A riveder le stelle

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La mattina dopo, Tauriel non era migliorata, ma era ancora viva. Io volevo che stesse ferma per tutta la giornata, ma lei si rifiutò e tanto insisté che, per paura che si facesse venire un infarto per l'agitazione, la accontentai.

Tanto per cominciare, aveva passato la notte a svegliarsi di soprassalto, gridando e spaventandomi a morte. La prima volta mi avvicinai per svegliarla, lei spalancò gli occhi, mi fissò, poi gridò ancora più forte di prima. Quindi afferrò il pugnale e cercò di assalirmi. Le afferrai i polsi e strillai:- Ferma! Ferma, scema! Kul-izish! Sono io!-. Dopo un corpo a corpo di un minuto, riuscii a calmarla e a strapparle di mano il pugnale (feci abbastanza fatica perché aveva le dita serrate sull'elsa in una presa convulsa). Dopo di che, non cercai più di avvicinarmi.

Alla fine avevo rinunciato al tentativo di dormire, quindi ero di pessimo umore. Poi faceva un freddo cane. Il lato positivo ( positivo?) era che ero riuscito a fermare il sangue che colava dal braccio di Tauriel legandoci intorno uno straccio sporco, e anche se lei si lamentava di quanto lo trovasse disgustoso, almeno la ferita aveva iniziato a chiudersi; ma era tutto qui.

Tauriel era debolissima, ma insisteva a voler andare avanti, avanti, avanti. Di nuovo, non sapevo se ridere o picchiarla. Di solito le gridavo dietro in quello che lei definiva "il mio abominevole linguaggio", che, pareva, "sarebbe suonato odioso e furibondo anche se avessi fatto una dichiarazione d'amore, non che me ne ritenesse in grado".

- Devi riposare, stupida- sbraitavo nella lingua corrente ( sempre secondo Tauriel, riuscivo a renderla orribile quanto la lingua nera). Alla fine, lei acconsentiva a fermarsi, quando le descrivevo, esagerando per spaventarla, le terribili catastrofi che sarebbero accadute se non avesse fatto a modo mio.

-Guai a te se ti muovi. Sarai così debole che non riuscirai a muovere un passo, le gambe ti faranno talmente male che rimpiangerai di averle prima di arrivare a Ponte Lagolungo. E' chiaro? – vociavo.- Bisogna tagliarle a te, le gambe, per farti stare ferma, miserabile golgi...-. Solitamente, aggiungevo qualche imprecazione nella mia lingua, per poi concludere borbottando e ringhiando.

Ma quando potei smettere di insistere per farla stare buona, mi preoccupai sul serio. Tauriel iniziò a chiedere di fermarci sempre più spesso, sempre più spesso, finché cominciò anche a svegliarsi sempre più tardi e ad addormentarsi sempre prima. A quel punto, fu chiaro che dovevo passare al piano B.

Cominciai a rifiutarmi di fermarmi quando me lo chiedeva, per quanto piagnucolasse, a svegliarla presto e a impedirle di dormire parlando a vanvera, di tutto quello che mi passava per la mente, disperatamente, direi. Se cadeva in ginocchio, la rialzavo di peso e la trascinavo avanti. Se opponeva resistenza, la minacciavo.

– Se non sei viva quando arriviamo, ti ammazzo – le dissi una mattina, senza curarmi dell'incoerenza della frase. - E poi morirà anche il tuo nano mezzatacca!-. Avevo capito che era quello il suo principale pensiero, più che l'Oscuro Signore. Ma Tauriel si rannicchiò in posizione fetale e si rifiutò di muoversi. Allora l'afferrai come un sacco e la tirai in piedi con violenza, stringendola in una morsa d'acciaio, le mie unghie che la trafiggevano, poi mi misi in marcia e non la lasciai finché non calò la notte. A quel punto la scaricai sul terreno.- Non sono mai stato così stanco in vita mia – brontolai – ed è tutta colpa tua, golgi. Ci fermiamo un minuto, giusto perché tu ti riprenda. Poi ti toccherà usare le gambe. Niente resistenze. Posso convincerti ad andare avanti con le buone, o con i miei modi, che non ti piacerebbero.

Un minuto esatto dopo, la tirai di nuovo in piedi. Le gambe di Tauriel cedettero, ma l'afferrai al volo e la sorressi.

-Asp...aspetta- balbettò – tu...tu puoi...alla luce del sole?

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