Capitolo 26

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Aprire gli occhi è così faticoso ma ci provo lo stesso anche se bruciano. Fanno così male. Ho dolore ovunque e mi sento alquanto stordita, senza forza.
Come mi sono ridotta in questo stato?
Se frugo dentro la mia testa trovo ricordi sbiaditi delle ultime quarantotto ore. Attimi apparentemente normali ma che hanno generato una serie di reazioni a catena dentro e fuori di me.
Io che arrivo a casa. Io che trovo i regali. Io che piango e rido. Io che ricevo una lettera inaspettata. Io che distruggo i sacrifici fatti per essere una persona senza problemi.
Quella lettera è arrivata con un tempismo perfetto. Ho provato a strapparla, a buttarla via, ma la verità rimarrà immutabile e il suo ricordo indelebile, perché ormai è scritto dentro il cuore.
Le cose ci cambiano la vita con facilità. Basta un attimo. Giusto il tempo di un respiro e tutto si trasforma. Poi però diventa difficile abbandonare ogni cosa; andare avanti si presenta come una strada lastricata verso il dolore. Perché ci sono ricordi che se messi all'angolo, non smettono di fare male.
Passo una mano sul viso. Ho avuto un crollo emotivo. Sono caduta di nuovo in quel vortice, proprio come circa due anni e mezzo fa quando tutto stava andando a puttane. L'ho fatto talmente tante volte durante l'adolescenza da rivivere ogni singola sensazione ad ogni mio breve respiro o passo su un mondo carico di insidie.
Qualcosa, c'è qualcosa però in questa oscurità ritrovata in cui mi sono rannicchiata che mi fa scuotere l'anima accelerando i battiti cardiaci.
Mi sento davvero stanca. Comincio persino a respirare a fatica. Il mio petto si solleva e poi si abbassa a rilento. Mi sento come se un enorme masso schiacciasse il mio corpo. È come se mi stessero strangolando.
Da qualche parte nella mia mente, so di dovere riemergere in superficie. Da qualche parte, c'è una vocina che mi urla di risvegliarmi, di non ricadere nel baratro. Mi sto sentendo come quei bambini che promettono di non farlo più. Di non commettere mai più lo stesso errore per non ricevere una punizione. Già, sono proprio come una di quei bambini che non imparano mai la dura lezione della vita. Una vera ribelle.
Questa volta però sono caduta proprio in basso. Me ne vergogno. Mi vergogno di essermi fatta male per eliminare il dolore da sotto pelle e adesso, sto peggio. Non ci vorrà di certo un giorno per rimediare. Ricadere è semplice quando hai una mente indebolita. Perdere un vizio non è mai facile. Forse impossibile.
«Perché?»
Le orecchie smettono di fischiare e i battiti rallentano mentre il respiro torna regolare. C'è ancora silenzio ma una voce ha appena rotto un equilibrio riportandomi nell'immediato alla realtà. In modo brusco piombo ancora nel presente. Batto le palpebre guardandomi intorno più che stordita e in parte spaventata.
Mi ritrovo seduta sul sedile anteriore di un'auto costosa. Sedili comodi che profumano di nuovo.
Mi ci vuole un attimo buono per capire dove mi trovo. Mi agito immediatamente mentre una forte nausea sale sempre più velocemente.
«Dimmi, dimmi perché l'hai fatto?»
La cintura è troppo stretta. Provo a strattonarla senza successo. Sento caldo poi freddo poi di nuovo caldo.
«Fammi scendere», urlo dentro la testa. Dalla mia bocca non esce alcun suono. Solo un verso strozzato e disperato generato dal panico crescente ad ogni movimento, scossone o curva presa.
«Fammi scendere», strillo finalmente.
«Perché l'hai fatto?»
«Devo scendere», balbetto provando ad aprire lo sportello ma è chiuso a chiave, per cui so di essere in trappola. Una forte nausea mi investe e tappo la bocca sventolandomi con la mano.
Ethan si ferma premendo forte il piede sul freno. Non attendo oltre: sgancio la cintura aprendo lo sportello lasciandolo spalancato quando mi precipito fuori perché finalmente ci siamo fermati.
Corro verso l'angolo più vicino, a distanza dall'auto e, piegandomi vomito più volte; anche se non ho niente dentro lo stomaco a parte uno sfarfallio fastidioso generato dal suono di una voce in particolare.
Uno spasmo mi fa boccheggiare e piegare in due dal dolore. Ho i crampi allo stomaco e niente, neanche un po' d'acqua da buttare fuori per riprendermi.
Tossisco passandomi il dorso sulle labbra umide. Da quanto non metto niente dentro lo stomaco?
Mentalmente faccio i conti. Non metto niente sotto i denti dal mio compleanno. Quanti giorni sono passati da allora? Due?
Inginocchiata inspiro ed espiro. Quando sono certa di non avere più alcuna nausea mi siedo portando le ginocchia al petto e dondolo come una pazza nascondendomi.
Non riesco a piangere. Non riesco ad emettere alcun suono. C'è solo il frastuono generato dal mio cuore. In bocca invece ho il sapore acre della tristezza.
Percepisco dei passi svelti sul terreno poi una presenza vicina ed infine mi sento avvolta, riscaldata da due forti braccia.
È proprio vero: a volte il mondo sono solo due braccia pronte a proteggerti.
Senza neanche chiedere il permesso mi ci aggrappo come se fossero l'ultima scialuppa di salvataggio rimasta in una nave che sta già cadendo a fondo dopo essersi schiantata contro un enorme iceberg.
Sono un disastro. Un completo disastro.
Ethan mi solleva il mento costringendomi a guardarlo. Ma il suo sguardo, i suoi maledettissimi occhi chiari come vetro mi fanno stare male. Soprattutto quando mi chiede: «Perché? Perché l'hai fatto?».
Chiudo le palpebre prendendo una boccata di aria che rimane calda anche se ci troviamo a distanza da Brooklyn.
La verità è che non lo so. Sono solo una persona orribile, forse per questo l'ho fatto. Ma non rispondo. Scuoto la testa scrollando via la miriade di pensieri rannicchiandomi contro il suo petto. Mi piace quando la mia guancia aderisce sui suoi pettorali e all'orecchio arriva vivido il suono dei suoi battiti cardiaci. Il profumo familiare, deciso e forte della sua pelle calda, mi mantiene sveglia, ancorata alla realtà che a tratti vedo svanire davanti ai miei occhi.
Ethan non demorde. Stringe la presa sul mio mento senza farmi male. Mi trafigge ancora. «Cazzo, Emma ti sei fatta male. Tu...», le sue narici si dilatano e la sua voce si spezza. Sento disperazione nel suo tono che, al contrario è sempre stato autoritario, diretto e deciso. Davanti a me non ho il ragazzo posato che ho conosciuto. Non c'è il ragazzo che con un solo sorriso ha spento i miei pensieri e ogni mia paura; davanti a me c'è solo un ragazzo... spaventato.
«Dimmi perché? Che cosa diavolo ti è passato per la mente?», affonda la mano sinistra sui capelli. Un gesto che mi fa capire la sua frustrazione.
Mi stringe maggiormente a sé e questo mi regala conforto per pochi istanti.
Quando sbircio per capire dove ci siamo fermati vedo uno spiazzale polveroso. Una strada di campagna piena di sassi ed erba ai lati. Sento il fruscio delle foglie mosse dalla brezza serale e il continuo cricri dei grilli. C'è una strana aria attorno. Non fa caldo asfissiante ma c'è qualcosa di diverso, meno inquinato.
Con tutto il trambusto e l'apocalisse che mi ha letteralmente travolta, ho dimenticato di guardarmi bene attorno. Di osservare. «Dove siamo?», sussurro.
Ethan contrae la mandibola. «È questo quello che vuoi sapere?», alza di poco il tono. Mordo la guancia annuendo. «Si, dove siamo?»
Lascia uscire un sospiro. «Siamo in uno dei miei posti preferiti», non sorride perché non riesce a mentire visto che sembra ancora arrabbiato con me, ma guardandosi attorno osserva con soddisfazione il posto. Questo mi fa incuriosire maggiormente e, staccandomi leggermente da lui, allentando finalmente la presa, sbircio timida.
Davanti a me si trova una zona isolata, silenziosa, buia. Il cielo non è ancora nero ma inizia ad essere pieno di punti luminosi in grado di aiutare la mezza luna ad illuminare intorno.
Nelle vicinanze, in direzione del cricri c'è un laghetto apparentemente naturale e tanti alberi a fargli da cornice.
È un posto tranquillo nel complesso, ed è il suo rifugio. Credo sia vicino al suo appartamento, ma questo non so dirlo con esattezza.
In lontananza si nota il ponte, la città illuminata da innumerevoli luci. Uno sfondo meraviglioso, a dir poco magico per questo momento difficile.
Guardo Ethan. «Mi dispiace». Se potessi, scoppierei in lacrime ma non ne ho più. Mi sono prosciugata. Le dighe dentro la mia anima si sono sfaldate e sono annegata, ho toccato il fondo e sono rimasta tra i detriti.
«No, non ti dispiace affatto», ringhia.
«Ethan...», provo a giustificarmi.
Nega scuotendo la testa come se non volesse neanche ascoltare le mie scuse. «Ti sei fatta male. Cazzo!», impreca. «Ti sei fatta male!», ripete quasi per convincersi.
Stringo le palpebre rannicchiandomi ancora contro il suo petto. Ho bisogno di lui come non ho mai avuto bisogno di qualcuno in vita mia.
Sto provando talmente tante cose da non riuscire a ragionare razionalmente. Non so più che cosa voglio. Non so più chi sono. Prima non dovevo fare affidamento su nessuno mentre ora, ora c'è qualcuno e questa cosa mi destabilizza perché non sopporto di vedere la delusione nel volto delle persone a cui tengo. Inoltre sto cercando aiuto chiedendolo ad una persona che non mi conosce ancora.
«Mi dispiace», ripeto con un filo di voce.
I suoi occhi ardono e non solo di rabbia. Sotto lo strato duro, sotto quella piccola crepa: c'è dell'altro.
«Come cazzo ti è venuto in mente di farti del male? Come hai potuto farlo senza neanche pensare a me? Io... io non voglio che mi lasci solo. Hai capito?», urla.
Spalanco gli occhi guardandolo smarrita. Lui... lui ha paura di perdermi? Ha paura di rimanere solo?
Lui... ha Anya e Mark e... suo padre, una famiglia. Ha tante persone che tengono a lui. Io non sono niente. Io non sono nessuno.
«Non...»
Che cosa rispondo?
Non so che cosa dire. Non trovo le parole adatte perché per questo genere di situazione forse non esistono.
Si alza immediatamente sciogliendo l'abbraccio. Si allontana da me facendomi sentire la mancanza del suo calore, dell'odore inconfondibile della sua pelle sulla mia.
«Dannazione!»
Inizia ad urlare contro il vento caldo, alzando il viso verso il cielo. In breve, in un battito di ciglia, diventa l'immagine della furia appena scesa sulla terra, pronta a scaricare la sua ira.
Quando smette di urlare, molla un calcio al cerchione dell'auto; poi posa i palmi sul paraurti abbassando la testa. In questo modo cerca di calmarsi da solo e so per esperienza che questo non sarà lontanamente possibile. Perché il motivo principale della sua rabbia sono proprio io.
Per istinto mi alzo e anche se traballante mi avvicino come se avessi davanti un lupo dagli occhi rossi e iniettati di sangue. Non riesco a reggermi in piedi. Sono debole e vorrei tanto prendermi a schiaffi; me lo merito.
Passo sotto il suo braccio salendo sul paraurti facendo attenzione a non graffiarlo. Insicura avvicino le mani al suo corpo poi scrollo via la paura abbracciandolo.
Per pochi interminabili e lunghi istanti temo possa rifiutarmi liberandosi dalle mie braccia, spezzandomi il cuore. Ho il timore che si allontani da me. Invece, mi stringe forte a sé. E, quando ricambia lascio uscire un sospiro strozzato che diventa presto un singhiozzo.
Abbassa il viso mentre alzo il mio. Le sue labbra si posano sulla mia fronte regalandomi un bacio e una serie di scosse elettriche.
Accarezza il mio viso. «Non farlo mai più. Mai più! Intesi? Promettimelo. Promettimelo Emma», ringhia costringendomi a guardarlo.
«Ok», sussurro ad occhi chiusi.
Posso davvero prometterlo? Posso riuscire ad essere forte e non cedere alla tentazione di fare ancora del male a me stessa? Posso farcela?
Stringo l'abbraccio e lui mi bacia ancora la fronte. È così delicato, così dolce, così tenero che dimentico tutto il resto.
Guardo le sue labbra e lui deglutisce prima di staccarsi per rispondere ad una chiamata che ci interrompe in uno dei momenti più intensi vissuti insieme.
Boccheggio riprendendo fiato. Aggiusto i capelli e lo osservo mentre parla freddamente con qualcuno. Replica persino in modo brusco ma non riesco nemmeno a leggere il labiale perché: oltre a mettersi lontano, mi dà pure le spalle.
Quando torna non mi chiede neanche il permesso perché prendendomi in braccio mi porta in auto pronto ad allontanarsi da qui.
Non voglio andare via. È tranquillo. Mi piace questo posto.
Quando prova ad avviare il motore blocco il suo gesto posando il palmo sul suo polso. Intuisce girando la chiave, spegnendo il quadro di accensione; poi voltandosi fruga sul sedile posteriore. Rovista prima di posarmi in grembo un sacchetto di patatine e una bottiglia di succo.
Corrugando la fronte del tutto incredula lo guardo di sbieco. Lui mi sta già fissando e so a cosa sta pensando.
Le mani quasi tremano quando apro il sacchetto cercando di mangiare. Non ho poi così tanta fame ma sono debole e stanca per fare troppe storie.
Provo a prendere la bottiglietta. Nello stesso istante Ethan fa lo stesso gesto. Le nostre dita si scontrano. Afferra la bottiglietta e dopo averla aperta me la porge.
Assaggio. Il liquido sa tanto di arancia. Bevo avidamente. La mia gola arida come quella nel deserto ringrazia.
Gli passo la bottiglia e lui senza problemi beve dove poco prima ho appoggiato le mie labbra.
Il silenzio aleggia nell'abitacolo ma non è carico di tensione.
«Ti senti meglio?», chiede notando che sto chiudendo il sacchetto.
Come mi sento?
In parte dopo avere mangiato sto meglio. Decisamente. Ma sono di pessimo umore e in pessimo stato, non ho una bella cera.
Passo i palmi sulle gambe. «È arrivata dal nulla», inizio fissando il riflesso della luna sul laghetto. «È stato come ricevere una doccia gelata. I morti tornano a tormentarti quando meno te lo aspetti», sorrido mestamente.
«Che cosa è arrivata dal nulla?», domanda tranquillo.
«Una busta bianca. Dentro c'erano troppi ricordi», sussurro. «Hanno riempito per me un fondo fiduciario affinché lo ricevessi per i miei vent'anni. I miei genitori, mia nonna... hanno lasciato dei fottuti soldi per i miei fottutissimi vent'anni. C'era anche una lettera come testamento. Come se sapessero che, presto o tardi mi avrebbero abbandonata. Io... io li odio. Odio il fatto che hanno preferito abbandonarmi lasciandomi dei pezzi di carta anziché rimanere e non perdersi ogni momento felice o triste della mia vita», stringo i pugni conficcando le unghie sulla carne.
In un gesto delicato libera le mie mani facendo distendere i pugni intrecciando subito le nostre dita.
«Secondo te sono una persona orribile per questo? Sono una stronza insensibile se penso di odiarli per il loro egoismo? Se sono così arrabbiata con loro per avermi abbandonata?», dalla mia bocca sfugge un singhiozzo e appoggio la testa contro il finestrino. «Io... vorrei solo rivederli ancora. Svegliarmi e non sentirmi più così incompleta», sospiro. «Ma non è possibile. Non lo sarà mai.»
«Non sei una persona orribile. Sei solo arrabbiata e questo è un bene ma non devi commettere più alcuna cazzata perché così facendo ti metterai solo in pericolo. Devi essere arrabbiata, devi spaccare tutto lasciando uscire così il rumore che trattieni dentro prima che questo ti consumi», mi costringe a guardarlo.
Sono sbalordita. In parte mi sento anche stordita.
Sporgendomi lo abbraccio. «Grazie», sussurro. Il mio cuore batte forte a contatto con il suo. E vorrei rimanere così, tra le sue braccia, ancora per un po'.
Quando torno sul sedile mi rannicchio e osservando fuori dal finestrino aperto. Mi piace davvero tanto questo posto. Potrei persino costruirci una tenda e rimanerci, magari per sempre. Con questi pensieri abbasso le palpebre sempre più pesanti fino ad addormentarmi.
Cado in uno strano mondo oscuro. C'è solo buio; non ci sono sogni, non ci sono incubi. Ci sono solo io e il buio della mia anima in frantumi.
Quando mi sento sfiorare una guancia, mi riscuoto dal torpore. Ethan ritrae la mano come se si fosse appena scottato e in poche e semplici mosse cambia marcia.
Da quanto dormo?
Mi irrigidisco leggermente. Ho tutti i muscoli indolenziti e la gola secca. Cerco il succo o una bottiglia d'acqua e bevo cercando di non pensare al disastro che sono.
Abbasso lo specchietto osservando il mio riflesso. Ho un aspetto davvero orribile. Lego subito i capelli aggiustandoli come meglio posso.
Quando mi volto Ethan sta guidando più che attento e concentrato sulla strada. Non mi rende partecipe per cui non so dove stiamo andando. Spero solo di non dovere rivedere il mio vecchio palazzo, quello che ho chiamato casa. Adesso non penso di averne ancora una.
Mi ritrovo anche su un'auto. Ciò mi rende nervosa, perché non se ne andrà mai via la paura o la sensazione che sento quando preme sull'acceleratore o peggio: quando sorpassa qualcuno vicino una curva. In più, quando vedo un tir, trattengo a stento un urlo.
«Dove stiamo andando?»
Cambia ancora una volta marcia senza neanche rispondere, poi svolta a destra fermandosi davanti il ristorante, quello vicino la stazione di servizio in cui ci siamo fermati tempo fa. Sembra essere passato un secolo da allora.
Aperta la mia portiera mi porge degli indumenti puliti indicandomi il bagno vicino dove cambiarmi.
Abbasso gli occhi sul mio corpo rendendomi finalmente conto di indossare una vecchia tuta sporca di terra e fili d'erba.
Mentre mi lascio accompagnare al bagno, dove si assicura che sia libero, mi rimprovero mentalmente per il mio aspetto trasandato e da tossica.
Chiusa la porta lascio uscire un sospiro. Il bagno davanti a me è appena stato pulito. Odora di disinfettante.
Le pareti sono piastrellate in bianco e nero. Le piastrelle nere fanno da cornice mentre quelle bianche riempiono ovunque. Le porte dei bagni sono di legno simile al nero ma un po' più sbiadito.
È quasi l'alba quindi devo sbrigarmi se voglio sistemarmi come si deve prima che il traffico mattutino rovini la quiete attuale di questo posto.
Sciacquo il viso dopo avere osservato l'enorme lastra piena di lavandini e sopra di essi uno specchio rettangolare che parte da un lato della parete all'altro, togliendomi di dosso i vestiti sporchi. Sistemo come meglio posso i capelli. Per fortuna non ci metto neanche tanto a domarli visto che li lavo e li lego sulla testa per non averli in faccia.
Quando mi sento presentabile, esco dal bagno ritrovandomi Ethan davanti.
Faccio un passo indietro osservando la piccola fila di persone che ho fatto attendere. Arrossisco guardandolo di sottecchi: "chi sei?". Sussurro a me stessa.
Anche lui si è cambiato. Indossa un paio di pantaloncini neri della Nike, una maglietta stretta bianca che lascia intravedere non solo i muscoli che guizzano ad ogni movimento ma anche qualche tatuaggio e scarpe da ginnastica. Ha una piccola croce dietro l'orecchio: mi piace.
Afferra i vestiti sporchi dalle mie mani appallottolandoli insieme ai suoi prima di lanciarli incurante dentro il cofano della sua Audi sportiva. La mia preferita: nera, senza sfumature.
«Perché hai fatto aspettare quelle persone fuori dal bagno?»
Abbiamo tanto l'aria di due fuggitivi. E poi: come faceva ad avere i miei indumenti? Sapeva che mi sarebbero serviti?
Poi ripenso alle parole di Camille ravvedendomi e, trattenendo le domande lo seguo verso il ristorante, quello accanto al rifornimento di benzina.
«Perché dovevi cambiarti e il bagno era appena stato pulito», mi rivolge uno sguardo inquietante.
Assottiglio gli occhi. «Chi credi di essere?» farfuglio.
Sorride aprendo la porta del locale lasciandomi entrare. La cameriera dai capelli colorati corre subito ad abbracciarlo poi ci porta ad un tavolo facendoci sedere.
«Allora, che cosa vi porto?», pesca un taccuino elettronico dalla tasca del grembiule.
«Pancake, una ciotola di frutta con dello yogurt bianco e una di cioccolato fuso. Due muffin, un succo all'arancia e un caffè doppio senza zucchero», ordina anche per me.
La cameriera, Liz, così c'è scritto sul cartellino che porta sulla divisa, annota tutto continuando a fissarci con un sorrisetto malizioso. In particolare fissa lui come se volesse mangiarlo.
Mi sarebbe piaciuto ordinare da sola. So ancora farlo. Ma, per evitare un litigio, mi volto ad ammirare ancora il fantasioso bancone con l'automobile d'epoca sospesa sopra. Di recente hanno ridipinto le pareti e cambiato gli interni. Tutto ancora in stile Americano, colorato, allegro, accogliente.
C'è odore di chicchi di caffè appena tritati, panna fresca e cioccolato. Quello delle ciambelle alla glassa colorata e dei pancake ai mirtilli. Tutto appetitoso se non fosse per il mio stomaco già in parte contrariato.
Liz dopo qualche minuto è già di ritorno. Porta a tavola un piatto enorme pieno di pancake, una brocca con il succo all'arancia fresco, un bicchiere con il ghiaccio, i muffin e il caffè.
Ethan afferra proprio quest'ultimo versandosene una generosa dose.
«Allora, dove siete diretti oggi? Fuga romantica da qualche parte?», chiede curiosa e con un sorriso quasi plastico.
Dentro il reggiseno ha una banconota?
Ethan beve scoccandogli un'occhiata. Anche lui nota il dettaglio. «Stiamo andando a sposarci a Las Vegas», replica rilassandosi sul divano in pelle nero.
Sorpresa dalla sua risposta gli mollo un calcio sotto il tavolo beccandolo in pieno, ma non sembra averlo sentito.
Liz invece sente bene la sua risposta, sbianca persino. «Davvero?», squittisce appoggiando un barattolo sul tavolo.
Che cosa le succede?
Sembra che sia appena stata colpita allo stomaco o peggio: da una pugnalata. Perché è tanto curiosa?
«Si, non vediamo l'ora. Vero, amore?», sorride tagliando un pezzo di pancake poco prima di avvicinarlo alle mie labbra tenendo a mezz'aria la forchetta.
Non capisco. Bevo velocemente un po' di succo cercando di non rovesciarlo a terra per impedirmi di strangolarlo davanti a tutti. Quando mi scocca uno sguardo complice, ricevo come una sferzata lungo la schiena e intuendo, capisco di dovere stare al suo gioco perché c'è qualcosa sotto.
Così, incapace di mentire, provo ad assecondarlo. Batto le palpebre in modo dolce sforzandomi di sorridere.
«Già», rido nervosa.
Betty non sembra convinta così aggiungo: «A dire il vero sono nervosa. Sai, per il viaggio e... il passo enorme che stiamo per fare. Insomma, sarò presto la signora Evans. Chiunque al mio posto si sentirebbe così, no?»
Ancora una volta Liz spalanca la bocca. La gomma le rimane attaccata ai denti. Accorgendosi del mio sguardo la richiude rivolgendomi un sorriso tirato. È come se avesse appena mangiato limone o latte acido. Il pensiero di Ethan sposato con me le deve fare proprio ribrezzo. In effetti... un tipo come lui non starà mai con una come me.
«Be', sono davvero felice per te Ethan. Finalmente ti sei deciso a mettere la testa a posto, eh?», lo spinge per la spalla scherzosamente. «Davvero, non mi aspettavo una notizia così... scusate devo andare», si dilegua nell'immediato più che rigida dopo avere farfugliato la risposta.
Ancora una volta mollo un calcio al ragazzo che ho di fronte a me fulminandolo con lo sguardo. Mi deve delle spiegazioni. «Che diavolo ti dice il cervello?», sbotto incapace di trattenermi.
«Non ora. Non qui», indica il gruppo di ragazzi seduti in fondo al locale. Tra loro riconosco l'amico di Drew di cui non ricordo il nome.
Rabbrividisco quando Liz gli si avvicina e abbassandosi gli sussurra qualcosa all'orecchio guardandolo complice prima di lasciare che lui le infili altri soldi dentro la coppa del reggiseno. Quando ci indica faccio un grosso sospiro e abbattuta cerco di mangiare qualcosa ignorando la visione di lui che le dà una pacca sul sedere mentre lei squittisce divertita. Dopo questo il mio appetito passa in secondo piano.
Quando non riesco più a sforzarmi, mi alzo e senza attendere mi precipito verso la cassa dove provo a spiegare al ragazzo davanti a me che deve farmi pagare senza se o senza ma; ignorando persino la presenza alle mie spalle.
Ethan, infatti, si affianca guardandomi male, ma non demordo.
«Siete davvero diretti a Las Vegas o... o mi stavate prendendo in giro prima?», domanda ancora Liz servendo un caffè prima di pescare la banconota di Ethan scartando la mia dopo avere assistito al mio inutile tentativo di persuadere quel cretino del suo collega già lontano dalla cassa. Le sue dita premono suo tasti per digitare lo scontrino. Osservo le sue mani delicate e qualcosa non mi quadra. Per essere una cameriera, non ha una screpolatura e le sue unghie dovrebbero essere prive di smalto anziché di un fucsia acceso.
Metto la banconota dentro il barattolo sfidandolo. «Nessuno mi paga la colazione», lo minaccio. «Tantomeno tu», continuo rigidamente.
«Con mia sorella funzionerà questa stronzata. Con me non hai possibilità di vittoria», replica piccato.
Vedendomi pronta a replicare avvicinandosi aggiunge in fretta, dopo avere assunto il suo sguardo dolce e malizioso: «sarai mia moglie, ricordi? Mi prenderò cura di te», sfiorandomi la guancia.
Arrossisco così tanto da essere costretta a scansarmi e a voltarmi verso i tavoli per riprendere fiato. Noto immediatamente un cambiamento. Al gruppo si è appena unito un secondo amico di Drew. Quello che in officina così come alla festa mi fissava da lontano tenendomi probabilmente d'occhio.
Notando che Liz ci osserva, Ethan decide di confermare. «Si, abbiamo deciso. Faremo il grande passo. Perché aspettare se ci amiamo?»
«Non avete invitato nessuno, non sarà sospetto? A meno che...», i suoi occhi si posano sul mio ventre.
Indietreggio. «Faremo un'altra cerimonia per i famigliari. Non sono incinta», dico d'impulso sentendo addosso troppi sguardi. Mordo il labbro e facendo finta di avere una chiamata in arrivo corro fuori.
Cammino avanti e indietro accanto all'auto cercando di non dare nell'occhio, anche se ciò è impossibile.
Ethan mi raggiunge, prova a parlarmi ma lo spingo allontanandolo da me più che carica di rabbia. «Che diavolo fai? Pensi sia divertente? Dio, Ethan sono con te da qualche ora e hai già messo sottosopra ogni cosa!», gesticolo ampiamente. «Ho altro a cui pensare. Io...»
Mi blocca per i polsi. «Possiamo discuterne altrove?», senza attendere apre lo sportello lasciandomi entrare e, mettendosi al volante guida in silenzio per un tratto di strada prima di fermarsi in un parcheggio.
Non attento oltre e lo colpisco ancora tenendo stretti i denti. Sono così arrabbiata da non riuscire a frenare l'istinto e la voglia di mollargli altri pugni.
Gli ultimi giorni sono stati un supplizio. Non sopporto il fatto che si sia preso gioco di me davanti a quella stronza pronta a venderci; soprattutto dopo quello che gli ho raccontato, dopo quello che lui stesso ha visto dentro quel bagno.
Tra poco saremo sulla bocca di tutti e a lui non sembra importare. Ancora una volta mi ritroverò nel mirino della sua ex o peggio: in quello di Drew.
Hanno qualcosa contro di lui. Me lo sento. Come sento che Ethan mi sta nascondendo una verità importante.
Blocca ancora i miei polsi. «Calmati!»
Il mio petto si alza ed abbassa in fretta. I miei battiti cardiaci aumentano di netto. Ho un tamburo dentro la gabbia toracica.
«Ok, scarica pure la tua rabbia, ogni tua frustrazione su di me, Emma!», sbotta con un sorriso sciocco stampato in faccia. Questo non fa altro che alimentare la mia furia. Le guance mi vanno a fuoco.
Esco immediatamente dall'auto iniziando a camminare pestando i piedi sull'asfalto caldo diretta verso la strada.
Ethan mi raggiunge guardandosi ovunque, più che furtivo; come il protagonista di uno di quei film costretto a tenere tutto sotto controllo stringendo tra le mani una pistola.
«Dove stai andando?»
Mi fermo. «A casa? A Las Vegas? Ovunque ma lontano da te», urlo fermandomi sul ciglio della strada facendo il gesto con il pollice per segnalare il mio bisogno di un passaggio.
I suoi occhi azzurri si accendono. Con un movimento fulmineo mi solleva sulla sua spalla. «Si dà il caso che io stia andando proprio a Las Vegas, perché chiedere un passaggio ad un estraneo se ci sono già io», ringhia a denti stretti regalandomi una serie di brividi indescrivibili.
Strillo colpendolo sulle spalle con i palmi chiusi a pugno. Deve assolutamente lasciarmi andare. Purtroppo non se ne parla. Con lui diventa subito una questione seria.
Quando nota che sono più calma mi lascia scivolare accanto alla sua auto bloccandomi contro il cofano con il suo corpo statuario che emana calore.
Non ho alcuna via d'uscita ma sono determinata a combattere. «Sei uno stronzo! Un pezzo di merda!»
«Va meglio?», domanda scostando una ciocca dal mio viso.
Un attimo prima potrebbe essere paragonato ad un aguzzino mentre quello dopo sa essere dolce. Chi è veramente Ethan?
Nego scrollando la testa ma abbasso comunque le spalle. Non credo abbia un senso arrabbiarsi.
«Mi terrai il muso adesso?»
Un'auto si ferma nel parcheggio. La mandibola di Ethan si contrae nell'immediato. «Cazzo!» soffia le parole mentre i suoi occhi saettano ovunque. «Questa non ci voleva».
«Che cosa sta succedendo?», chiedo agitandomi.
Appoggia la fronte sulla mia stringendo le braccia intorno alla mia schiena avvicinandomi a sé. «Stai al gioco, per favore. Ti spiegherò tutto ma adesso dovresti...», mi schiaccia contro il suo corpo e, affondando una mano tra i miei capelli che scioglie togliendo il nodo creato con l'elastico, si avventa sulle mie labbra infilandomi in bocca la lingua per un bacio insistente. Chiudo gli occhi. Il mio corpo si tende e le mie braccia circondano il suo collo mentre mi tengo in equilibrio sulle punte. Quando mi si preme maggiormente addosso, ansimo tirandogli i capelli dalla nuca mentre la sua lingua continua ad insinuarsi dentro la mia bocca per un bacio al gusto di caffè e pancake dolci.
Stiamo fingendo e pure bene ma lui non ha la minima idea di quello che sto provando. Non ha la più pallida idea di ciò che mi provoca. Non posso neanche concentrarmi per fingere se si comporta in questo modo. Lui mi disorienta.
Ansimo arrossendo e provo a staccarmi seppur lentamente sentendo i loro sguardi addosso.
«Guarda guarda chi abbiamo qui».
Ethan si stacca dalle mie labbra a fatica. La mia mano stringe il suo braccio per trattenerlo.
Sorride. «Chi non muore si rivede», esclama avvicinandosi a loro quando questi lo salutano con una pacca sulla spalla e una breve stretta.
Noto un luccichio nei loro occhi. Qualcosa non va. Hanno un piano.
«Che cosa ci fate qui?»
«Qualcuno ci ha dato una strana notizia. Volevamo controllare e chiedere direttamente a te. Abbiamo notato la tua auto e ci siamo fermati. Allora, è vero?»
Ethan fa il finto tonto. «Non so di cosa state parlando», mi preme quasi a sé. Ho notato il modo in cui ha appena irrigidito le spalle e guardato i due.
«Andiamo, Liz ci ha dato la notizia», esclama divertito il tizio apparentemente meno intelligente dei due mentre l'altro spostandosi controlla per una strana ragione le auto.
La mano di Ethan scivola nella mia. Le nostre dita si intrecciano e quando stringe la presa capisco che devo reggere ogni suo gioco, qualsiasi cosa. Mi ritrovo a guardarlo inebetita.
«Liz è solo una pettegola in cerca di guai», afferma con nonchalance. Il ragazzo però non sembra ascoltarlo. I suoi occhi accesi infatti si posano sul nostro gesto. «Stai andando davvero a Las Vegas a sposarti?» chiede curioso, senza giri di parole inutili. Vuole solo una risposta che sia positiva o negativa non importa perché dovrà riferirla a qualcuno. La mia mente si rifiuta categoricamente di sussurrare quel nome. L'unico destinatario. Il capo branco del gruppo.
Ethan sorride. Un sorriso tirato che usa quando tiene a freno la voglia di mettere al tappeto qualcuno. «Si, ho deciso di mettere la testa a posto, finalmente», mi guarda nervoso.
Il sole riscalda l'asfalto creando una visibile calura. Non c'è nessuna nuvola ad intaccare l'azzurro incontaminato. Non c'è neanche un filo d'aria per potere respirare un'ultima boccata prima della fine, perché ho una pessima sensazione.
Il tipo meno intelligente guarda l'altro che, con un cenno della testa ci raggiunge. «Be' congratulazioni», dice quest'ultimo guardandomi fisso negli occhi. Sta cercando di frugarmi dentro ma troverà solo terrore e pensieri attualmente. L'altro nel frattempo estrae il telefono digitando qualcosa. «Drew è a conoscenza di questa pazzia?» chiede tra i denti.
«Verrà a saperlo. A quanto pare le notizie viaggiano in fretta qui», spara apparentemente tranquillo e indifferente.
«Sarà sbalordito quanto noi quando lo verrà a sapere. Aspettati una sua chiamata e non per gli auguri», ghigna.
Ethan, ancora una volta, stringe la mia mano. «Non è una questione che gli riguarda. È personale. Non so se lo sapete ma ho chiuso con lui», replica. «Non faccio più parte del gruppo.»
«Da quando? Sai che Drew non lascia mai andare nessuno, vivo», ride.
Mi sento confusa. Questo che cosa significa? Riguarda l'officina o sotto c'è qualcos'altro?
«Spero che questo sia uno scherzo», replica quello più alto e attento dei due. La sua voce ha un non so che di rassicurante nonostante tutto. Come se stesse fingendo portando avanti una parte che non gli si addice a pieno.
La calma di Ethan invece, mi dà i brividi. Nega. «Non è nella mia indole fare le cose con calma», replica sorridendo con un'alzata di spalle. «Inoltre, potete sempre dirgli che spesso i lupi riescono a sovrastare il capo».
Io al contrario sono rigida come un palo. Mi sento improvvisamente in pericolo. Con tutti i pensieri e i problemi che mi ritrovo ad affrontare, questa proprio non ci voleva. È un gioco inutile visto che prima o poi verranno a sapere di essere stati presi in giro.
Perché mi sto preoccupando così tanto? Forse per Drew? Odio quel ragazzo.
Mi piacerebbe scappare ma non posso, non se mi ritrovo lontana da New York, senza mezzi e con tre ragazzi che non sono neanche amici, perché è evidente dal modo in cui si guardano.
«E tu che mi dici di Scott? Lui lo sa?» mi interpella ridacchiando sotto la barba. Mi sta provocando di proposito.
Raggelo al pensiero di Scott che, non vedo e non sento ormai da tempo. Sembra passato un secolo e quasi avevo messo da parte quello che provavo nei suoi confronti. «Scott se ne farà una ragione. Con lui ho chiuso quando ha deciso di tradirmi con un'altra e di mentirmi. Quindi non vedo come possa essere di suo interesse. Non mi importa della sua opinione in merito. Sono libera e farò quello che voglio», rispondo senza riflettere. «Adesso se non avete più altre domande da fare, be' noi ce ne andiamo. Abbiamo un matrimonio da organizzare», liberandomi dalla presa di Ethan, salgo in auto facendo uscire un lungo sospiro.
Dallo specchietto retrovisore vedo parlare Ethan ancora con loro. Gesticola minaccioso poco prima di entrare in auto. Allaccia la cintura con furia e in breve ci immettiamo in autostrada. Dopo pochi istanti preme le dita curate sullo schermo posto sullo stereo facendo così partire una chiamata.
Il viso contratto dalla furia. L'espressione di chi vorrebbe tornare indietro e fare tutto a pezzi, anche se stesso.
«Ethan, finalmente! Ma dove siete? Vi stiamo aspettando da ore», risponde agitata e in parte sollevata Anya.
È sempre stata tanto protettiva nei miei confronti. Le voglio davvero bene; perché mi ha fatto scoprire il vero senso dell'amicizia.
Ethan cambia velocemente marcia. «Ascolta, non possiamo tornare adesso a New York, non è...», replica guardando solo la strada davanti a sé, ignorando la mia espressione confusa. «È rischioso».
«Che cosa significa?» chiede.
«Anya», sibila a denti stretti come se volesse trasmetterle un messaggio in codice pronunciando semplicemente il suo nome.
Sento il fiato della mia amica trattenuto. «Dimmi che cosa devo fare?» replica abbattuta.
Spalanco gli occhi. «Che cosa...» provo a parlare agitata.
«Fa sistemare Camille nella stanza degli ospiti», ordina.
«Ok, ma Emma sta bene?», la sua voce trasuda insicurezza, come se sapesse che è in vivavoce. Si sta trattenendo. Troppo. La conosco e lei non tiene mai niente dentro.
«Emma sta bene», finalmente si volta ma è così breve il suo sguardo da scivolarmi addosso come una goccia d'acqua.
«Che cosa hai intenzione di fare
«Devo lavorare. Stiamo andando a Las Vegas per recuperare dei pezzi e una sostanza importante per rendere le auto più veloci durante le gare. Servono per un progetto e non posso trovarli altrove».
Perché mi sembra una menzogna?
Lo osservo. Ethan fissa solo la strada, le spalle rigide e la presa ferrea sul volante.
«Amico quando torni mi devi una spiegazione», interviene Mark. La sua voce è come uno sparo dentro le mie orecchie. «E una sbronza», aggiunge.
«Lo so», replica frustrato. «Ma dovete fidarvi di me. Inoltre, se vi riportano delle voci, be', non sono vere. Ho tutto sotto controllo. Solo... ho dovuto gestire l'imprevisto in modo diverso dal solito. Ad ogni modo, torneremo a casa tra qualche giorno», spiega misurato, controllando le parole da usare per non destare sospetti. Notandomi ancora sconvolta sbuffa. La sua mano si avvicina al mio viso e mi pizzica una guancia.
Sto per vomitare, lo sento.
Stiamo andando a Las Vegas, sul serio. Lui deve lavorare ad un progetto e gli servono dei pezzi e qualcosa per le auto.
Mi guardo intorno. Non ho niente con me a parte la borsa. Mi agito sul sedile. Mi piacerebbe prenderlo a pugni. Questa è la seconda volta in un giorno. Un record anche per me.
«Ok, ma riporta Emma intera o ti ammazzo. Mi hai sentito?», urla Camille troppo vicina alla cornetta.
Non appena sento la sua voce per poco non scoppio a ridere. Ethan notandolo mi dà un colpetto sulla coscia prima di rispondere: «Non preoccuparti. Tratterò Emma come una regina», ghigna.
Incrocio le braccia alzando gli occhi al cielo concedendomi un sospiro.
«Adesso dobbiamo riagganciare. Mi farò sentire io», preme il tasto rosso, la chiamata termina con un sonoro bip.
Incapace di trattenermi gli mollo una sberla sulla nuca. Questo lo diverte perché scoppia a ridere.
Massaggia il punto appena colpito. «Per che cosa era?»
«Non abbiamo vestiti. Non abbiamo un piano. Non so nemmeno perché sto accettando una simile follia. Insomma, puoi sempre portarmi indietro, starò bene a casa», dico imbronciata.
Ethan guida guardandomi. Assottiglia una palpebra. «Non farlo», minaccia.
Un lungo brivido mi si scarica addosso.
Mi sta spaventando. Quando capisce in quale direzione si stanno dirigendo i miei pensieri torna attento sulla strada che stiamo percorrendo. L'ultima cosa che voglio al momento è rischiare così la vita.
I minuti passano così come i km percorsi e la lontananza da New York si fa sempre più reale quando intravedo i primi cartelli stradali.
C'è solo il rumore quasi silenzioso dell'auto, quello del vento generato dalla velocità che entra dal finestrino. Questi si mescolano al mio respiro a tratti frenetico, a tratti lento.
«Ho un piano».
Ethan prende parola interrompendo il silenzio. Inserisce la freccia per segnalare alle auto che stanno dietro la nostra direzione fermandosi di fronte uno dei grossi centri commerciali fuori città.
Fisso la grossa insegna all'apice del palazzo a forma di Colosseo pieno di specchi riflettenti. Degli alberi in fila, a distanza tra loro fino a raggiungere l'entrata dove di fianco c'è una fontana i cui spruzzi si susseguono ad intermittenza. Ci sono turisti sorridenti impegnati ad immortalarsi a piedi nudi in mezzo all'acqua; altri, forse residenti, si godono la giornata rilassandosi sulle panchine a leggere un giornale o a mangiare qualcosa in compagnia di un amico o della propria compagna.
Lo schermo si illumina. Vi appare la foto di Seth. Una chiamata in arrivo c'è scritto.
Ethan lascia scorrere l'indice sulla striscia verde per rispondere.
«Ma dico amico: sei impazzito?», la sua voce esce stridula. «Che diavolo significa che stai andando senza preavviso a Las Vegas e per di più a sposarti? Hai assunto qualche sostanza pesante di recente o che cosa?», continua imperterrito; in parte agitato al pensiero di Ethan a Las Vegas, sposato.
Ma che cosa significa senza preavviso? Aveva programmato una gita?
Ethan del tutto tranquillo ridacchia. Un suono che non avevo ancora sentito uscire dalla sua bocca. Mi piace. Vorrei risentirlo. Aspetta: Lo trova divertente?
Io sto passando un orribile momento e lui decide di giocare a fare l'eroe?
Che stronzo!
Slaccio immediatamente la cintura. Non ho bisogno di lui per riprendermi. Provo ad aprire la portiera ma la sua mano si artiglia sul mio polso impedendomi di uscire.
Vuole che senta quello che ha da dire.
«In realtà era solo un depistaggio. Inoltre ci servono quei pezzi di ricambio e sto semplicemente facendo quello che avremmo dovuto fare da tempo. Che cosa andrà mai storto? Ah, e per la cronaca sei in vivavoce, come ben sai non sono solo», specifica in fine brontolando poco prima di slacciare la cintura continuando a tenermi per il polso.
Seth valuta bene come reagire. Non so, è tutto così strano. D'improvviso mi sembrano degli estranei pronti a prendersi beffa di me.
«Ffiuuu, amico, per un momento ho pensato che fossi impazzito. Ciao Emma, come va?», ritorna quello di sempre. Allegro, spensierato, con la testa tra le nuvole.
«Ciao Seth», balbetto. La mia voce esce leggermente roca per cui schiarisco la gola. «Devo presentarti una persona e so già che insieme farete scintille», sorrido sotto i baffi, soprattutto quando noto lo sguardo indagatore di Ethan, del tutto estraneo ai miei pensieri. Adesso come ci si sente, eh?
In parte mi sento soddisfatta di questo. Lui non mette del tutto al corrente me dei suoi piani ed io, be', contraccambio quando ne ho l'occasione.
«Non vedo l'ora. Ah, e che sia almeno fuori di testa», replica eccitato.
Ridacchio. Non riesco proprio a trattenere l'ilarità con lui. Forse perché si è da subito comportato in modo genuino nei miei confronti.
La mia risposta sembra sollevare di netto anche l'umore di Ethan che, ovviamente si precipita a tagliare corto. «Ok, adesso riaggancio. Ci vediamo tra un paio di giorni».
«Ok amico. Ah, e se avete bisogno di qualche consiglio sul matrimonio o su cosa scegliere, chiamate», ride.
Ethan sbuffa alzando gli occhi al cielo. Occhi che guarderei continuamente perché nascondono un mare pieno di segreti.
Riaggancia senza neanche replicare poi esce dall'auto avanzando verso l'entrata.
Lo seguo a ruota visitando ogni singolo negozio presente nei tre piani di cui è costituito questo enorme plesso caotico.
Acquisto il necessario per il viaggio anche se ancora non riesco a credere di avere accettato questa stranissima mano d'aiuto. Mi sto sentendo incredibilmente folle. Lo sto assecondando e per quale ragione?
Mi sento parecchio confusa, stranamente eccitata al pensiero e nervosa perché passerò ore e ore in auto.
«Ti ho anche preso un pigiama. Gli unicorni vanno bene?», ride notando la mia espressione nel vedere il pantaloncino azzurro pieno di unicorni e la canottiera con le bretelle azzurre, tutta bianca con due palpebre chiuse, ciglia lunghe nere e un corno disegnato al centro del tessuto di cotone. Non è poi così male ma...
alzo gli occhi al cielo prendendo il suo regalo. «Sei proprio irrecuperabile. E per la cronaca, dormo in intimo da sempre», ghigno soddisfatta lasciandolo a bocca aperta alla cassa, dove dopo avere pagato esco dal negozio osservata dalla commessa più che divertita dalla scena.
Stiamo giocando ad uno stupidissimo giorno che brucerà presto o tardi entrambi. Perché lui lo sa che non gli voglio solo bene.
Merda. Merda. Merda.
Sono fottuta!
Corro fuori a sedermi su una delle panchine libere, sotto il sole cocente che spero picchi così forte sulla mia testa facendomi dimenticare ogni cosa, persone comprese. Metto le mani sul viso e sospiro cercando di non avere una crisi isterica.
Ethan mi raggiunge. Dopo una breve esitazione posa il palmo sulla mia schiena. «Ehi, va tutto bene?»
Nego. No, non sto affatto bene. Tra poco darò di matto e lui ci andrà di mezzo perché mi sta coinvolgendo troppo facendomi sentire viva.
Continuo a scuotere la testa senza sapere rispondere alla sua domanda. Non riesco nemmeno ad aprire la bocca. Non riesco e non voglio lasciare liberi i pensieri perché questi potrebbero ferirlo.
Mi prende le mani e gonfio il petto.
Così mi uccide.
«Vedila così: potrai sempre spuntare una voce dalla tua lista. Sarà divertente, andiamo!», mi guarda in quel modo.
Dio, quanto lo odio!
«Come fai?», brontolo.
Mi fissa intensamente. «A fare cosa? Ascolta, se permetti al dolore di prendere il sopravvento, è finita. Devi combatterlo in qualsiasi modo. Anche facendo delle pazzie che generalmente non faresti mai. Sono sicuro che starai meglio quando torneremo. Provaci almeno e... se proprio non ti piace o non reggi, be', ti riporterò subito indietro», mi guarda ancora con dolcezza. È sincero. In questo momento lo è davvero.
Spinta da qualcosa, forse dalla tristezza, lo abbraccio nascondendo il viso sul suo petto.
Non so cosa siamo, cosa c'è tra di noi. In questo momento ho solo bisogno di sentire le sue braccia attorno al mio corpo, il suo calore avvolgermi, riscaldarmi. Ho bisogno di non sentirmi così fragile. Così spezzata dentro.
Voglio un abbraccio che rimetta in piedi i cocci rotti del mio cuore.
Lui ricambia. «Allora, che ne dici?» mi solleva con due dita il mento.
I miei occhi si abbassano sulle sue labbra. Vorrei tanto assaporarle ma non posso. Non posso perdere il controllo con lui. È una mina vagante nella mia vita. Un passo falso e mi farà esplodere, bruciare e poi perdermi in cenere.
Accetto staccandomi da lui più che ebbra.
Caricato tutto in auto, ci sediamo allacciando le cinture.
Per arrivare a Las Vegas dobbiamo percorrere circa 2236 miglia. Continuo a ripetere in un loop continuo questo numero dentro la testa.
Stiamo andando in auto, da un lato del paese all'altro.
È una follia!
Starò ore e ore qui dentro, con un ragazzo a cui tengo. Non riesco ancora a crederci.
Il mio telefono ronza e prima di rispondere a Camille inserisco il vivavoce.
«Ehi, ho saputo della fuga romantica. Dimmi che tornerai, mi piace la tua compagnia», piagnucola.
Sento ridacchiare Anya e il mio cuore inizia a battere forsennato nel petto. Guardo Ethan che, nel frattempo attende qualcosa. Ovviamente la mia risposta sincera.
Inumidisco le labbra. «Non è una fuga romantica. E poi certo che torno. Ah, ti farò conoscere una persona. So già che ti piacerà».
Ethan sorride scuotendo la testa. Ha capito al volo che intendo presentarle Seth.
«Sarà meglio per te che sia esplosivo. Ah, e portami una statuina di Elvis, sai quelle che vendono in quelle chiese...», ride.
Passo una mano sul viso trattenendo una risata.
Mi prenderanno in giro a vita. Lo so.
«Certo, contaci. Non fare cazzate senza di me», sorrido stranamente rilassata.
Quando riaggancio mi sento strana.
«Pronta?», chiede girando la chiave per avviare il motore.
Mi agito sul sedile e, anche se insicura annuisco.
Non so se sono davvero pronta a questa nuova avventura, a questo viaggio; ma so che mi servirà. Mi servirà a rimettere al loro posto i cocci della mia esistenza e, mi farà recuperare la ragazza che sono.
Ethan, in fondo, ha ragione. Non bisogna mai ancorarsi al dolore permettendogli di distruggere ogni cosa bella.
A volte mi meraviglio di quanto sia maturo.
Non so cosa ci porterà questo viaggio improvviso ma so che cercherò di combattere i miei demoni prima del mio ritorno a casa.

🖤N/a:~ Ciao romanticone! Eccomi con un nuovo capitolo aggiornato

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🖤
N/a:
~ Ciao romanticone!
Eccomi con un nuovo capitolo aggiornato. Mi sto impegnando apportando qualche miglioria. (Ovviamente non sono una scrittrice quindi non aspettatevi chissà che cosa).
Spero in ogni caso che questo aggiornamento vi sia piaciuto.
Adesso secondo voi che cosa succederà? Come andranno le cose in questo viaggio improvvisato? Emma reggerà il peso dei suoi problemi? Ethan sarà in grado di aiutarla? O entrambi finiranno per odiarsi e allontanarsi ancora?
Grazie per il continuo supporto con commenti e voti. Al prossimo capitolo...
Un abbraccio,
Giorgina❄️ ~

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