Capitolo 8

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Chat balzò su uno dei lampioni, osservando l'enorme pianta che dominava il piccolo parco: grossa, con grandi denti acuminati e tentacoli lunghi e minacciosi: «Ovviamente, non poteva essere una margheritina innocua.» sbuffò il ragazzo, osservando la sua compagna imitarlo e atterrare su un secondo lampione: «O un girasole...»
«Una rosa, no?»
«No, perché ogni rosa ha le sue spine.»
Ladybug scosse il capo, sedendosi e osservando il vegetale sotto di loro: «Hai per caso delle cesoie dietro?»
«Certo, esco ogni giorno con il mio set da giardiniere provetto.»
«E' un no?»
«Perché non le fai apparire con il Lucky Charm?»
«Perché come minimo esce una zappa?»
«Giusta osservazione.» commentò Chat, inclinando la testa e osservando la pianta che, dopo aver avvolto una panchina con i suoi tentacoli, l'aveva portata alla bocca e masticata: «Ok, direi di stare lontani da quei dentini.»
Qualcosa di arancio sfrecciò davanti a loro, fermandosi nei pressi di un terzo lampione: «Lavoro extra oggi?» domandò Volpina, salutandoli con la mano e posando poi lo sguardo sulla pianticella: «Ma li pagano gli straordinari almeno? Ho lasciato un ragazzo carino per venire qua e...»
«Un ragazzo carino?»
«Dovevi vederlo, LB. Alto, muscoloso, capelli neri, occhi scuri...» la ragazza scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli castani: «Uno di quelli per cui ti toglieresti le mutandine e...»
«Fermati! Non dire oltre!»
«Perché, micetto?»
«Non vorrei avere incubi stanotte, grazie.»
«Se sogni me non sono incubi.»
«Oh sì, che lo sono!»
«Ma...»
Ladybug scosse il capo, ignorando i due che si prendevano a suon di battutine e studiò la pianta: la bocca era l'apertura di un enorme bulbo, che sembrava poggiare su quattro grandi foglie e proprio da quella zona sembravano diramarsi i tentacoli: «Secondo voi come fa ad accorgersi di ciò che la circonda?» domandò, senza ottenere risposta; si voltò e trovò Chat che stava...
Stava baciando l'aria?
Mentre Volpina se la rideva soddisfatta.
«Volpina?»
«Senti, è impossibile vincere con lui a parole.»
«Ti prego.»
La castana sbuffò, ruotando il lungo flauto e colpendo l'aria davanti a Chat: «Cosa? Che?» il biondo si guardò intorno spaesato, osservando Ladybug e poi il vuoto attorno a lui: «Tu eri qui...»
«Era un'illusione di Volpina.»
«Tu...» ringhiò Chat, voltandosi verso l'altra che ricambiò con un sorriso innocente: «Sei morta, volpe.»
«Come se ci credessi.»
«Scusate? Nemico. Cattivo. Sconfiggere.»
I due si guardarono male, portando poi l'attenzione sulla pianta: «Dovremmo trovare quella cosa nera, giusta?» domandò Volpina, studiando i tentacoli che si alzavano verso il cielo e poi si abbattevano su tutto quello che trovavano: «Mh. Sembra che non ci veda se siamo qui.»
«O ci avverta, quella cosa non ha occhi.»
«Spero non sia all'interno...» mormorò Ladybug, studiando i tentacoli: «Volpina, ricapitoliamo i tuoi poteri: puoi creare illusioni e...»
«Posso volare e ho la super-forza.» spiegò velocemente la ragazza, sorridendo: «E il mio potere speciale consiste nel creare fuochi fatui.»
«In pratica sei inutile.» sentenziò Chat, indicando il mostro: «Proviamo ad attaccarlo e vediamo come reagisce?»
«Non penso bene, mon minou.»
«Non possiamo neanche rimanere qui a chiacchierare, my lady.» dichiarò il ragazzo, alzandosi in piedi e mettendo mano al bastone: «Io vado, chi mi vuol seguire, mi segua.»
Ladybug e Volpina l'osservarono saltare giù e dirigersi verso la pianta, iniziando a combattere contro i tentacoli che, in prossimità del bulbo, si erano accorti della sua presenza: «Ok, ci avverte se siamo vicini.»
«Andiamo, prima che quell'idiota si faccia uccidere.»
Le due ragazze balzarono a terra, correndo anche loro verso il nemico e iniziando a ingaggiare una lotta con i tentacoli, ritrovandosi presto senza fiato: «Qualcuno ha visto il cristallo nero?» domandò Ladybug, proteggendosi con il suo yo-yo dall'ennesimo colpo da una delle diramazioni della pianta.
Due risposte negative le arrivarono alle orecchie, provocandole un gemito frustrato: non poteva essere dentro.
Assolutamente.
Volpina suonò alcune note e delle sue copie si materializzarono, iniziando a correre in varie direzioni, attirando i tentacoli: «E se fosse davvero dentro?» domandò, osservando gli altri due riprendere fiato: «Dovremmo...»
«Vado io.»
«My lady, no!»
«Ma se è dentro...»
«Non ti lascio farti mangiare da quel coso!»
«Chat...»
«No, se qualcuno deve andare sono io!»
«No!»
Si fronteggiarono, occhi negli occhi ed entrambi decisi a non cedere di un millimetro: «Mandiamo lei!» dichiarò alla fine Chat, indicando Volpina.
«Cosa? Spero tu stia scherzando, micetto!»
«Mai stato più serio in vita mia.»
Volpina aprì bocca, pronta a dirgliene quattro ma un'ombra la fermò: si voltò, in tempo per vedere un tipo vestito di blu, balzare vicino a loro: «Amico vostro?» domandò, indicando il nuovo arrivato e vedendo Ladybug scuotere il capo, mentre Chat fissare male l'altro.
«Sono amico di Chat.» si presentò il tipo, marciando sicuro verso di loro: «Ladybug, è un onore fare la tua conoscenza.» dichiarò, prendendole la mano e portandosela alle labbra: «Hai degli occhi incantevoli.»
«Ehi, toglile le tue zampacce di dosso!»
«Mi piacerebbe poter dire lo stesso.» dichiarò Ladybug, sorridendo e facendo scivolare via la mano; si voltò verso Chat, trovandolo imbronciato e intento a guardare male il nuovo arrivato.
«Se sei amico di Chat...» s'intromise Volpina, ignorando ogni frase provenisse dal gatto: «Vuol dire che sei dei nostri?»
«Più o meno.»
«Più o meno?»
L'eroe blu sorrise, incrociando le braccia: «Ero qua, non avevo niente di meglio da fare e mi son detto: perché non dare una mano a quei poveracci?»
«Fatemelo uccidere, vi prego.» dichiarò Chat Noir, venendo subito bloccato dalla sua partner, mentre Volpina si metteva in mezzo, tenendo il suo flauto pronto: «Anzi, non lo uccido, lo do in pasto alla margherita troppo cresciuta.»
«Sei dei nostri, ehm...»
«Peacock.»
«Sei dei nostri, Peacock?» domandò Volpina, tenendo lo sguardo fisso sull'altro e attendendo una risposta; lo vide spostare l'attenzione su Chat e, poi, dietro tutti loro, sorridendo divertito.
«Mi sa che le tue illusioni stanno finendo, Volpina.»
«Cosa?» la ragazza si voltò, osservando le ultime due copie venire colpite dai tentacoli: «Maledizione!» esclamò, saltando all'indietro e cercando di suonare subito alcune note, ma venendo interrotta da un attacco simultaneo di due propagazioni.
Chat e Ladybug balzarono in direzioni opposte, iniziando a duellare con un tentacolo a testa, ritrovandosi poi schiena contro schiena, mentre Peacock spiccò un salto su un lampione e osservò divertito la scena: «Solo perché sono generoso, vi darò una mano oggi!» dichiarò, chiudendo gli occhi e invocando il nome del suo potere.
Osservò il tempo andare veloce e riuscì a vedere gli attacchi nemici, finché...
Ahia.
Ok, non era un bel finale.
«Ok, io ve lo dico: se non volete diventare spezzatino, è meglio distruggere il cristallo nero.» dichiarò, attirando l'attenzione degli altri tre su di sé: «E si trova là dentro.» spiegò, indicando il bulbo della pianta.
Chat Noir si fermò, osservando l'altro: «Posso fidarmi?»
«Ehi, non ho voglia di salvare Parigi da solo. Non vi farò morire.»
L'eroe nero annuì con la testa, voltandosi verso la pianta e sorridendo; ignorò il richiamo della sua signora e iniziò a correre, saltando ed evitando gli attacchi dei tentacoli; si chinò, evitando l'ennesimo colpo e, poi, usando il bastone come asta, s'issò e si gettò all'interno della bocca della pianta.
«Chat!»
Ladybug urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, facendo un passo verso il mostro che aveva inghiottito il suo compagno.
Non poteva...
No. Non era successo.
Qualcuno l'afferrò da dietro, trattenendola lì: «Lasciami!» urlò, cercando di liberarsi dalla stretta dell'altra ragazza e sentendo le lacrime bagnarle le guance: «Devo andare da lui! Lasciami!»
Chat.
Il suo Chat.
«Ragiona!» tuonò Volpina, facendo forza e trattenendola: «Non ti lascerebbe mai!»
«Lasciami andare! Chat! Chat!»
«Ladybug!»
«Devo andare...» mormorò la ragazza, allungando una mano verso la pianta, che aveva cessato ogni ostilità; poi qualcosa l'attirò, dal centro del bulbo, si stava propagando una macchia nera e, pochi secondi dopo, esplose: Ladybug rimase immobile, osservando Chat uscire incolume e con un cristallo nero in mano.
«Quindi è questo che succede se uso il cataclisma su qualcosa di vivo.» mormorò il ragazzo, camminando verso di loro, con un sorriso soddisfatto, e osservando il macello che aveva fatto intorno a sé: «Per la mia lady.» dichiarò, porgendole il cristallo nero.
Ladybug lo ignorò, tuffandosi fra le sue braccia e piangendo disperata: «Scusami.» mormorò il giovane, carezzandole la testa e posando poi le labbra sulla capigliatura corvina: «Non volevo farti preoccupare, ma era il metodo migliore.» le spiegò, osservandola negare con il capo: «Potrai rimproverarmi dopo, my lady. Adesso distruggi questo, non ho assolutamente voglia di farmi un altro viaggetto dentro quel coso.»
La ragazza lo fissò male, tirando fuori lo yo-yo e dare al cristallo un colpo secco, osservandolo sbriciolarsi come sempre: «Ho pensato...» si fermò, scuotendo il capo: «Credevo che tu...»
«Non ti lascerei mai sola.» affermò Chat, facendole l'occhiolino e attirandola di nuovo fra le sue braccia: «Io ci sarò sempre.»
Volpina sbuffò, sorridendo e osservando i due completamente dimentichi di lei, poi si voltò verso il luogo dov'era Peacock, trovandolo deserto: quel tipo...
Chi era?


Ladybug. Chat Noir. Volpina. Peacock.
Quattro eroi.
Quattro portatori di Miraculous.
Com'era possibile che ce ne fossero così tanti a Parigi?
«Cinque, se considero anche me.»
La ragazza scosse il capo, alzandosi e librandosi in volo; guardò un'altra volta il trio – Peacock era sparito poco prima che l'enorme pianta esplodesse – e solo allora notò che lo sguardo dell'eroina in arancio era rivolto verso la sua direzione.
Anzi no, era fisso su di lei.


Rafael si passò una mano fra i capelli bagnati, uscendo dal bagno e osservando il kwami che si stava ingozzando di cioccolata: «Come ti senti?» gli domandò Flaffy, sorridendo.
«Stanco. Ecco perché non voglio fare l'eroe.»
«Però li hai aiutati.»
«Sarebbero morti, nel caso.»
«Solo per questo?»
«Dove vuoi arrivare, Flaffy?»
Il kwami blu sorrise, avvicinandosi al suo umano: «Il tuo sguardo, Rafael, è cambiato.»
«Stai dicendo un mucchio di cavolate.»


Da quando era tornata a casa, da quando aveva lasciato Adrien, era in preda a una strana agitazione: aveva provato a disegnare qualcosa, ma tutto ciò che era nato si traduceva in una marea di carta appallottolata che giaceva sul pavimento abbandonata, che adesso osservava dal suo letto.
Dal basso, le proveniva il rumore di suo padre che si alzava, per iniziare la giornata lavorativa: lo poteva sentire provare a muoversi silenziosamente per la casa, nonostante la mole; sorrise, allungando una mano e azionando lo schermo del cellulare.
Quasi le quattro di mattina.
E lei non aveva chiuso occhio.
Si alzò a sedere, stando attenta a non svegliare Tikki e prese l'apparecchio fra le mani, facendo scivolare il polpastrello e accedendo alla galleria: foto di Adrien, foto di loro due assieme, foto con i loro amici...
Il cuore prese a farle male, battendole furiosamente in petto, mentre l'agitazione che l'aveva ghermita sembrava accentuare la presa.
Doveva andare.
Gettò le gambe fuori dal letto e scese la scaletta, raggiungendo l'armadio e cambiando il pigiama con le prime cose che le capitarono a mano: «Marinette?» pigolò Tikki, fluttuando a mezz'aria sopra il letto e osservandola con sguardo assonnato, mentre lei finiva di cambiarsi e le sorrideva impacciata.
«Devo andare.» mormorò la ragazza, afferrando il cellulare e mettendolo nella borsetta, mentre la piccola kwami volava e s'infilava nel suo nascondiglio: «Tikki?»
«Posso immaginare dove stai andando ed è meglio avermi con te.»
«Grazie.»
Scese dabbasso, osservando al genitore che stava facendo colazione: «Buongiorno...» mormorò, salutando il padre con la mano e abbozzando un sorriso: ecco, e adesso che doveva dire? Papà, faccio un salto a casa di Adrien, penso di tornare presto.
Mh. No, meglio di no.
Tom si alzò, sorridendole e mettendo la tazza della colazione nel lavello: «Ti ho svegliata, tesoro?»
«Ah no.»
«Non riuscivi a dormire?»
«Papà, ecco...»
«Sei sempre stata una brava ragazza, a parte le scuse assurde che trovavi quando non andavi a lezione...» commentò il genitore, massaggiandosi i baffi e accentuando il sorriso che gli piegava le labbra: «Quindi immagino che hai un buon motivo per uscire a quest'ora.»
«Mh. Sì.»
«E non puoi dirmelo?»
«Devo...» si schiarì la voce, osservando il padre e inclinando la testa: «Papà, ti ricordi di quando mi hai raccontato di come hai seguito la mamma in Cina, perché sapevi che doveva essere tua moglie?»
«Sì.»
«Diciamo che è qualcosa di simile...»
Tom Dupain annuì con la testa: «Vorrei ordinarti di tornare in camera tua, seriamente. Dovrei farlo, tua madre lo farebbe sicuramente se fosse sveglia...»
«Papà...»
«Ma mi hai appena ricordato di com'ero io, quindi vai da Adrien. Ma ti do il permesso solo questa volta e perché sembra sia importante.»
«Grazie, papà.»
«Solo questa volta, Marinette. Sia chiaro, non ti conviene tirare la corda troppo...»
«Certo, papà.»
«Solo questa volta.»
«Sì.» dichiarò la ragazza, raggiungendo la porta e uscendo velocemente dalla casa: «Grazie, papà.» mormorò di nuovo, salutando il genitore e chiudendosi il portone di casa dietro: corse giù per le scale e uscì in strada, voltandosi in direzione della casa di Adrien.
Bene, era il momento di scoprire quanto era veloce senza il costume di Ladybug.
Iniziò a correre attraverso la città che si stava svegliando: forse sarebbe stato meglio trasformarsi, ma aveva paura che la maschera di Ladybug in qualche modo influenzasse ciò che aveva deciso.
Era stupido, lo sapeva bene, in fondo era sempre lei.
Ma voleva fare quella cosa come Marinette.
Solo come Marinette.
Quando giunse davanti alla villa degli Agreste, si chinò sulle gambe ansante, cercando di recuperare un po' di fiato; alzò la testa, osservando la casa e non sapendo cosa fare: suonare il campanello? Ma così avrebbe svegliato l'intera casa e, sinceramente, non voleva il signor Agreste: «Forse hai bisogno di questo.» mormorò Tikki, mostrandole il cellulare e sorridendo alla ragazza.
Marinette annuì, prendendo l'apparecchio e facendo partire immediatamente la chiamata, rimanendo poi in attesa: «Pronto?» mormorò la voce assonnata del giovane, dopo parecchi squilli: «Marinette, è successo qualcosa?»
«Ehm. Sono davanti casa tua.»
«Cosa?»
«Mi potresti aprire?»
Sentì dei rumori provenire dal telefono e rimase in attesa, osservando poi il portone di casa Agreste aprirsi e Adrien uscire: veloce, il giovane corse al cancello, azionando il meccanismo di apertura: «Che ci fai qui?» le domandò, osservandola con lo sguardo assonnato e reprimendo uno sbadiglio.
Marinette sorrise, chinando la testa e notando i piedi nudi di lui: «Possiamo entrare?»
Il biondo annuì con la testa, facendole cenno in direzione della casa: «Ha attaccato qualche mostro?» le domandò, mentre chiudeva il portone e poi prendeva le scale, che portavano al piano superiore.
«No, nessun mostro mattutino.» dichiarò la ragazza, entrando nella camera del ragazzo e notando lo sguardo confuso che aveva sul volto.
«E allora, perché?» le chiese nuovamente Adrien, strusciandosi gli occhi e cercando si svegliarsi, senza accorgersi che la ragazza si era avvicinata; rimase sorpreso, quando sentì la lieve pressione delle labbra di lei sulle proprie e rimase imbambolato a osservarla, mentre gli prendeva una mano e lo guidava verso il letto: «Marinette?»
«Io...» iniziò la mora, scuotendo il capo e fissandolo negli occhi, come a pregarlo di capire.
E lui capì.
Deglutì, trovandosi immediatamente sveglio: «I-io...» balbettò, abbozzando un sorriso, mentre le mani di Marinette prendevano l'orlo della maglia e la sollevavano: «Po-potrei non essere capace di fermarmi.» dichiarò, aiutando la ragazza a spogliarlo.
«Ma io non voglio che ti fermi.» dichiarò decisa Marinette, gettando l'indumento da qualche parte della stanza e tirandolo verso di sé e verso il letto: caddero entrambi sul materasso e la ragazza gli catturò la bocca con la propria.
«Davvero, non potrei...» mormorò Adrien, puntellandosi con le mani contro il materasso e guardando la ragazza sotto di lui; scosse il capo, alzandosi a sedere e sentendosi idiota: quanto aveva spinto in quella direzione? E adesso che stava succedendo...
Adesso lui aveva paura?
Marinette si mi a sedere anche lei, per quanto glielo permettesse il peso del ragazzo che le gravava sulle gambe, e con un respiro profondo portò le mani al bordo della maglia, togliendosela: «Adrien...» bisbigliò, poggiandogli una mano sulla guancia e distraendo un attimo l'attenzione di Adrien da ciò che gli stava mostrando: «Voglio che sia tu e solo tu.»
Il biondo respirò profondamente, annuendo con la testa: «Come la mia signora comanda.» dichiarò, chinandosi in avanti e baciandola, invitandola poi a distendersi nuovamente sul letto.


Gettò il bicchiere contro il muro, osservando il vino schizzare la vernice chiara.
Due sue creature, sconfitte entrambe.
Ladybug e Chat Noir l'avevano annientata su ogni fronte.
E adesso i portatori di Miraculous erano aumentati: Volpina, il tipo in blu...
Dovresti lasciare che sia io a occuparmi di loro...
Si voltò verso il suo riflesso, osservando il suo volto sorriderle maliziosamente: «Pensi davvero di fare meglio?»
Avevi detto che quello era l'ultimo tentativo.
Era vero.
L'aveva deciso.
Quello era l'ultimo tentativo, prima di utilizzare quel potere.
«Non voglio.» mormorò, carezzandosi il petto all'altezza del cuore.
Tu vuoi. E vuoi i Miraculous.
«Sì.»
Utilizza il mio – il nostro – potere.
«Il mio potere...»
Usalo. Fallo.
Annuì al suo riflesso, osservando le volute di fumo nero uscire dalla sua figura e poi tre guerrieri, scuri come la notte, materializzarsi alle sue spalle.


Adrien osservò la ragazza che dormiva profondamente nel suo letto, carezzando con la punta delle dita la spalla nuda; sorrise, quando lei aprì gli occhi e gli puntò contro lo sguardo celeste: «Buongiorno, my lady.» mormorò, chinandosi e baciandola sul collo.
«Non ho sognato tutto, quindi?»
«Se intendi essere venuta a casa mia – senza trasformarti. E di questo dovremmo fare un discorsino, signorina. –, essermi saltata addosso e avermi privato della verginità...» riassunse il ragazzo, mentre lei si accoccolava contro di lui: «...mh, no. Direi che è stato tutto reale.»
«Non è che ti sei lamentato o hai fatto resistenza.»
«Mi sono lasciato trasportare. Scusa, che avrei dovuto fare? Una ragazza bella e disponibile, viene a casa mia alle quattro di mattina...» si fermò, scuotendo il capo e facendo scivolare una mano lungo la schiena della ragazza: «...questa me la segno. Non potevi venire un po' più tardi?»
«Non erano le quattro.»
«Saranno state le quattro e mezzo o, al massimo, le cinque, capirai. Tu e i golem sareste un'accoppiata purrfetta.»
«Hai detto che sono bella?»
«Ah. Ah. Bel modo di cambiare argomento.» ridacchiò Adrien, chinandosi e baciandole la punta del naso: «Sì, sei bella. Anzi, bellissima. Ed io sono stato un deficiente a non aver notato subito i tuoi occhi: si riconoscono subito.»
«Sei cieco.»
«Anche tu non mi hai riconosciuto!»
«Ehi, i tuoi occhi cambiano del tutto quando ti trasformi.» mormorò la ragazza, stringendosi maggiormente contro di lui: «Quindi sono bellissima?»
«Al momento direi qualsiasi cosa, sappilo.»
«Davvero?»
«Beh, sei nuda. Nel mio letto. Stretta a me.» spiegò Adrien, brevemente e deglutendo: «Inizio a faticare a trattenermi.»
La ragazza sorrise, allungando il collo e baciandogli la mascella: «E allora non fallo.» decretò, ridacchiando quando il giovane scivolò sopra di lei.

Wei osservò l'abitazione dove Wayzz l'aveva trascinato, buttandolo giù dal letto: «Qui?»
«Esattamente.» dichiarò il kwami verde, colpendo l'aria con i pugni e con i calci: «Lo farò pentire amaramente di quello che ha fatto.»
«Ma che cosa...?»
«Suona, Wei!»
Il giovane sospirò, premendo il campanello e attendendo che qualcuno aprisse; poco dopo la porta si schiuse e il vecchietto che aveva aiutato il giorno prima fece capolino: «Sì?»
«Maestro Fu!» mormorò dolce come il fiele Wayzz, sorridendo all'uomo che, alla vista del piccolo kwami, era indietreggiato: «Deve spiegarmi molte cose.»


«E non verrai più qui a orari assurdi non trasformata.» dichiarò Adrien, osservando Marinette davanti al portone della villa e attendendo che lei ripetesse le identiche parole.
«E non verrò più qui a orari assurdi non trasformata. Seriamente, Adrien, è una cosa assurda...»
«Silenzio. Voglio stare tranquillo e saperti al sicuro.»
Marinette sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Come il mio gatto e padrone comanda.» borbottò, allungandosi e baciandolo: «Ci vediamo o sentiamo dopo?»
«A dopo, my lady.»
Adrien la osservò uscire dal cancello e la salutò con la mano, prima di tornare dentro l'abitazione: «Era Marinette?» domandò suo padre, apparendo sulle scale e cercando di allungare il collo, per vedere l'esterno dell'abitazione.
«Già.»
Gabriel annuì, scendendo e dirigendosi verso la sala da pranzo: «Figliolo.» iniziò, sedendosi al suo solito posto e osservando Adrien, fare altrettanto: «So che sono stato un genitore pessimo e, quindi, capisco se il nostro rapporto è così incrinato e difficile...»
«Ho paura di sapere dove vuoi andare a parare.»
«Ma ci sono cose che un genitore, per quanto pessimo, deve sapere.» dichiarò Gabriel, incrociando le mani davanti a sé e fissando il figlio da dietro le lenti degli occhiali: «Adrien. Tu hai...» si fermò, respirando profondamente: «...catturato la farfallina di Marinette?»


Miraculous Heroes {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora