La prima notte

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Camminammo per tutto il resto della giornata, poi ci accampammo sotto uno sperone roccioso. Non ci rivolgemmo la parola neanche per sbaglio. Credo che fossimo entrambi troppo sospettosi. Senza contare il fatto che a nessuno dei due piaceva l'altro. Stessa cosa il giorno dopo, tranne una breve parentesi di reciproche minacce la mattina. Lei mi avvertì che se avessi cercato di ucciderla, e avessi sbagliato mira, mi avrebbe tagliato le mani, nonché la testa. Le risposi di stare zitta, perché sentire i suoi sproloqui non faceva parte del nostro accordo, e raccattai le mie armi mentre lei mi sibilava contro come un'oca inferocita. Alla fine sbottai, esasperato:- Sai una cosa? Il tuo carattere è in perfetto accordo col colore dei tuoi capelli.

Se li toccò.- Sono castano ramato.

-Sono rossi – ribattei.

L'idea sembrò infastidirla enormemente.- Non sono rossi!

-A Ponte Lagolungo, comprati uno specchio – le dissi, poi mi avviai. Lei mi corse dietro, continuando a protestare che assolutamente i suoi capelli non erano rossi. Era una reazione così da golgi che non mettermi a ridere richiese tutto il mio autocontrollo.

Quella sera, quando ci fermammo, mi aspettavo il solito silenzio. Invece la golgi mi chiese:- Ce l'hai un nome, orco?

-Sì- risposi, poi ripiombai nel mutismo.

-Dimmelo. Vorrei smettere di chiamarti "orco".

-Puoi anche chiamarmi "mostro" e "feccia", come fai di solito. Ah, anche "sozzura" era carino.

-Perché non vuoi dirmelo?

-Perché non sono così stupido da dire il mio nome a tutti quelli che passano.

Sembrò offesa.- Io non sono "tutti quelli che passano". Ti ho salvato la vita.

-Perché so dov'è il tuo nano.

-Non importa. Sei in debito con me e il minimo che tu possa fare è dirmi come ti chiami.

Grugnii.

-Prometto che non lo userò contro di te.

Grugnii di nuovo.

-E se ti dicessi il mio come garanzia?

Siccome i miei grugniti non parevano essere abbastanza eloquenti, ringhiai. Per nulla impressionata, disse:- Tauriel.

-Eh?

-Il mio nome è Tauriel. Significa "figlia del bosco".

-Non m'interessa, golgi.

Si prese il mento tra le mani.- Ti conviene dirmi il tuo nome, o ti darò il tormento da qui a Ponte Lagolungo.

Sospirai, irritato.- Mi chiamo Narzug.

-Narzug – ripeté. Arricciò il naso.

-Già.

-Cosa vuol dire golgi? – chiese, e il suo sguardo si fece minaccioso.

-Vuol dire elfo-femmina.

Mi fissò.- Davvero?

-E allora?

-Elfo femmina? Tutto qui?

La guardai a mia volta.

-Quindi non...non è un insulto?

Non sapevo se ridere o picchiarla. – No...Aspetta...Per questo sei uscita di testa quando ti ho chiamato golgi?

-Anche perché mi hai dato del cane. Ma credevo che golgi fosse un insulto! – esclamò.

-Se avessi voluto insultarti, l'avrei fatto in lingua corrente per fartelo capire, no?

Quella notte, attesi finché la golgi...Tauriel...non si fu addormentata, poi andai alla ricerca della pietra più grossa che riuscissi a maneggiare, in modo da sfondarle la testa. Strisciai verso di lei, ma Tauriel aprì gli occhi di colpo. Mi strappò la pietra di mano e tutto quello che riuscii a fare fu cercare di sferrarle un calcio, che bloccò. Poi mi tirò lei un calcio all'altra gamba, facendomi perdere l'equilibrio e rovinare a terra. Cercai di afferrare la mia spada, ma ce l'aveva in mano Tauriel. Ancora. Si sedette sul mio torace e mi premette la lama contro la gola. La cosa si faceva ripetitiva.

-Per questa volta passi – disse Tauriel, gettando via la pietra e la mia spada.- Ma se lo rifai, ti uccido e me la cavo da sola.

Ringhiai, furioso, che se avesse potuto cavarsela da sola non mi avrebbe trascinato con lei. Tauriel, ignorandomi, si alzò e si passò le mani sui vestiti come per cancellare il contatto con me, poi tornò a dormire, questa volta tenendo il pugnale a portata. Non cercai di ucciderla di nuovo e rimandai il tentativo.

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