Sempre a me

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Quando riaprii gli occhi, ero disteso su qualcosa di duro e freddo. Non vedevo niente, era buio. Dovetti battere le palpebre un paio di volte, poi misi a fuoco un muro di pietra umida davanti a me. Anche quello su cui ero disteso era pietra umida. Mi misi a sedere e mi guardai bene intorno: quando vidi le sbarre, capii che ero in una cella. Di nuovo. Ma perché sempre a me?

Mi alzai. I miei polsi avevano qualcosa di strano. Abbassai lo sguardo e vidi che mi avevano ammanettato. E a giudicare dal dolore, era acciaio elfico.

-Orco.

Alzai lo sguardo di scatto e vidi che, oltre le sbarre della porta, era comparso un plotone di gente.

Uno era Thranduil, che mi fissava sprezzante. C'era l'arciere che aveva ucciso il drago. Un altro era il Mutapelle, a braccia incrociate, che mi guardava schifato. Vidi altri due elfi, uno dai capelli bruni e gli occhi a mandorla e una donna alta e bionda; tre vecchi con capelli lunghi e tanta barba da nascondere tutta la parte inferiore del volto, uno vestito di marrone, basso, col naso a patata e un cappello ridicolo, il secondo alto, naso aquilino, vestito di bianco; e poi c'era il vecchio con la barba e un cappello a punta che avevo visto gridare a Scudodiquercia, e che stranamente non mostrava particolare odio o disgusto nei miei confronti. Certo, non sembrava neanche troppo felice di vedermi. Nessuno di loro lo sembrava. Come se mi fossi presentato io.

Arretrai verso il muro. – Dove sono?

Fu il vecchio a rispondermi. – Bard è stato così gentile da prestarci una cella nelle vecchie segrete di Dale.

-Chi è Bard?

L'arciere alzò una mano.

-Tu sei quello che ha ucciso il drago... - iniziai.

-Non sono affari tuoi. Mithrandir, ribadisco la mia opinione: dobbiamo ucciderlo – disse Thranduil, gelido, al vecchio col cappello a punta.

Mithrandir. Quel nome fece risuonare un campanello nella mia testa. Poi ricordai. Mi voltai di scatto verso di lui. – Tauriel e Legolas. Sono venuti da te? Ti hanno detto...?

-Non osare chiamare mio figlio per nome – ringhiò Thranduil.

-Lascialo stare, Thranduil – disse l'elfo con gli occhi a mandorla. – Non siamo qui per insultarlo.

-Ecco – dissi io. – Perché sono qui?

-Perché gli unici due posti in cui un orco ha il diritto di stare sono sottoterra e incatenato a una parete – rispose il Mutapelle, feroce.

-Beorn, ti prego – ribadì Mithrandir, poi si rivolse di nuovo a me ( che guardavo Beorn perplesso, perché le manette che avevo ai polsi non erano attaccate al muro). – Sei qui perché Beorn ti ha trovato e ti ha attaccato. Credeva di averti ucciso. È quindi venuto da noi a dirci che c'era un orco che vagava da solo vicino alla montagna e che la cosa gli sembrava sospetta. Thranduil, allarmato, gli ha chiesto di condurci da te...

-E chi trovo? – sibilò Thranduil. – Se la memoria non mi inganna, l'orco che mio figlio aveva catturato a Bosco Atro, e che è fuggito portandosi dietro quella piccola ingrata di Tauriel, proprio sotto il mio naso.

-Che coincidenza – dissi. – Tu non sei l'elfo che si è lasciato scappare un orco da sotto il naso?

La donna bionda diede in uno sbuffo che avrebbe potuto benissimo mascherare una risatina.

-Comunque è stata lei a chiedermi di andare con lei. Non me la sono portata dietro – aggiunsi in tono asciutto.

-Non mi sorprende – disse Thranduil piano. – Disgraziata incosciente.

Be', se non altro mi credeva.

-Comunque – riprese Mithrandir – abbiamo notato che respiravi ancora. Beorn voleva ucciderti, ma Tauriel mi aveva parlato di un orco che aveva cercato di avvertirla dell'esercito di Gundabad. Ero incredulo, e lei mi ha raccontato chi sei e cos'è successo. Ho pensato che quell'orco potessi essere tu. Thranduil ha confermato. Purtroppo, tutti noi abbiamo serie difficoltà a credere che tu sia in buona fede, e che non abbia ingannato fino ad adesso Tauriel per qualche complotto di Azog.

-Finalizzato magari a colpire me – disse Thranduil, tagliente.

-Chiedete a Tauriel, se proprio ci tenete – dissi, infastidito. – Vi dirà quello che volete. Ci sono anche quattro nani e tre ragazzi che possono...

-Non possiamo chiederlo a Tauriel – disse Cappello Ridicolo.

-Perché?

-Perché è andata con Legolas a Collecorvo. Azog si è ritirato lì, e Thorin Scudodiquercia con i suoi nipoti, tra cui quel nano che le piace tanto, l'ha inseguito. Tauriel è corsa loro dietro, e Legolas a Tauriel -. Thranduil sospirò irritato.

Cercheranno sicuramente di venire da noi per ucciderci, ma non sapranno che la montagna è piena di orchi...e che ci sono io.

Bolg.

Kili.

Tauriel!

-No! – esclamai, scattando in avanti. Loro si tirarono indietro, allarmati, ma avevano previsto che mi sarei gettato contro le sbarre. Qualcosa mi bloccò, premendo sulla mia gola e quasi strozzandomi, e mi accorsi che mi avevano incatenato al muro quando barcollai indietro di rimbalzo, persi l'equilibrio e caddi su un ginocchio.

Mi portai le mani al collo dolorante, tossendo. Mi avevano messo un anello di acciaio intorno al collo, anche quello acciaio elfico, mi stava bruciando la pelle, e – mi ripetei sbigottito - mi avevano incatenato al muro.

Invece di perdere tempo a protestare per questo trattamento, mi rialzai, tirando la catena, e mi misi a gridare, perdendo il controllo:– Shar! Grak kul! Vend- ajog kul uruk-hai-ob mushuz! Bajid izish obgurat jashat! Kul-izg-shi thrakat to kurrauz! -. Diedi un altro strattone e caddi di nuovo a terra.

-Non parlare nel tuo abominevole linguaggio davanti a noi – disse il Mutapelle. – Fa sanguinare le orecchie.

-Vuole che lo lasciamo andare – tradusse inaspettatamente Mithrandir, mentre io continuavo a gridare in lingua nera, contorcendomi sul pavimento nel tentativo di liberarmi dalle catene. - Dice che quel posto è pieno di orchi, e che vuole salvare Tauriel.

-Io...io...io... - balbettai.

-Credo che sarebbe meglio per tutti se l'orco ci raccontasse la sua storia – disse l'elfo dagli occhi a mandorla.

-Non c'è tempo! – urlai. – Si farà ammazzare! Fatemi uscire!

-Senti. Smettila di agitarti. La tua scelta è rimanere qui a urlare all'infinito o raccontarci la tua storia. Dopo di che decideremo se crederti e se lasciarti andare. È la tua unica possibilità – disse Mithrandir.

Rimasi lì fermo, ansimando, a fissarli tutti con rabbia. Alla fine capii che non avevo davvero scelta.

Mi rialzai e misurai la cella a passi, cercando di calmarmi. La catena tintinnò contro le placche metalliche che indossavo per corazzarmi il torace.

Alla fine mi fermai, mi voltai verso di loro e iniziai: - Doveva andare tutto come previsto. Non era niente di difficile quello che dovevamo fare. In realtà, dopo che eravamo scappati per miracolo a questo – coso – come si chiama – a questo Mutapelle, niente mi sembrava difficile...

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