La prima mattina a scuola non fu per nulla semplice, non sapevo bene come comportarmi con Davide ne come aiutarlo, e poi chissà cosa si aspettava lui da me. Fortunatamente i professori e alcuni compagni di classe mi aiutarono anche solo con motti che tanto lui non avrebbe visto. La parte più difficile fu la ricreazione.
- Andiamo?
Mi disse.
- Dove?
- Ho bisogno di andare in bagno.
Credo che arrossi, e non so come, ebbi quasi l'impressione che lui se ne accorse perché mi disse.
- Tranquilla riesco a fare tutto da solo, a meno che tu non ti offra volontaria per qualche aiuto extra.
- Credo che per oggi mi accontentero' di accompagnarti.
Mi appoggiò la sua mano sulla spalla e andammo. Ci fermammo diverse volte perché aveva molti amici che lo fermavano, lui sorrideva e faceva battute ma a volte la sua pressione sulla mia spalla cambiava e io avevo quasi l'impressione che proprio non aveva voglia di ridere e scherzare. La cosa che più mi faceva strano erano gli sguardi di compassione che si scambiavano le persone che gli erano attorno, magari anche lui se ne accorgeva, magari era quello a farlo sentire male, a lei infastidita molto.
Tornati finalmente in classe lei seguì la lezione di matematica e poi lo salutò.
- Davide io vado. Ci vediamo domani mattina.
- Hai con me delle ore extra anche per il pomeriggio vero?
- Si dobbiamo accordarci con i giorni e l'ora.
Lui annuì con la testa. Lo salutai e me ne andai.
Sicuramente non sarebbe stato affatto un compito semplice.
L'indomani lo andò a prendere come il giorno prima. Lui salì in auto.
- Ti da fastidio se fumo?
- Si molto.
La risposta mi uscì spontanea. Non sopportavo proprio il fumo. Forse ero stata troppo brusca?
- Scusa, non sopporto il fumo.
Lui sembrò infastidito.
- Ok mamma.
- Se vuoi ci fermiamo così fumi.
Lui si voltò verso di me, la sua vicinanza mi metteva a disagio.
- Non vorrai farmi fare tardi a scuola?
- Dipende da quanto tempo impieghi per fumare.
Lui sorrise.
Mi fermai vicino un bar, scesi e andai ad aprire la portiera di lui. Lui mi appoggiò la mano sulla spalla.
- Dove siamo?
- Al bar Mirò. Io prendo un caffè? Tu vuoi qualcosa?
Lo portai verso un tavolino all'aperto e lo feci sedere.
- Un caffè pure io.
Andai ad ordinare e quando uscì lui aveva quasi finito di fumare la sua sigaretta. L'aveva accesa da solo. Non ci avevo pensato ma ogni cosa che faceva, ogni minima azione che sembrava scontata per Davide non lo era affatto.
- Tieni.
Lui allungò la mano sul tavolino e io gliela sfiorai per fargli sentire dove era la tazzina. Quel toccò mi fece arrossire e non ne capì il perché, quello era il mio lavoro.
Lui fu al quanto veloce e tornammo in auto direzione scuola.
Era silenzioso, mi sembrava che non volesse parlare e io non ero la sua psicologa, non toccava a me salvarlo, io ero semplicemente la sua accompagnatrice.
A scuola Davide fece come il giorno prima, allegro e solare con tutti, a me sembrava una forzatura, lui recitava e chi gli stava davanti faceva altrettanto.
C'era chi lo compiaceva, chi lo evitava e chi bisbigliava, io gli offriva solamente la mia spalla e in classe lo aiuta o con i testi, a prendere appunti e cose simili.
- Domani ho l'interrogazione di storia. Puoi venire ad aiutarmi?
- Si oggi posso, abbiamo sei o sette ore a settimana di pomeriggio da gestire come meglio credi.
- Ok! Ti aspetto a casa per le tre.
- Ok.
Andare a casa sua fu illuminante. Davide era molto più padrone di se, in casa si muoveva molto più autonomamente, sua madre era scomparsa lasciandoci praticamente da soli. Trovarmi sola in casa con lui inizialmente mi fece sentire a disagio.
Dopo un ora che leggevo e lui ripeteva gli chiesi dove fosse il bagno.
- Vieni questa volta ti accompagno io. Qui possiamo invertire i ruoli.
Io sorrisi, era vero.
Riprendemmo a studiare poi lui mi disse se volevo un caffè.
- Magari.
- Allora andiamo. Così mi sdebito per questa mattina.
Lo seguì in cucina, vidi che era sicuro di sé, sapeva dove erano le cialde per fare il caffè e dato che non aveva bisogno del mio aiuto mi sedetti.
- Il caffè è servito. Quanto zucchero?
- Due.
- Vedi qui a casa mia sono abbastanza autonomo.
- Direi proprio di si.
Lui si sedette e bevve il suo caffè, in quella piccola cucina sembrava un gigante, ero sciocca ma pensavo sempre a quello quando ero con lui, mi sentivo piccola e per me alta un metro e settanta era una sensazione nuova.
- Cosa pensi?
- Niente.
- Non è vero.
- Quando sto con te penso che sei altissimo e io mi sento piccola. È una cosa strana per me. Sai come ragazza non sono bassissima.
Lui iniziò a ridere, non sorridere, rideva proprio di gusto.
- Preferisco mille volte che mi consideri un goffo gigante piuttosto che un povero handicappato. L'avevo percepito che non eri bloccata dalla pietà che provavi per me. Sai sono cieco ma mica scemo, e come se le vedessi le espressioni di chi pensa povero sfigato, che pena mi fa. La tua sapevo non fosse quella ma non avevo ben capito quale fosse. Grazie per la tua sincerità.
Ci avevo capito veramente poco di tutto quel discorso ma forse era un inizio.
- Ok pausa finita. Torniamo a studiare.
Lui si alzò e io lo seguì in salone dove c'erano i nostri libri.
Finito di studiare mi accompagnò alla porta e ci salutammo.
- Mi dispiace che non ci sono proprio domani mattina a scuola. Volevo vedere come ti andava l'interrogazione.
- Pazienza. Ti chiamo e te lo faccio sapere. Grazie per avermi aiutato.
- Allora in bocca al lupo.
- Crepi.
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ChickLitAlice pensa di poter salvare il mondo e poter salvare lui dalle sue ombre dal buio in cui vive, vorrebbe essere la sua luce. Invece lui la porta nel suo inferno per farle scoprire che si può guardare anche con gli occhi chiusi, per poi lasciarla e r...