Storia di Bolg

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A Gundabad, trovammo le legioni pronte, insieme a un contingente di pipistrelli da guerra, troll da combattimento e Mangiaterra, delle cose che mi ricordano vagamente enormi vermi feroci e che si aprono la strada sottoterra, sbucando fuori all'improvviso e artigliando tutto quello che trovano in superficie.

-Qual è il piano? – chiesi a Bolg.

-Attacchiamo la montagna da nord – rispose. – Passando per Collecorvo. Intanto, l'esercito di mio padre attaccherà Dale, per distrarre gli elfi e tutto il resto -. Fece un mezzo sorriso. – Manderò avanti l'esercito, ma a Collecorvo io mi fermerò e mio padre mi raggiungerà con un contingente. Farà in modo che i nani lo vedano bene. Cercheranno sicuramente di venire da noi per ucciderci, ma non sapranno che la montagna è piena di orchi...e che ci sono io. Quel colle è un ammasso di rocce traforate, con una dozzina di gallerie in cui è molto facile perdersi. Il luogo perfetto per una trappola.

-Perché quella montagna è così importante?

-Be', per la sua posizione strategica. Se mio padre la consegna all'Unico, lui potrà controllare tutta la Terra di Mezzo. La Contea, Gondor, Lorien, Bosco Atro, Rohan cadranno. E noi avremo finalmente il posto che ci spetta.

Grugnii. L'idea, per la quale mi ero così esaltato fino a sei mesi prima, ora non mi faceva né caldo né freddo.

Mentre uscivamo da Gundabad, alla testa di schiere su schiere di orchi, alzai per caso lo sguardo e scorsi due figure appollaiate su una roccia. Mi bastò strizzare un po' gli occhi per distinguere Tauriel e Legolas.

Chinai immediatamente lo sguardo, prima che Bolg lo vedesse. Avrei potuto avvisarlo. Due frecce, e i nostri problemi sarebbero finiti. Thranduil, che ormai aveva sicuramente saputo della morte del drago, era certamente già per strada. Si sarebbe concentrato sulla montagna e Tauriel e Legolas non l'avrebbero potuto avvertire. Un esercito di elfi in meno con cui fare i conti.

Invece non dissi nulla, e mi chiesi se significava che avevo scelto.

Mi risposi un attimo dopo. No, non avevo scelto. Né potevo farlo. Mi dovevo limitare a seguire il corso degli eventi.

Continuammo in silenzio per un po'. A un certo punto, non mi ricordo neanche perché, dissi: - Bolg.

-Mmm.

-Non mi hai mai parlato di tua madre.

Bolg quasi cadde dal mannaro. Quando recuperò l'equilibrio, mi guardò a lungo e in silenzio. Poi disse: - Perché me lo chiedi?

-Non lo so. Da quando Tauriel mi ha parlato di famiglia...

-Oh, pensiamo spesso all'elfo femmina, eh?

- Oh, non vogliamo rispondere, eh?

-Vuoi davvero sentire?

-Tu vuoi raccontare?

Bolg ridacchiò, teso. – Non l'ho mai detto a nessuno. Lo sa solo mio padre.

– Non lo dirò a nessuno. E se vuoi, me la dimenticherò appena avrai finito di parlare.

Bolg sospirò. – Va bene -. Deglutì. – Mia madre è un'umana.

Lo fissai sbigottito.

Bolg alzò le spalle. – Pensavo mi avesse abbandonato perché non poteva crescermi. Non credevo che non mi amasse. Non...non mi rendevo conto di quello che sono, ero molto giovane.

-Ma...

-Stuprata – grugnì Bolg.

-E tu...

-Io non sono metà umano, se è questo che pensi -. Bolg mi guardò accigliato. – Non so se lo sai, ma gli orchi nascono dal fango, o da padre orco e madre qualcos'altro. Le madri qualcos'altro sono usate come...come incubatrici, capito? Un contenitore. Niente della madre viene ereditato, nemmeno la razza.

Annuii.

-Comunque...Mi ha cresciuto per una decina d'anni. Mi teneva nascosto in casa. Ma a dieci anni ero già alto come lei e cominciavo a diventare piuttosto...ingestibile. Mi ha portato in mezzo alla foresta e mi ci ha lasciato. Ho vagato senza meta, da solo, per anni, finché non mi hai trovato tu.

-Pensavi che tua madre ti avrebbe cercato di nuovo? – chiesi.

-All'inizio sì. Poi mi sono dovuto ricredere. Ma te lo ripeto, pensavo che semplicemente non potesse pensare a me solo dal punto di vista pratico.

-Com'era come madre?

-Non un granché, in realtà. Non mi toccava. Non mi guardava. Non mi parlava. Ma era mia madre. Non so se capisci cosa voglio dire.

-No – mormorai. – Ma posso immaginare.

Bolg mi lanciò un'occhiata in tralice, poi continuò: - Dopo qualche tempo che siamo tornati da mio padre, gli ho detto che volevo rivederla.

-E lui?

-Mi ha detto di non farlo -. Pausa. – Avrei dovuto ascoltarlo.

-E invece ci sei andato.

-E invece ci sono andato. Ti ricordi quando sono sparito per una settimana?-. Bolg guardò nel vuoto.

-Cos'è successo? – chiesi, esitante. – Non...non ti ha riconosciuto?

Bolg fece una risatina triste. – Avrei preferito che non mi riconoscesse, data la reazione. Invece sapeva perfettamente chi ero. E...insomma...Non l'ha presa tanto bene. La porta era aperta, sono entrato e l'ho chiamata. Lei era seduta vicino al fuoco, con una bambina, direi otto-nove anni, sdraiata sul tappeto ai suoi piedi. Appena sono entrato, mi hanno fissato impietrite per qualche istante. Poi la bambina ha iniziato a piangere. Mia madre è scattata in piedi, l'ha afferrata e l'ha tirata a sé, come se potessi fare del male a...era...era mia sorella, maledizione. Almeno credo. All'inizio ho pensato che non mi avesse riconosciuto. "Sono io" ho detto, facendo un passo verso di lei, "sono Bolg"...Ma lei ha afferrato la sedia per tenermi lontano e mi ha detto: "Cosa sei venuto a fare?". Ecco, questa era una bella domanda. Non sapevo cosa rispondere; mi sono limitato a fissarla, attonito. Mi ha detto di andarmene, che le ricordavo l'esperienza più brutta della sua vita e che non voleva avere a che fare con me. Non mi sono mosso. E lei ha urlato: "Vattene, mostro, o chiamo mio marito!". Ho tentato di avvicinarmi di nuovo, e di dire che non volevo fare del male a nessuno...Mia madre non mi arrivava neanche allo sterno. La bambina era alta meno delle mie gambe. Non sapevo come muovermi. Non sapevo come parlare. Lei ha premuto la schiena contro il muro, mi ha tirato addosso la sedia e ha strillato per chiamare suo marito, che è arrivato brandendo un forcone. Cosa dovevo fare? Me ne sono andato. Sono tornato da mio padre. Lui non mi ha chiesto niente e io non ho detto niente. Mai. A nessuno. In effetti, sei la prima persona che lo sa -. Emise un basso ringhio di gola. – E se lo dici a qualcuno ti ammazzo.

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