Capitolo 11

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Sento il tocco leggero di una mano che sfiora la mia guancia. Apro gli occhi mettendo lentamente a fuoco l'immagine del ragazzo sdraiato sul fianco sinistro davanti a me.
Gli occhi grandi incredibilmente tristi, le lentiggini spruzzate sul viso dai lineamenti dolci, i capelli scompigliati.
Quanto ha fumato? Da quando tempo mi osserva?
«Che ore sono?» chiedo assonnata sbadigliando. Devo essermi addormentata come un sasso perché non ho sentito niente. Non mi capita spesso e quando succede poi mi sento intontita per tutto il giorno.
«Il tuo telefono continua a suonare», dice con voce fredda, quel pizzico di arroganza che non gli si addice.
Aggrotto la fronte quando indica qualcosa alle mie spalle. Mi volto notando lo smartphone sul comodino. Lo schermo illuminato da una notifica.
Spalanco gli occhi tirandomi su.
«Hai frugato dentro la mia borsa?» chiedo alzando subito il tono di voce guardandolo male.
«Ti saresti svegliata», replica tranquillo sistemandosi a metà busto con la schiena appoggiata alla tastiera del letto.
«Questo non ti giustifica. Hai aperto la mia borsa e...» sbuffo alzandomi dal letto innervosita dal suo atteggiamento forse manovrato dal fumo o da chissà che altro.
Nervosa in modo evidente afferro il telefono spostandomi in bagno dove chiudo a chiave dopo avere sbattuto la porta.
Mi piacerebbe rompere qualcosa. Peccato: non sono a casa mia e non posso di certo reagire come una pazza.
Sblocco lo schermo digitando in fretta il codice controllando le chiamate e che sia tutto in ordine.
Per fortuna non ha frugato dentro perché trovo tutte le notifiche in mostra sull'icona verde della cornetta.
Come ha potuto farlo?
Noto che è quasi mezzogiorno quindi mi decido a chiamare Anya. Sarà in pensiero. La immagino già mentre corre a rispondere pronta ad urlarmi contro.
Infatti: risponde al secondo squillo. Come se avesse il telefono a portata di mano.
«Alla buon ora!» sbotta con voce stridula. «Si può sapere che diavolo stavi facendo?»
Gratto la testa. Adesso devo trovare una spiegazione. «Dormivo», sbadiglio dandole la conferma. Avvicinandomi allo specchio mi appoggio al ripiano in marmo del lavandino cercando di non fissarmi troppo.
Sospira. «Mi stavo preoccupando», replica agitata. «Stavo per chiedere a Mark o a mio fratello di...»
Non sento più niente, specie quando qualcosa colpisce la porta facendomi saltare sul posto.
Porto immediatamente la mano sul petto controllando i battiti già oltre le due linee.
«Che cosa è stato?» strilla preoccupata. «Emma che succede?»
Indietreggio osservando la porta ancora attaccata ai cardini. «Niente. Adesso devo andare. Torno presto», stacco avvicinandomi alla maniglia.
Giro la chiave spalancando la porta e mi ritrovo lui davanti. È infuriato ma non ne ho paura perché sono arrabbiata, troppo.
«Perché ti sei chiusa nel bagno?»
«Perché hai preso il mio cellulare dalla borsa?» rispondo con una domanda. «Non potevi lasciarlo dove era?»
Passa una mano sul viso. «Non l'ho fatto per controllarti se è questo quello che ti frulla nella testa. Suonava di continuo e ho deciso di cercarlo e metterlo in modalità silenzioso per farti dormire. Non ci vedo niente di male nel mio gesto. Poi, che cosa nascondevi dentro la borsa di così importante? Ho già visto degli assorbenti, non mi scandalizzo mica.»
Rossa in viso gli mollo uno schiaffo abbastanza forte. Non so perché lo faccio ma la mia mano si avventa sulla sua guancia schiaffeggiandola una sola volta. Lascio la mia impronta. Mi sento meglio dopo averlo fatto anche se caccio fuori un urlo quando afferrandomi mi carica in spalla.
«Mettimi giù!» picchio i palmi sulle sue spalle nonostante la mano dopo lo schiaffo continui a pulsarmi.
Non mi ascolta. Non sente ragioni. Mi trascina in cucina dove mi sistema sul ripiano liscio e freddo posizionandosi tra le mie gambe che tiene con entrambe le mani stringendo la pelle provando poi a baciarmi.
Lo fermo. «Che ti prende?» chiedo trattenendolo a stento.
Fa una smorfia. «Che diavolo ti prende a te! Sei già di pessimo umore solo perché senza malizia ho preso il tuo dannato telefono mettendolo sul comodino.»
Nego. «Non è per questo, lo sai», brontolo lasciando che si avvicini quel tanto che basta da ritrovarmi le sue labbra a pochi centimetri dalle mie.
«Lo schiaffo non era per questo?»
Arrossisco al pensiero di averlo fatto. Solitamente non sono così aggressiva. «Mi dispiace», ammetto abbassando gli occhi.
Ride. «Sei così presa da questa storia da non accorgerti di ciò che ho fatto per il tuo risveglio», indica alle nostre spalle.
Mi volto quel tanto che basta per guardare e sul piccolo tavolo del salotto, c'è un vassoio pieno di cibo.
«Hai...»
«Non sono un mostro come credi», mi avvicina affondando le labbra sul collo. Schiocca piccoli baci raggiungendo le mie labbra. «Adesso posso baciarti?»
Avvolta da brividi che il mio corpo non riconosce mordendomi il labbro lo spingo. «Non così facilmente», scivolo lungo il suo corpo di proposito raggiungendo il salotto.
Mi siedo comoda con i piedi sotto il sedere sul divano in pelle rosso scegliendo tra i cornetti presenti sul vassoio. Ovviamente opto per quello al fondente bevendo subito un sorso di te' verde con un po' di zenzero e limone. Ci sono anche i biscotti e una ciotola di cereali con scaglie di cioccolato e un vasetto di yogurt accanto.
Non sa che cosa mangio a colazione però è stato carino da parte sua.
Si avvicina divertito dalla mia reazione. «Mi terrai il muso per tutto il tempo?» chiede prendendo una ciambella ai mirtilli.
Alzo le spalle. «L'effetto di ciò che hai assunto durerà qualche ora quindi, ho tutto il tempo.»
Posa tutto sul piattino togliendomi dalle mani il cornetto per schiacciarmi sul divano. Tenendomi ferma mi bacia.
Rispondo con un colpo della mano sul suo petto per respingerlo.
Sorride staccandosi mentre tento di riprendermi. «Stronzo!»
«Non essere così acida», ghigna addentando un altro pezzo di ciambella prima di concentrarsi sul bicchiere pieno di caffè con panna e cannella dopo avere tolto il coperchio.
«E tu non essere così sicuro», sbotto alzandomi.
Inarca un sopracciglio. «Dove vai?» stringe le dita sul bicchiere piegandolo leggermente.
«A cambiarmi. Non ho più fame», dico freddamente arrivando sulla soglia.
Quando mi volto lui è così vicino da sentirlo addosso. Respira affannosamente. «Puoi tornare in salotto un momento?» chiede indicando il divano a fatica cercando di controllarsi.
«È la droga a parlare o sei davvero tu?»
Passa le mani sul viso. «È stata colpa tua se ho avuto bisogno di...»
«Non scaricare le colpe su di me. Sei solo debole!»
Stringe la mia mandibola spingendomi verso la parete di mattoni. «Ripetilo», ringhia minaccioso.
Lo spingo toccandomi il mento. «Smettila!» strillo.
Si passa una mano sotto il naso indietreggiando come un ubriaco. «Di fare cosa?» chiede ghignando. «Emma, sei la mia ragazza», esclama come se ciò giustificasse il suo comportamento immaturo.
Nego. «Forse quando smetterai di trattarmi come un oggetto di tua proprietà», sbotto irrigidendomi quando mi circonda i fianchi premendomisi addosso.
Adesso che cosa fa?
«Ma tu sei mia», sorride abbassando il viso sull'orecchio. «E guai a chi ti tocca», sussurra iniziando a baciarmi il collo, la clavicola, la gola. «Guai a chi ti guarda o pensa anche solo di potermi fregare.» Si avvicina alle labbra. «Hai capito?»
Scuoto la testa trattenendolo. «Mi fai paura quando sei così», ammetto mantenendo la calma. Immagini di quella notte mi passano nella mente immobilizzandomi. Tremo visibilmente e lui accorgendosene piega la testa di lato. «Perché tremi?»
Picchio i palmi sul suo petto nudo. «Perché un ragazzo mi ha fatto male e non voglio riprovare la stessa sensazione. Non voglio sentirmi una... stupida che non sa riconoscere un mostro.»
Appare colpito dalle mie parole. Staccandosi mi guarda in modo diverso. «Non lo sapevo», balbetta.
«Già, ma questo non ti dà lo stesso il diritto di toccarmi in quel modo», esplodo lasciando uscire un pensiero tenuto dentro per tanto, troppo tempo. Mi tappo subito la bocca portando sopra una mano.
Scott è colpito dalle mie parole.
«Io... io non lo sapevo. Mi dispiace», dice frastornato provando ad abbracciarmi.
Mi allontano. «Scusa ma non...»
Annuisce. «Possiamo fare colazione?» mi implora.
«È ora di pranzo», faccio notare.
Alza le spalle infilando le mani dentro le tasche dei jeans nascondendo i pugni stretti in una morsa. «Dopo posso portarti a fare un giro?»
«Niente auto?»
Annuisce. «Niente auto, solo una passeggiata.»
Il suo tono mi fa rilassare e accetto. «Ok, ma niente sorprese.»
Alza gli occhi al cielo circondandomi le spalle con un braccio. «Va bene», risponde dandomi un bacio sulla guancia.
Dopo avere fatto colazione ed esserci vestiti usciamo dall'appartamento per passare una giornata diversa.
Il locale rimarrà chiuso per il weekend quindi avrò due giorni a mia disposizione.
Due lunghissimi giorni per rilassarmi.

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