Capitolo 12

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Vooxi sbadigliò, volando con una scatoletta fra le mani e osservando la propria umana finire di prepararsi per una nuova giornata: «Me la puoi aprire?» domandò, tendendole la confezione e aspettando che Lila facesse ciò che gli aveva chiesto.
La ragazza s'infilò la maglia ed eseguì l'operazione, osservando poi il kwami della Volpe volare fin sopra il comò e posare la scatoletta, poi fluttuò nuovamente nell'altra stanza e tornò con un forchetta fra le zampette: «Non dovresti fare come i cani, scusa?» gli chiese, osservandolo mentre infilzava con la posata un pezzo di alimento e se lo portava alla bocca.
«Ehi, la tua razza è imparentata con le scimmie, ma tu mica ti spulci come loro, no?»
Lila sorrise zuccherosa, avvicinandosi al kwami e requisendo la scatoletta: «Sai, penso che dovresti imparare ad aprirti da solo questi cosi.»
«Oh! Andiamo! Solo perché ho detto che...»
«Proprio perché hai detto che...»
«Chiedo venia, somma Lila! Non volevo offenderla!» dichiarò subito il kwami, mettendosi seduto e inchinandosi di fronte alla ragazza con fare arrendevole.
«Il bello è che so che mi stai prendendo in giro.» sbuffò Lila, scuotendo il capo e ridando la scatoletta a Vooxi, tornando poi a finire di prepararsi: «Ma ti avviso: al prossimo accenno alle scimmie, tu impari ad aprire le scatolette.»
«Come tu desideri, somma Lila.»
«Continuo a sentirmi presa in giro.»
«Ma Vooxi non potrebbe mai prendere in giro la sua umana. Vooxi è un kwami fedele.»
Lila si voltò, posando le mani sui fianchi e fissando male lo spirito della volpe: «Ammettilo. Ti sei di nuovo sparato tutti i film di Harry Potter, vero?»
«Lila. Ti prego, quando tutto questo sarà finito, andiamo a Londra! Ti prego!»
«Lo sai, vero, che è tutta finzione e che non c'è un binario 9 e 3/4? Lo sai, vero?»
«Ehi, sono un kwami! Se esisto io, può esistere anche un binario 9 e 3/4.»
«Qualcuno mi salvi da te!»
Vooxi alzò le spalle, riprendendo a mangiare e osservando la castana: «Magari un certo possessore di Miraculous che parla male il francese, eh?»
«Cosa?»
«La persona che ti potrebbe salvare da me.»
«Non ho la più pallida idea di quello che stai dicendo: sono interessata a Tortoise – o Torty, come lo chiama il micetto – ma solo perché voglio scoprire chi è. E' l'esatto interesse che ho sia per Peacock che per Bee.»
«E allora perché gli altri due non li pedini?»
«Bee vola.»
«Peacock no, però.»
«E' difficile da rintracciare.»
«Certo. Ed io sono un chihuahua.»
«In effetti...» mormorò Lila, inclinando la testa e sorridendo al kwami: «Potrei spacciarti tranquillamente per uno di quei cagnolini. E farti indossare vestitini pieni di gale e trine...»
«Provaci e sei morta!»


«Puoi farcela, Wei!» dichiarò Wayzz, volando sopra il libro di francese e incoraggiando il giovane che sta trascrivendo alcune parole, ripetendo la pronuncia esatta.
«Posso farcela!» dichiarò il ragazzo, ripetendo l'operazione: «Io saperò parlare francese.»
«Saprò.» lo corresse immediatamente Wayzz, volandogli davanti il viso: «E' solo un errore! Non demoralizzarti!»
«Non mi demoralizzo!»
«Bravo il mio ragazzo!»
Fu osservò la scena, scuotendo il capo di fronte ai due e non sapendo se dare man forte a Wayzz nel supporto morale che stava dando a Wei o farsi direttamente gli affari propri.
Hai il cuore troppo tenero, Fu, si disse mentre si sedeva al tavolo con i due e leggeva le parole scritte dal ragazzo: «Andiamo, puoi farcela.» dichiarò, unendosi anche lui al kwami verde nell'incitamento.


Gabriel sospirò, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale, dando un'ultima occhiata ai preventivi dei fornitori che Adrien gli aveva suggerito: poteva farcela. La sfilata non sarebbe stata il disastro totale che si preannunciava.
Un lieve bussare alla porta lo riportò alla realtà e, dopo essersi massaggiato la faccia per scacciare un po' di stanchezza, inforcò nuovamente gli occhiali: «Avanti.» ordinò, tornando a prestare attenzione alle carte, quasi certo che il nuovo arrivato fosse Nathalie con una nuova serie di scuse.
«Gabrielluccio!»
Un brivido corse lungo la schiena dell'uomo, mentre alzava lo sguardo e incontrava la figura di Willhelmina Hart: il corpo stretto in un abito rosso fuoco di parecchie stagioni passate, i capelli biondo platino tirati indietro e il viso truccatissimo.
E quella donna era una stilista?
Ricorda Gabriel, la moda è dettata dagli uomini. Chi sei tu per dire che il suo look fa schifo?, si disse mentalmente, trovando però immediatamente una risposta alla domanda.
Gabriel Agreste, che domande.
Gabriel, ricorda: la moda è sensazione. La moda è innovazione.
La moda è personale.
Sì, ma si veste da schifo.

La osservò sedersi in una delle due poltroncine beige messe davanti alla scrivania e l'uomo si tirò indietro, pauroso che un punto della cucitura saltasse e lo colpisse in pieno viso: «Gabriel, ho appena dato un'occhiata ai tuoi vestiti: quell'abito rosso e oro...» si fermò, agitando le mani per aria e Gabriel notò gli artigli laccati di cremisi: «...semplicemente meraviglioso! Immagino che sia il fulcro della tua sfilata.»
Chi. Era. L'imbecille. Che. L'aveva. Fatta. Entrare. Nell'atelier?
Trattenendo a stento la rabbia, l'uomo rimase impassibile e fece mente locale all'abito che la Hart aveva osannato: «Quello non è uno dello sfilata.»
«Ah no? E come mai?»
«Non penso siano affari suoi, Madame Hart.»
Willhelmina sorrise zuccherosa, allungandosi in avanti e posando le mani su quelle di Gabriel, e ignorò volutamente lo sguardo di ghiaccio che ricevette in cambio: «Avanti, non fare il prezioso, Gabrielluccio e raccontami tutto.»
L'uomo la fissò, spostando poi lo sguardo sul cellulare e analizzando brevemente la situazione: se voleva liberarsi di una seccatura, c'era una sola cosa da fare.
Certo, non era bella, ma come Papillon ne aveva fatte di peggiori
Liberò le mani dalla stretta della donna e prese l'apparecchio, mandando velocemente un messaggio.
E poi un altro.
E un alto ancora.
Mentre i suoi timpani venivano martoriati dalla voce della Hart: ma perché non rispondeva mai quando c'era bisogno?


Marinette ansimò, mentre le labbra del biondo scivolavano lungo il collo e le mani risalivano l'addome nudo: «Adrien...» gli sussurrò contro l'orecchio, facendo scorrere le mani sulle spalle muscolose e stringendosi maggiormente a lui; si morse il labbro inferiore, sentendo le labbra correre più in giù, fino all'incavo fra i seni.
«Ehi.»
La ragazza sospirò, voltando la testa e osservando il kwami nero che prendeva la mira e lanciava poi un pezzo di camembert, che finì sulla testa di Adrien.
«Adrien...» mormorò nuovamente Marinette, cercando di portare anche lei l'attenzione su Plagg e fallendo miseramente, ritrovandosi sdraiata e con le labbra di Adrien sulla pancia.
«Ehi! Gatto in calore!»
Un nuovo pezzo di formaggio sulla testa, ma Adrien era troppo concentrato a mordicchiare l'addome di Marinette che, inutilmente, stava cercando di allontanarlo da sé; Plagg sbuffò, volando fin dall'umano e tirandolo per i capelli, ricevendo in cambio un'occhiata di fuoco: «Che vuoi?» domandò il ragazzo, trattenendo a mal fatica la rabbia nella voce.
«Io niente. Tuo padre ti sta mandando messaggi da dieci minuti buoni!»
Adrien sbuffò, alzandosi in piedi e recuperando il cellulare che aveva abbandonato sulla scrivania e dando un'occhiata a ciò che gli aveva inviato il padre: il primo parlava solo di andare alla maison urgentemente.
Poi i toni erano diventati più allarmanti e aveva dichiarato che voleva essere salvato.
Il terzo, infine, dichiarava il piano malefico che il genitore aveva in mente per lui, ovvero immolarlo come vittima sacrificale alla Hart per la pace dei suoi nervi.
«Sta scherzando, spero.» sbottò Adrien, rileggendo l'ultimo messaggio e scuotendo il capo: «Altro che sono diventato buono, quello è Papillon fatto e finito.»
«Che ti ha scritto?» domandò Marinette, finendo di rimettersi la canotta e raggiungendo il ragazzo: a differenza di lui, che stava girando tranquillamente con solo i jeans addosso – e slacciati, fra l'altro – si sentiva ancora intimidita a camminare per una camera – non sua – mezza nuda. Si avvicinò e, posando le mani sul bicipite del giovane, lesse velocemente i tre messaggi: «Hart?»
«Willelhmina Hart.»
«La conosco! E' una stilista americana, se non sbaglio.»
«Come ci si aspetta dalla mia Marinette.» dichiarò Adrien, posandole una mano sulla testa e scompigliandole affettuosamente i capelli: «Perché ti sei rivestita?» domandò, notando solo allora che la ragazza era più coperta rispetto a poco prima.
«Perché devo andare a casa.» spiegò Marinette, cercando con lo sguardo la maglia a maniche lunghe e trovandola sul divano: «A differenza di te, che sei un genio della matematica, io ho parecchi problemi con quella materia e la professoressa mi ha dato del lavoro extra.» dichiarò, raggiungendo il mobile e finendo di rivestirsi: «Quindi, per quanto l'idea di – tue testuali parole – rotolarmi con te sul letto sia...» si fermò in cerca della parola esatta da dire: «...attraente? Sì, attraente. Beh, devo andare a casa a studiare.»
«Oh, hai detto "rotolarmi con te sul letto" senza arrossire e balbettare!» dichiarò Adrien, vedendola immediatamente diventare rosso fuoco e balbettare un qualche rimprovero verso di lui: «Stai facendo progressi.» sentenziò, recuperando la sua maglia sul letto e rivestendosi: «Dai, ti do una mano io: come hai detto tu sono un genio della matematica.»
«Davvero?»
«Marinette...» Adrien si fermò, studiandola un attimo e incrociando le braccia: «Ammettilo: hai fatto tutto questo per avere un aiuto con i compiti.»
«Ti ho portato anche i biscotti!» dichiarò giuliva la ragazza, recuperando la propria borsa e tirando fuori i libri della materia maledetta e un sacchetto marrone pieno di dolcetti, portando tutto al ragazzo con un sorriso sulle labbra.
«Sei pessima: prima mi attrai con il tuo corpo e poi vuoi darmi del cibo...»
«Sono quelli che fa mio padre, con i pezzi di cioccolata.» spiegò Marinette, facendo dondolare il sacchetto davanti al viso del ragazzo e sorridendo dolce: «Magari, se finiamo alla svelta potremmo riprendere anche il discorso di prima...»
«Questo è...»
«Questo è...?»
Il ragazzo sbuffò, afferrando il sacchetto e sedendosi sul divano: «Dammi quei libri, donna cattiva.» dichiarò, infilandosi un biscotto in bocca e divorandolo velocemente: «Mi sento usato, sappilo.»
«Ma non ti sto usando.» dichiarò Marinette, sedendosi accanto a lui e passandogli i testi di matematica: «Io ti aiuto con storia dell'arte e disegno, tu con matematica. E fisica. E...»
«Ti aiuto con tutto, fai prima così.»
«Non è vero! Ho voti alti in tutte le materie e non mi aiuti sempre te.»
«Bene. Brava la mia coccinella! Comunque le materie dove te la cavi da sola sono solo tre.» dichiarò Adrien, sfogliando il libro e afferrando il quaderno di Marinette, dando un'occhiata agli esercizi supplementari: «Ah. No. Quattro: storia dell'arte, Disegno, Letteratura ed Educazione civica.»
«Non è vero! E comunque tu sei troppo bravo! E pensare che non sei venuto a scuola per parecchio tempo.»
«Nathalie era un'insegnante severa. Parecchio severa.» spiegò Adrien, abbozzando un sorriso e cercando la pagina della teoria del primo esercizio: «E il suo programma di studi era da suicidio. Davvero. Oltretutto penso che abbia una laurea in economia, perché la maggior parte delle volte mi faceva studiare gestione aziendale, economia...» fece un gesto vago con la mano per aria: «Roba così. Però c'è da dire che mi sono sempre piaciuti: i numeri e il far quadrare tutto, intendo.»
«Potresti studiare quella, no?»
«Mh?»
«Economia. Questa roba qua. All'università, intendo.»
Adrien annuì, abbozzando un sorriso e facendo vagare lo sguardo sulle pagine davanti a sé, scuotendo poi il capo e voltandosi verso la ragazza: «Sei pronta, my lady?»
«Alla matematica? Mai.»
«Non sarà peggio che affrontare una persona akumatizzata. O uno di quei guerrieri di Coeur Noir.»


Sarah alzò il cellulare, aspettando che l'obiettivo mettesse a fuoco e poi premette, scattando una foto alla chiesa del Sacré Coeur e sentendosi soddisfatta dello scatto che aveva appena fatto: «E' un bel posto! Mi piace!» mormorò Mikko, facendo capolino e osservando la piazza di Louis Michel: le scalinate bianche risaltavano nel verde del prato, mentre dalla cima del suo colle, la chiesa dominava il tutto: «Comunque sei rimasta ossessionata da questo posto.»
«Mi ha...» Sarah si fermò, sistemandosi meglio la tracolla della borsa sulla spalla e iniziando la salita verso l'edificio candido: «...incantata.» dichiarò la ragazza, sorridendo alla vista di una bambina che, con i genitori, era seduta su un plaid steso sull'erba e giocava tutta felice con le bambole; raggiunse la terrazza poco più in alto rispetto all'entrata della piazza e si voltò, osservando il panorama di Parigi da lì: da un lato gli edifici della città, dall'altro la struttura che l'aveva ossessionata dalla sera prima.
Si appoggiò alla balaustra di pietra e rimase a osservare le persone che affollavano la parte sottostante: «Sarah?» mormorò una voce maschile che lei conosceva molto bene: si voltò, incontrando lo sguardo allegro di Rafael: «Che fai qua?» le domandò, raggiungendola e sorridendole caloroso.
Ecco. Adesso era di nuovo il ragazzo avvicinabile e non quello freddo e intoccabile che aveva incontrato la volta prima.
«Ah. Sono venuta a vedere la chiesa. Sono qui a Parigi da un po' e non ho ancora fatto un po' di turismo...» spiegò, indicando l'edificio candido e poi sistemandosi meglio la borsa: era quasi certa di aver sentito Mikko ridacchiare.
No, era certa di aver sentito la kwami ridacchiare.
«Potevi dirmelo, abito qui vicino e avrei potuto farti compagnia.»
«Ho deciso all'ultimo.»
Ovvero qualcosa tipo dodici/quindici ore fa?
«Sei già stata alla chiesa?»
Sarah scosse il capo, facendo ondeggiare le ciocche bionde che le incorniciavano il viso e portandosi poi una mano ai capelli, assicurandosi che il pettinino dell'Ape fosse ancora lì: che Miraculous fastidioso che era, doveva sempre stare attenta che non scivolasse via dai suoi capelli.
«Allora ti faccio da guida, ok?»
La ragazza annuì e Rafael le fece cenno di riprendere la salita verso la basilica: «Allora, vediamo se ricordo bene...» mormorò Rafael, aggrottando lo sguardo e studiando l'edificio: «Se non erro è stata costruita intorno alla fine del 1800. Gli anni 70-80, ora non ricordi preciso la data...»
«Ah. Non importa.» mormorò Sarah, frugando nella borsa e tirando fuori una guida tascabile di Parigi: «Ho questa. Ho pensato di prenderla per...» si fermò, roteando gli occhi: «...avere informazioni.»
«Bella mossa. Allora, sperando che il mio inglese non sia come il francese di qualcuno...» dichiarò Rafael, prendendo il libretto e sfogliandolo velocemente, alla ricerca della pagina sul monumento.
«Io parlo benissimo francese.»
«Grammaticalmente non lo metto in dubbio, ti manca quel qualcosa che fa capire che sei straniera, però.» dichiarò il ragazzo, sorridendo orgoglioso: «La basilique du Sacré-Coeur è una basilica cattolica dedicata al Sacro Cuore; elevata al rango di Basilica minore da Papa Benedetto XV nel 1898. L'intero edificio è in pietra calcarea che ha la caratteristica di non trattenere polvere e smog, così dopo ogni pioggia il Sacré Coeur risulta ancora più splendente.»
«Hai letto benissimo!»
Rafael sorrise, voltando il libretto verso di lei e picchiettando l'indice su un trafiletto: «C'è il pezzo in francese, è stato facile.»
«Questo è barare.»
Un sorriso piegò le labbra del ragazzo, che riprese la marcia verso l'alto: «No. E' solo usare tutti i mezzi a propria disposizione: e, comunque, se non c'era il pezzo in francese l'avrei tradotto tranquillamente: mia madre è una ricercatrice molecolare e da piccolo la seguivo sempre nei suoi spostamenti. Adesso è a New York, se non sbaglio, mentre io mi sono fermato qui in Francia: tecnicamente dovrei vivere con mio padre ma...» si fermò, scuotendo il capo divertito: «...lui è una specie di avventuriero e quindi è da qualche parte con tante piante, tanti animali striscianti e poca comodità.»
«Una ricercatrice molecolare e un avventuriero?»
«Già. Dovresti vedere come diventano diabetici quando sono insieme. Insopportabili.»
«Secondo me devono essere carini.»
«Forse dal tuo punto di vista, dal mio sono due che limonano troppo in una casa troppo piccola per tutti e tre.»


Il bussare alla porta svegliò Adrien che, messosi a sedere nel letto, si osservò intorno: vestiti sparsi, libri sul tavolo...
Si voltò, notando la ragazza addormentata nel suo letto e sorrise; si sarebbe chinato a baciare la parte di schiena lasciata scoperta dalle lenzuola, ma i colpi alla porta si fecero più insistenti e così sgusciò fuori dal letto, recuperando velocemente la sua biancheria intima e i suoi pantaloni, andando poi ad aprire. Suo padre lo studiò e Adrien si maledisse per non aver preso anche la maglietta: velocemente scivolò nello spazio aperto dell'uscio e lo richiuse dietro di sé: «Adesso capisco perché non sei venuto a salvarmi.»
«Rendermi la tua vittima sacrificale perché non vuoi sopportare Willhelmina Hart non è salvarti, è suicidio.»
«Non ti ho allevato così.»
«Dai! Magari non è tanto malaccio, prova a uscirci insieme: magari scopri che è la donna della tua vita.»
«C'è stata una sola donna nella mia vita: tua madre.» dichiarò Gabriel, fissandolo serio: «E devo dire che su questo punto mi assomigli: dimmi, figliolo, perché non provi a uscire con quella tua vecchia amica, Chloé Burgeois, magari scopri che è la donna della tua vita.»
«Non si rubano le battute altrui. E comunque c'è una sola donna nella mia vita: Marinette.»
«Anche tu hai rubato la mia.»
«Che volevi?»
«Sapere perché avevi abbandonato il tuo unico genitore in balia di quel mostro assetato di sangue.»
«E' stata così brutta?» sentenziò Adrien, poggiandosi contro la porta e incrociando le braccia al petto: «Andiamo, sei Papillon, colui che faceva tremare tutta Parigi con i suoi akuma.»
«Ero a un passo dall'autoakumatizzarmi oggi.»
«E' possibile farlo?»
«Non lo so. Ma ero vicino a scoprirlo.»
«Adrien?» la voce sommessa di Marinette giunse dall'interno della camera: il ragazzo si voltò e poi portò nuovamente attenzione sul padre, mentre i rumori da dentro facevano capire che la ragazza si era alzata e lo stava cercando.
«Va da lei.» commentò Gabriel, ignorando il sorriso imbarazzato del figlio e osservandolo mentre apriva velocemente la porta: «Adrien?»
«Sì?»
«Ti avviso fin da adesso: sorvolerò su questo tuo comportamento se, prima o poi, metterai un anello al dito di quella ragazza, altrimenti non pensare più di considerare questa casa come il tuo hotel per appuntamenti personale. Sono stato chiaro?»
«Sì.»
Adrien sgusciò dentro la stanza, chiudendo la porta alle spalle e addossandosi contro: Economia. Anello al dito.
Sembrava che quel giorno tutti volessero dirgli qualcosa.
«Adrien?» domandò Marinette, sbucando dal bagno e osservandolo, mentre lui rimaneva fermo dov'era: «Ero convinta che fossi andato a fare una delle tue docce. Sai il lato da modello...»
«Ah. Ah. Divertente.»
«Era buffo, vederti sparire in bagno nei momenti più assurdi come l'attacco di un nemico.»
«Disse quella che veniva sempre a controllare che fossi intero. Speravi in una sbirciatina, my lady?»
«Co-cosa? N-no! Ce-certo che no!»
«Quanto stiamo balbettando...»
«Smettila.»
«Come la signora comanda.»
Marinette inclinò la testa, mentre alcune ciocche more scivolavano sulle spalle lasciate nude dalla sua maglietta – a quanto pareva doveva dire addio a un altro capo d'abbigliamento –, e lo studiò attentamente: «Va tutto bene?»
«Sì, direi di sì.»
«Sei sicuro?»
«Certamente, my lady. Va tutto purffettamente bene!»


Willhelmina buttò giù il bicchiere di vino in un sorso solo, osservando il riflesso nello specchio davanti a lei: Gabriel Agreste.
Odiava il modo in cui la trattava, come se si sentisse superiore a lei.
Come se lui fosse il migliore.
Ma lui non era niente.
Lui era solo una misera creatura senza niente.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto vederlo strisciare e implorarle pietà.
Sorrise, versandosi un nuovo calice di vino e bevendolo tutto d'un fiato.
Già, sarebbe stato magnifico.

Miraculous Heroes {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora