato che erano entrambi, o troppo sformati (maglietta) o troppo vecchi (pantaloncini) per essere messi in altre occasioni.
Per non parlare dei capelli, simili ad un groviglio di uccello appena costruito, erano sciolti, anche se si poteva intuire il lato su cui, ad un certo punto, avevo dormito. Tutto sommato dovevo ringraziare il Signora, perché non mi truccavo quotidianamente, e quindi non correvo mai il rischio di svegliarmi ed assomigliare ad un koala.
Rimasi lì in piedi, uno di fronte all'altro, io con una mano sulla maniglia e lui con una canna in mano.
Senza dire nulla, feci per sbattergli la porta in faccia, ma lui la blocco con un piede, così non ebbi scelta che perdere tempo nello ascoltare quello che aveva da dire. Alle 8 e 10 di Sabato mattina.
-Che diavolo ci fai qui?- borbottai, incrociando le braccia al petto, per cercare di nascondere il fatto che non portavo il reggiseno. Mi bloccai e riavvolsi il nastro. Percy aveva in mano una canna da pesca. Che diavolo ci voleva fare con quella? -E perché hai in mano una canna da pesca?-
-Che stavi facendo?- chiese di rimando lui, ignorando le mie domande.
-Secondo te? Stavo dormendo come i comuni mortali fanno il Sabato mattina!-
-Be', ora sei sveglia.- disse lui come se fosse ovvio. E in un certo senso lo era, ma non capivo dove volesse andare a parare, così alzai un sopracciglio. Lui allargò le mani.
-Forza, su! Ti do cinque minuti, non uno di più, per prepararti. Se non sarai pronta entro quel tempo sarò costretto a trascinarti giù con o senza il pigiama.- e dalla sua espressione era evidente che non stava scherzando.
Ma io continuavo a non capire.
-Un attimo, un attimo.- lo bloccai, alzando una mano e sospirando. -Dove, di preciso,mi vuoi trascinare?-
-Ma che domande! In spiaggia, ovviamente!-
Quel ragazzo era pazzo. Sul serio.
Non ebbi il tempo di produrre un pensiero razionalmente utile a ribattere perché lui, dopo aver sospirato profondamente, mi spinse gentilmente da una parte ed entrò nella mia stanza, senza chiedermi il permesso.
Raggiunse la mia valigia, ancora aperta ma praticamente vuota, dove avevo appoggiato le due borse che mi ero portata da casa, una per contenere i libri delle lezioni, e l'altra per tutto il resto del tempo. Acchiappò quest'ultima, appoggiando la canna da pesca sul mio letto sfatto che aveva ancora la forma del mio corpo sdraiato.
Aprì il primo cassetto, quello in cui tenevo mutande, reggiseni, calzini e altre cose intime, tra cui il costume, e si bloccò. Grattandosi la testa, lentamente prese un indumento e lo sollevò, voltandosi a guardarmi.
No, no, no, NO!
Tra tutti i cassetti doveva aprire proprio quello?
Spalancai gli occhi, paralizzandomi sul posto. Percy teneva in mano quel famoso paio di mutandine con il pizzo che Piper mi aveva infilato, di nascosto, nei bagagli e che io avevo accuratamente nascosto nei meandri nel cassetto. Come diavolo aveva fatto a trovarle?
-Che cosa...?- non gli diedi il tempo di terminare la domanda perché marciai come un bufalo imbestialito verso di lui, strappandogli di mano la lingerie.
-Non sono affari tuoi!- ribattei. Poi, anche se era più alto per me, lo presi per un orecchio e lo accompagnai gentilmente verso la porta. -E ora fuori dalla mia camera.- lo spinsi fuori e lui si girò prontamente, alzano un dito e aprendo la bocca per ribattere.
-Ma...-
Lascia che la porta gli sbattesse in faccia.
Credo che il messaggio non potesse essere più chiaro.
Mi appoggiai alla superficie di legno, chiudendo gli occhi e sospirando per un momento. Dentro di me era in atto un battaglia intellettuale tra i due emisferi del cervello. Uno sosteneva che andare al mare sarebbe stata solo una perdita di tempo, mentre l'altra voleva mandare a quel benedetto paese i miei ideali e lasciarsi andare almeno per una volta.
A quel paese.
Un altro sospiro più profondo, e poi mi precipitai verso la borsa che giaceva sul pavimento vicino all'armadio.
-Ora puoi gentilmente spiegarmi perché cavolo mi stai trascinando in spiaggia?- domandai, ventilando il mio povero collo madido di sudore con un foglietto che avevo trovato lì dentro.
La temperatura aveva raggiunto la sua massima altezza da quando io ero arrivata a Rio, e lo si poteva capire dalle radiazioni di sudore che aleggiavano nello spazio angusto del camioncino.
I pantaloncini corti e la canottiera bianca non servivano a nulla contro quel caldo torrido.
Guardai storto Percy, che invece teneva lo sguardo puntato sulla strada e le mani sul volante, intento a non perdersi nelle strade intricate di Rio de Janeiro.
Ghignò, lanciandomi una breve occhiata.
-Per divertirci, ovvio!- esclamò.
Con il mio sopracciglio alzato, e lo sguardo scettico doveva aver capito che non gli credevo. Sospirò, diventando, incredibilmente, serio.
-Be', dobbiamo vivere nella stessa casa per sei mesi, lavorando a stretto contatto, giusto?- feci un cenno di assenso. -Io non conosco te, tu non conosci me, quindi dobbiamo fare qualcosa per rimediare a questa mancanza. E cosa c'è di meglio di una giornata al mare?-
Rimasi in silenzio perché quelle parole mi fecero pensare molto. Era vero. Io non lo conoscevo, quindi perché all'inizio ero stata così indifferente nei suoi confronti classificandolo come un arrogante bamboccio?
-E siamo arrivati!- il motore del furgoncino smise di lavorare dopo che Percy girò la chiave dell'accensione.
Mentre aspettavo che recuperasse la sua roba, mi guardai attorno.
La spiaggia era lunghissima, e l'Oceano Atlantico si estendeva in una distesa blu fino all'orizzonte, luccicando sotto i raggi del sole splendente. La riva era già molto popolata da persone di tutte le età, giovani e anziani, intenti a fare il bagno ed abbronzarsi al sole. Quella era vita pura.
-Eccoci qua, possiamo andare.- mi voltai e rimasi impalata davanti a Percy che aveva in mano un ombrellone e un borsone che poteva contenere benissimo una bomba gigante.
-Sorpresa, eh? Devi imparare che io sono super organizzato in qualsiasi occasione, baby.- disse ammiccando.
-Chiamami ancora una volta baby e sarà l'ultima cosa che dirai. Se proprio lo vuoi usare, nomina "baby" tua nonna.- ribattei, girandomi per incamminarmi lungo il ballatoio che separava la spiaggia dal marciapiede.
-Okay, ho capito, non ti piace. Vuol dire che troverò un'altro soprannome.- disse allungando il passo per seguirmi.
Scossi la testa, alzando gli occhi al cielo. Avrei scommesso che non avrebbe smesso finché non avesse trovato un nuovo nome che mi piacesse.
Mi diressi nel punto più spopolato della spiaggia, in cerca di un po' di ombra, ma poi mi ricordai che Percy aveva portato un ombrellone, così mi limitai a lasciar cadere a terra la mia borsa e a stendere il telone variopinto.
Mentre Percy faceva lo stesso on il suo e piantava l'ombrellone nella sabbia, mi sfilai la canottiera dalla testa e slacciai i pantaloncini, abbassandoli.
Sotto indossavo il mio nuovo bikini, quello che Piper (ovvio) mi aveva consigliato di comprare quando aveva saputo che sarei partita per Rio, sostenendo che, anche se dovevo lavorare, un bagno nel mare non me lo avrebbe tolto nessuno. E, per una volta, dovevo ringraziarla.
Il reggiseno bianco, era contornato da un delicato merletto, lo stesso che caratterizzava anche il pezzo sotto. Dovevo riconoscere che il bianco faceva risaltare la mia carnagione californiana, già abbronzata di suo.
Faceva troppo caldo e io avevo il collo sudato, così mi raccolsi i capelli in una coda disordinata, alla bell'e meglio.
Quando alzai lo sguardo, mi accorsi che Percy mi stava fissando.
Aggrottai le sopracciglia.
-Che c'è?- gli domandai, perplessa. Mi ero dimenticata di farmi la ceretta alle gambe? Abbassai lo sguardo, terrorizzata a quel pensiero, ma le mie gambe erano lisce come il culetto di un bambino.
Percy deglutì, poi scosse la testa distogliendo lo sguardo.
-Niente.- disse mentre si toglieva la maglietta, facendola passare dalla testa.
Oh.
Be', il fisico c'è l'aveva, non potevo negarlo. Sentii il sangue affluire alle guance così distolsi lo sguardo, e mi misi a piegare i vestiti, riponendoli nella borsa.
-Allora andiamo?- chiese Percy, accennando alla distesa d'acqua blu.
Annuii e lo seguii.
Camminando nella sabbia, mentre mi lasciavo dietro le impronte del mio passaggio, una felicità che da un po' di tempo mi era estranea, mi accolse con sé, e io sorrisi.
-Io torno all'ombrellone.- comunicai a Percy quando immersi i piedi in acqua, che ritenevo troppo fredda per potermici immergere. Mi ritirai, odiando già la sabbia asciutta che mi si sarebbe appiccicata ai piedi bagnati, come il panne grattugiato si attacca alla bistecca umida.
Lui alzò le sopracciglia e ghignò.
-Oh, no. Non credo proprio.- non mi piacque affatto lo sguardo calcolatore che gli si dipinse in faccia, così, quasi involontariamente, cominciai a indietreggiare lentamente.
Il suo ghigno si allargò, mentre si avvicinava al mio stesso ritmo. Sembrava un leone intento a puntare il pranzo, ovvero la povera gazzella messa alle strette.
-Credo invece che ora mi seguirai in acqua, che ti piaccia o no.-
Spalancai gli occhi, scuotendo il capo con vigore.
-Oh no, Percy. Ti prego, non...- quello che seguì la mia frase fu un grido, perché lui era scattato improvvisamente e io, di conseguenza, avevo cercato di mettermi in salvo.
Corsi in direzione opposta all'acqua, zigzagando tra gli ombrelloni e la gente malcapitata che assisteva al nostro spettacolino.
Mentre correvo pensai solo che non volevo affatto bagnarmi, ma quando girai il capo per studiare quanta distanza ci fosse tra me e Percy, dovetti ingranare di una marcia perché lui mi era troppo vicino. Tutti i miei sforzi risultarono vani quando Percy mi afferro per la vita con le sue braccia muscolose. Quando mi caricò in spalla, sembravo un sacco di patate vivente, che scalciava e si dimenava, agitando le braccia in direzione di qualsiasi sguardo divertito incontrasse sulla spiaggia.
Nessuno mosse un dito per aiutarmi e la superficie dell'acqua era sempre più vicina.
-Tranquilla, sarò così veloce che non ti accorgerai nemmeno dell'impatto.- sghignazzò Percy con i piedi già bagnati. Mancavo poco.
-Lasciami! Ti prego non voglio fare il..- troppo tardi per evitare l'inimitabile splash che accompagnò il tuffo. Fu come essere nuda in mezza alla peggiore bufera di neve che aveva accolto New York l'inverno prima.
Il mio corpo annaspò, alla ricerca dell'aria presenta in superficie. Boccheggiai, sputacchiando l'acqua che mi era entrata dalla bocca e dalle narici.
Percy, immerso solo per metà del corpo, si stava sbellicando dalle risate.
-Io ti uccido.- ringhiai, mentre cercavo di staccare dalla faccia i capelli fradici che erano sfuggiti dall'elastico.
-Ah, sì? E sentiamo, come faresti ad uccidermi?- domandò Percy cercando di smorzare le risa che ancora gli scuotevano le spalle.
Feci quello che aveva fatto lui con me. Sfruttai la sorpresa.
Con un movimento fulmineo mi immersi in acqua, nuotando fino ai suoi piedi il più velocemente possibile. Li afferrai e con tutta la forza che avevo, li tirai in modo di far ribaltare Percy in acqua.
Mentre io tornavo in superficie, lui cadeva in acqua, producendo un grande spruzzo. Sorrisi soddisfatta del mio lavoro, e lo attesi con un sorrisetto soddisfatto, aspettando che lui tornasse in superficie.
E quando lo fece, non potei che scoppiare a ridere a crepapelle.
Il grande Percy Jackson grondava d'acqua e i suoi capelli corvini erano coperti niente meno che da alghe verdi. Sembrava che avesse i capelli multicolore. Inoltre l'espressione che aveva in faccia non fece altro che aumentare le mie risa, dato che mi guardava come se fossi un fastidioso moscerino ronzante.
-Povero Testa d'Alghe, si è bagnato.- lo canzonai sghignazzando.
-Ah-ah, molto divertente Sapientona.- disse incrociando le braccia al petto. Mi puntò un dito contro. -Sappi che pagherai molto caro questo tuo gesto.-
Alla sua minaccia mi limitai ad alzare un sopracciglio.
-Sì, certo, vedere per credere, Testa d'Alghe, vedere per credere.- ma il sorrisetto che mostrò, mi fece quasi rimangiare quello che avevo appena detto. Quel ragazzo non prometteva nulla di buono.
-Tregua, tregua!- ansimai mentre mi lasciavo cadere sull'asciugamano, con il fiatone causato dalla corsa che avevo fatto e dalle troppe risate.
Al mio fianco anche Percy prese posto sul suo asciugamano, scuotendo velocemente la testa per togliere le gocce d'acqua che imperlavano i suoi capelli, proprio come un cane.
Sbuffai divertita.
-Sembri un cane, Testa d'Alghe.-
-Oh, be', se sono un cane allora non dovrei aver portato il pranzo, giusto?-
Rimasi piacevolmente sorpresa.
-Ti sei ricordato il pranzo?-
-Be', ovvio, con Chintia che prepara il triplo delle quantità necessarie e sufficienti a sfamare una famiglia, come potevo dimenticarmi una cosa così essenziale?- disse ammiccando, mentre infilava le mani nel borsone che si era portato appresso.
Tirò fuori due recipienti; uno con dei tramezzini avvolti nel cellophane e l'altro con delle fragole rosse, entrambi chiusi da un coperchio di plastica. Per qualche strana coincidenza, aveva preso proprio il mio frutto estivo preferito.
-Mademoiselle, eccole servito il pranzo.- disse Percy imitando la voce di un cameriere francese.
-La ringrazio, monsieur, senza il suo aiuto non saprei proprio cosa fare.- risposi usando lo stesso accento. Dopo due secondi entrambi scoppiarono a ridere.
-Formaggio o prosciutto?-
-Uhm, vada per il prosciutto.- dissi afferrando il tramezzino al volo dopo che lui me l'ebbe lanciato.
Dopodiché diventammo incredibilmente silenziosi. Era come se tutta l'euforia che ci aveva preso fino a quel momento fosse scemata in un istante. Mentre scartavo l'involucro del mio pranzo mi chiesi mentalmente perché mi sentissi così imbarazzata. Un silenzio carico di imbarazzo ci avvolse, così cercai di evitare in tutti i modi il suo sguardo.
Ad un certo punto gli lanciai un'occhiata con la coda dell'occhio e lo beccai che mi stava fissando mentre lentamente masticava. Riportai in fretta la mia attenzione ai bambini che si schizzava giocosamente l'acqua in mare, ridendo e scherzando felici.
Accettando di fare quell'escursione con Percy ero andata contro tutti gli ideali che mi ero prefissata da quella fatidica notte. Da allora avevo evitato praticamente tutti i contatti con i ragazzi, limitandomi a partecipare alle lezioni e a uscire qualche volta con Piper solo perché non mi stressasse troppo sul fatto che non uscivo mai a divertirmi.
Inoltre la mia opinione sui ragazzi era cambiata radicalmente e, nel corso di quei due anni, ero arrivata quasi ad essere terrorizzata nell'avere un qualsiasi contatto con loro. Se mi riservavano un'occhiata troppo lunga io scappavo il più velocemente possibile, e concepibile in un luogo pubblico, nel posto affollato più vicino e se, inavvertitamente, qualcuno mi sfiorava, sussultavo mettendomi quasi ad urlare.
Mi rendevo perfettamente conto che il mio atteggiamento era troppo esagerato, ma c'era qualcosa che mi bloccava e niente sembrava riuscire a sbloccarla. Nè la psicologa, né i gruppi di sostegno.
Ma, in qualche modo, in quel momento mi trovavo lì con Percy e quel senso di oppressione non si era ancora fatto sentire. Speravo con tutto il cuore che, anzi, sarebbe rimasto al suo posto, nel profondo della mia mente, per tutto il resto della giornata perché la sensazione di leggerezza e felicità che provavo mi piacevano molto.
Quando finimmo di mangiare e Percy rimise nella borsa i recipienti vuoti ci sbirciai dentro e vidi un'altro recipiente che, a differenza degli altri due, non era trasparente.
-Cosa c'è lì dentro?- domandai indicandolo.
Lui, in fretta, chiuse la borsa sorridendomi in modo sghembo.
-Lo vedrai più tardi. Ora, se non ti dispiace, io schiaccerei un pisolino.- distese bene il suo telo da mare, spazzolando via quella poca sabbia che c'era salita sopra, poi fece ammucchiò la sua maglietta e i pantaloni e li usò a mo' di un cuscino. Sospirando, si sdraiò con un leggero sorriso di beatitudine sul volto, e gli occhi chiusi.
Perplessa lo fissai addormentarsi in meno di un minuto. Mi ero dimenticata della sua capacità di prendere sonno in poco tempo, eppure erano passate solo due settimane!
Ridacchiando tra me e me, ringrazia il cielo per aver pensato di portare un libro in spiaggia.
Riprendendo da dov'ero arrivata la sera prima, mi immersi nella lettura e tutto il resto svanì, come sempre. Accolsi con piacere i pensieri del protagonista che andarono a sostituire i miei ma, purtroppo, non mi ero accorta di aver quasi terminato le pagine così mi ritrovai ben presto a scorrere gli occhi sulle ultime parole, e a chiudere la quarta di copertina con un sospiro.
Non avevo nient'altro da fare e il tempo, quando ti giri i pollici, non passa mai. Purtroppo, io era un'esperta in materia.
Mi girai su un fianco, piegando un braccio per appoggiarci sopra la testa, sentendo il calore scottante del sole sul polpaccio che sostava dove l'ombra dell'ombrellone non arrivava. E, senza volerlo, mi ritrovai ad osservare Percy che dormiva.
Il suo petto si alzava e abbassava lentamente, con il respiro impostato sulla modalità "sonno", il viso sereno e la bocca spalancata.
Sbattei un paio di volte le palpebre per essere sicura di vederci bene ma la visione non cambiare: Percy stava sbavando come un lumacone. Perpendicolarmente alla sua bocca, sull'asciugamano c'era una macchiolina bagnata.
Oddio, che schifo!
Ripensai a come lui mi aveva svegliato sull'aereo, e a come lo avevo odiato in quel momento poi, un sorriso diabolico si aprì lentamente sulla mia faccia.
Beh... chi la fa l'aspetti, no?
Mi alzai lentamente, prendendo la bottiglia d'acqua vuota che avevo nella borsa, poi mi diressi verso il mare maledicendomi per non essermi messa le infradito. Non avevo pensato minimamente che a quell'ora la sabbia scottava con una stufa.
Sembravo una pazza che camminava saltellando, lanciando gridolini ogni tanto.
Accolsi con un sospiro di piacere il momento in cui i miei piedi toccarono l'acqua del mare, ma ben presto dovetti ritornare al mio ombrellone e il balletto di samba riprese.
Feci meno rumore possibile, anche se ero abbastanza sicura che Percy avrebbe continuato a "sonnecchiare" anche se fossimo stati bombardati. Lì accanto a noi, sostava una famigliola con due bambini abbastanza piccoli per poter ancora giocare a fare i castelli. Chiesi in prestito a uno dei due un secchiello piccolo, promettendo che gliel'avrei riportato in pochi minuti. Visto che sembrava un po' perplesso, gli spiegai in modo semplice quello che volevo fare, indicando a volte Percy con un dito, e quando ebbi finito lui mi guardò ridacchiando.
Bene, avevo pure un'alleato.
Riempii il secchiello di acqua e, dopo essermi sistemata in una posizione agevolata per un eventuale fuga, lo feci.
Gli rovesciai il secchiello in faccia.
Mi piegai in due dalle risate mentre lo guardavo alzarsi in fretta, con gli occhi spalancati e l'espressione di chi è scioccato in faccia. L'acqua gli colava lungo tutto il corpo e lui teneva le braccia lontano dal busto, fulminandomi con lo sguardo.
-Non l'hai fatto sul serio, vero?- domandò con una certa inflessione minacciosa nella voce che, purtroppo, fece solo aumentare le mie risate.
Tra le lacrime annuii.
-Oddio dovevi proprio vedere il salto che hai fatto!-
Incrociò le braccia al petto guardandomi truce, come se mi volesse incenerire con lo sguardo.
-Se mi chiedi scusa potrei prendere in considerazione il fatto di perdonarti per la congiura nei miei confronti.- disse dopo un po'.
-Scusa... mi dispiace di non aver registrato tutto per poterlo rivedere in futuro.- e poi ricominciai a ridere.
Percy mi puntò il dito addosso.
-Attenta a te, Chase. Oggi me ne hai già fatte due... di conseguenza la mia vendetta sarà doppia. Fai attenzione perché potrei attaccare quando meno te lo aspetti.- disse assottigliando gli occhi.
-Ripeto: vedere per credere, Testa d'Alghe, vedere per credere.-
Lentamente, come il sole che sorge e il fiore che sboccia, il suo broncio cambiò forma assomigliando sempre più ad un ghigno malefico che mise in allarme i miei sensori di pericolo.
-Che hai da sorridere?- chiesi un po' titubante.
-Oh, beh, mi chiedevo se ti andava di fare un giochino... sono sicuro che ci può aiutare a conoscerci meglio.- disse ammiccando.
Sebbene il suo tono di voce fosse neutro e ben studiato, il suo sguardo non me la raccontava ancora giusta. Se avessi acconsentito forse me ne sarei pentita ma, se non avessi rifiutato lui avrebbe avuto i materiali per sfottermi e stuzzicarmi e io non volevo dargli questa opportunità, sopratutto se Percy stava meditando un qualche tipo di vendetta nei miei confronti.
Così, arricciando le labbra, annuii e, dopo aver riportato il secchiello al bambino e avergli battuto il cinque ridacchiando, ritornai a sedere sul mio asciugamano.
Incrociai le gambe, infilandomi la canottiera dalla testa per evitare di scottarmi la schiena esposta al sole.
Nel mentre Percy aveva recuperato dalla sua borsa il terzo recipiente e lo aveva appoggiato tra la mia e la sua stuoia.
-Questa è una versione un po' modificata del gioco "le prime volte". Nel vero gioco, al posto di questi,- indicò con l'indice il recipiente. -ci sono dei bicchierini di tequila, ma essendo in spiaggia e non sapendo dove recuperarla, ho pensato ad un'altra alternativa leggermente più... piccante.-
Fece una pausa studiandomi.
-Io dico una cosa, e se tu non l'ha mai fatta devi mangiare uno di questi.- con studiata lentezza, aprì il coperchio di plastica e scoprì dei... peperoncini? -Per esempio: io dico "calciare un pallone", e se non l'hai mai fatto devi mangiarne uno, altrimenti racconti brevemente come è stata la prima volta che hai fatto quella cosa...- sembrava semplice, e in effetti lo era, ma la penitenza non era di mio gusto. Affatto.
-Andiamo, baby! Non ti vorrai sottrarre ad un giochetto così innocente... dov'è finito tutto il tuo spirito combattivo?- mi punzecchiò Percy vedendomi molto titubante. Aveva pure usato quell'assurdo nomignolo. E come se non fosse abbastanza per farmi cedere: -Dai, Annie! Non vorrai passare per una codarda...-
-Ti ho detto di non chiamarmi così!- borbottai incrociando le braccia al petto. -E comunque sei tu a dovermi temere... perché ti farò mangiare quei peperoncini, uno alla volta, finché mi supplicherai in ginocchio, la gola in fiamme e le lacrime agli occhi.- dissi prendendo in mano un peperoncino rosso e puntandoglielo addosso.
Lui sorrise.
-Scaldiamoci un po', ti va?- disse alzando il mento e guardandomi dall'alto. Gli feci un cenno con il capo, perplessa sul ciò che voleva dire. -Hai mai marinato la scuola?- e fu allora che lo compresi appieno.
Percy aveva preso sul serio quella sfida velata da un certo interesse, dettato dal reciproco bisogno di conoscersi. E, senza dubbio, lui sapeva come giocare pulito, ma con l'obiettivo di vincere stracciando l'avversario.
Senza battere ciglio, allungai una mano verso il contenitore colorato, prendendo un peperoncino. Lo portai alle labbra socchiuse, indugiando qualche secondo così. Guardai Percy negli occhi, e vi lessi una tacita sfida a mangiarlo. Con l'indice, spinsi il peperoncino in bocca e lo morsi.
Il sapore piccante fu immediato, ma Percy non poteva sapere che in passato avevo mangiato cibi molto più piccanti e che, quindi, il mio livello di resistenza a quel sapore era maggiore. Tutto merito di mio padre e della sua fissa per la cucina indiana.
Strizzai gli occhi, fingendo di star soffrendo per la troppa piccantezza, giusto per illudere un po' il ragazzo di fronte a me, che mi guardava con un sorriso fin troppo soddisfatto per i miei gusti.
Spalancai la bocca, inspirando una grossa boccata d'aria fresca che diede solo sollievo al mio palato, poi mi ricomposi.
-Come pensavo... ovvio che una ragazza perfetta come te non abbia mai marinato.- commentò Percy annuendo come se lui l'avesse saputo da sempre.
Restai in silenzio, limitandomi a fare un gesto di noncuranza. Era ora di vincere quella sfida.
-Sei mai stato arrestato?- credevo di averlo inquadrato bene. Così chiuso e scorbutico all'inizio, dopo il suo racconto strappalacrime sulla storia della sua vita, era quasi sicura che volesse molto bene alla madre e che facesse il meno possibile per crearle guai.
E infatti...
Mi fulminò con lo sguardo, prendendo un peperoncino e masticandolo sotto i miei occhi. Bene, voleva giocare duro.
-Hai mai picchiato qualcuno?- sorrisi.
-Avevo 13 anni e lui si chiamava Greg.- mi strinsi nelle spalle. -Per tutto l'anno scolastico mi chiamò "racchia". Ad un certo punto non ce la feci più... gli tirai un pugno, lui mi lasciò in pace e la questione finì lì.-
-Oh, oh! Annabeth passione risse. Complimenti, davvero.- disse, porgendomi il dorso delle sue nocche, chiuse a pungo, perché io facessi lo stesso.
-Ti sei mai fatto un tatuaggio?- speravo di averlo inquadrato bene, ma non ne ero così sicura. E infatti, il suo sorriso confermò i miei dubbi.
Lentamente, prese l'elastico del costume e lo calò, tenendo con una mano la stoffa che copriva l'inguine, ma scoprendo il fianco sinistro. Lì, in inchiostro nero sulla sua pelle diafana, c'era un piccolo tridente. Scossi la testa, ridacchiando.
-Visto?- disse beffardo. -Comunque, sei mai stata in una spiaggia di nudisti?-
Non so se stesse scherzando o no. In qualsiasi caso aveva ingranato la marcia e ora faceva proprio sul serio. Tacitamente presi un peperoncino e lo ingoiai, masticandolo il meno possibile. Il segreto stava proprio in quello...
La voglia di cancellare quel suo sorriso, mise in moto gli ingranaggi del mio cervello finché la domanda perfetta arrivò.
-Hai mai avuto un diario segreto?-
Sorrise colpevole. Oh.mio.Dio.
-Avevo 9 anni e non avevo molti amici! Con chi mi potevo confidare?-
Mi misi a ridere, immaginando Percy chino sulla scrivania e con la penna in mano. "Caro diario, oggi...".
-Ehi! Perché è così strano se un maschio tiene un diario? Abbiamo gli stessi diritti di voi femmine!- borbottò mettendo il broncio e creando un solco tra le sopracciglia.
-Hai mai ricevuto o fatto un succhiotto?-
Allungai la mano per prendere un peperoncino, mentre Percy mi guardava incredulo. La sua bocca era leggermente spalancata e le sopracciglia inarcate.
-Davvero non hai mai ricevuto o fatto un succhiotto?-
Mi strinsi nelle spalle, facendo spallucce.
-Che c'è di male?-
Percy ridacchiò, scuotendo il capo.
-Lascia perdere...-
-Okay... ora tocca a me!- picchiettai l'indice sul mento, pensando ad una domanda. -Uhm, hai mai pensato di uccidere qualcuno?-
Percy arricciò le labbra, indugiando qualche secondo. Poi sospirò.
-Le sere peggiori, quando Gabe tornava a casa più ubriaco del solito e cominciava a maltrattare mamma, chiuso in camera mia, fantasticavo sui vari modi con cui avrei potuto mutilare quell'uomo... ma non sono un assassino, lo giuro!- disse scuotendo il capo con vigore.
Feci un sorriso sghembo.
-Va beeeene... sei perdonato.-
-Perdonato per cosa?-
Stavo per dire "ti perdono per essere stato così stronzo all'inizio" ma poi pensai che la nostra amicizia era cominciata bene e che non c'era motivo per rovinarla, così scossi il capo.
-Niente, niente.-
Percy assottigliò lo sguardo, poi ghignò.
-Bene, Sapientona, ora si fa sul serio. Pronta per la mia domanda bomba?-
All'improvviso il mio telefono prese a squillare e io mi buttai sulla borsa, per cercarlo in mezzo al casino che c'era. Nel mentre feci un gesto d'assenso a Percy, per comunicargli che poteva procedere con la sua domanda "bomba".
Era papà.
Nello stesso momento in cui schiacciai il tasto verde, Percy parlò.
-Sei ancora vergine?-
Alla faccia della "bomba".
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Love the way you live [PERCABETH]
Fiksi PenggemarAnnabeth ha diciotto anni ed è una ragazza come tutte le altre, forse un po' riservata, forse un po' cauta. Certo è che non sente di meritarsi ciò che le accade quella sera. Il trauma subito è così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere...