Capitolo 12

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Al tempo non importa niente di te, di ciò che sei o di ciò che vuoi. Al tempo non importa se provi dei sentimenti o se stai soffrendo. Non gli importa se hai il cuore in tanti piccolissimi pezzi taglienti in grado di ferirti ad ogni breve respiro. Al tempo non importa se sei distrutto; perché continuerà ad andare avanti prendendosi beffa di te, ignorando le tue urla silenziose. Non si fermerà, non allevierà il tuo dolore. Questa è la vita. È inutile credere alla stronzata che il tempo aggiusterà le cose; perché niente si aggiusta. Tutto si distrugge per poi essere ricostruito forse più forte di prima.
Guardandomi un po' indietro ho capito bene come agisce la rabbia. Inizialmente ti aiuta a sopravvivere poi, in un attimo, inizia a divorarti lentamente dall'interno e, pezzo dopo pezzo, scheggia dopo scheggia di te non ne rimane che un tassello crepato in grado di ferire chiunque proverà anche solo a sfiorarti.
La sveglia posta sul comodino continua a non suonare. Costringo me stessa ad aprire gli occhi lanciando un'occhiata verso la vetrata. Noto che fuori è ancora buio e che la finestra aperta lascia entrare la leggera brezza della notte.
Mi sento stordita anche parecchio indolenzita perché ancora una volta dormendo come un sasso, Scott mi ha stritolata senza neanche rendersene conto.
Per fortuna, non ho avuto nessun incubo. Non mi sono mossa. Sono rimasta per tutto il tempo ad occhi chiusi fino a quando il suo respiro non è diventato anche il mio.
Passo una mano sul lato vuoto, ormai freddo. Lui non è a letto.
Mi alzo a metà busto sbadigliando, cercandolo. La porta del bagno è socchiusa e la luce è accesa.
Scosto la coperta mettendomi in piedi. Stendo le braccia sgranchendole e mi avvicino alla porta fermandomi un momento dietro la superficie quando lo sento parlare. Rimango bloccata con la mano tesa sulla maniglia che tengo stretta sentendo le sue parole cariche di agitazione.
Che cosa sta succedendo?
«No, no che non puoi! Che cosa significa perché? Scherzi? Perché lei è qua in casa mia! Ti prego... smettila di chiamare di continuo o si insospettirà.»
Segue un rumore. Lui che agitato lascia cadere a terra qualcosa imprecando a bassa voce. «Stammi bene a sentire... no, non ho proprio voglia di litigare con lei», sospira. «Lasciami in pace!» sbotta agitato. «Si, si ok, ok, risolverò tutto.»
Aggrotto la fronte e quando smette di parlare intuendo che sta per uscire dal bagno mi affretto a tornare subito a letto cercando di apparire tranquilla.
Fingo di dormire rannicchiandomi sotto la coperta, stringendo forte il cuscino mentre dentro iniziano ad abbattersi molteplici paranoie.
Chi era al telefono? Perché era così agitato? Che cosa c'entro io in tutto questo?
Il mio cuore, batte all'impazzata. Così tanto che per un attimo ho paura che possa sentirsi tra le pareti di questa stanza improvvisamente opprimente.
Quando apre la porta del bagno questa emette un breve cigolio lasciando uscire la luce tenue del bagno che viene subito spenta con un click.
Sento i suoi passi sul pavimento e il letto muoversi.
Circonda subito la mia vita stringendomi lievemente al petto. Sento il suo fiato caldo sul collo e rabbrividisco. Per un attimo ho anche voglia di muovermi per scansarmi ma rimango immobile proprio come un opossum, impalata a farmi mille domande.
Chi era a quest'ora della notte? Che cosa voleva da lui?
Non vorrei passare a conclusioni affrettate però le sue parole, la sua voce, quel tono agitato e frustrato... non mi convince. No, tutto questo proprio non mi convince.
Decido di muovermi allontanandomi da lui, dalla sua presa ferrea e aggrappandomi al cuscino cerco inutilmente di riprendere sonno.
Ad un certo punto sento proprio di impazzire così, togliendomi di dosso il suo braccio che si artiglia fastidiosamente alla mia vita, facendo attenzione a non svegliarlo, mi alzo dirigendomi in cucina.
Mi sdraio con i piedi sotto il sedere sul divano di pelle cercando il telecomando per accendere l'enorme schermo piatto posto sulla parete attrezzata davanti.
Sulle varie mensole si trovano cd, dvd, dei vasi con delle piante grasse, libri, giochi. Accanto alla tv l'xbox, due joystick e delle schede che servono per vedere i telefilm.
Rivedo una vecchia puntata di "The Originals" cercando, mentre le immagini si susseguono, di non pensare troppo.
Da un lato non mi aspetto che Scott sia uno stinco di santo però dall'altro mi sento in bilico, su un filo sottile dove l'unica funambola inesperta sono io e con ogni probabilità perderò l'equilibrio facendomi male.
Gli ultimi eventi stanno proprio mettendo a dura prova la mia sanità mentale.
Che cosa sta succedendo nella mia vita?
Per non parlare di ciò che è successo all'appartamento. La mia reazione...
Scuoto la testa stringendo le gambe al petto, fissando lo schermo intenzionata a non cedere.
Sto galleggiando così tanto e costantemente tra i pensieri negativi che alla fine finiranno per annegarmi.
Di colpo percepisco un movimento prima di avvertirne la presenza sulla soglia.
Alzo lo sguardo, lo vedo appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte. Mi fissa intensamente, osservando ogni mio movimento.
Da quanto tempo se ne sta lì? Come ho fatto a distrarmi?
Sorrido forzatamente e, anche se senza voglia gli faccio un po' di spazio accanto.
Staccandosi dallo stipite mi raggiunge e dopo essersi seduto comodo mi attira tra le sue braccia.
Quando mi circonda sento ancora una volta addosso la strana sensazione di fastidio. Non so cosa mi prende.
Sbadiglia. «Potevi guardarla in camera.»
«Non volevo svegliarti», parlo a bassa voce consapevole che in casa non siamo più soli.
I suoi coinquilini sono tornati dalla vacanza e hanno trascinato parecchio caos al loro arrivo. Voci, schiamazzi e Scott che li avvertiva di non essere solo per permettermi di dormire. Ovviamente si sono scusati, poco prima di festeggiare e poi rintanarsi nelle loro stanze.
Forse percependo il mio stato d'animo dopo avermi dato un bacio sulla tempia chiede: «Va tutto bene?»
Annuisco continuando a fissare i titoli di coda. Non ho voglia di parlare, tanto meno di tornare a letto perché non voglio di certo pensare agli eventi accaduti sabato.
Quando ho bussato alla porta, Scott non ha fatto domande sulle mie lacrime e io, io non ne ho parlato con lui perché darebbe di matto. So che è geloso e non posso rischiare di perderlo per una cosa del genere. In più ho molte cose a cui pensare.
Ad esempio: non torno a casa ormai da un giorno e mi servono dei vestiti puliti.
Non voglio rimetterci piede ma so che prima o poi dovrò farlo o non mi staccherò più da questo posto.
In parte, spero di non trovare in casa Ethan o quella stronza di Tara e spero, di non dovere rispondere ancora alle domande di Anya sulla notte in questione. Perché so che ne ha tante e solo io posso toglierle ogni dubbio.
«Hai fame?»
Il mio stomaco dissente alle parole: fame e cibo. Mi limito ad annuire fingendomi tranquilla.
Si alza sbadigliando. «Preparo la colazione», il suo cellulare squilla.
Solo ora mi rendo conto che è vestito. E poi perché si porta dietro il telefono?
Scusandosi si allontana velocemente dal soggiorno rispondendo in modo sgarbato alla chiamata. Trasalisco quando alza il tono di voce picchiando il pugno contro il muro di mattoni dopo avere riattaccato e scagliato il telefono contro la parete opposta.
Istintivamente mi ritraggo vedendo la furia nei suoi occhi chiari. Non l'ho mai visto davvero arrabbiato come in questo momento.
In fondo non lo conosco ancora bene e nonostante i mille dubbi che metto di continuo da parte perché non voglio andarci di mezzo fingo di non averlo sentito pur rimanendo curiosa.
Voglio sapere con chi si scambia messaggi nel cuore della notte, con chi parla discutendo animatamente; ma attualmente non ho proprio il coraggio di indagare perché lo vedo di pessimo umore.
Spostandosi in cucina mi prepara la colazione con una certa rabbia. Creando un gran casino sul piano cottura.
Avvicinandomi a lui, anche se insicura, gli tolgo la spatola dalle mani rigirando al suo posto l'impasto per i pancake.
Non dice niente per tutto il tempo, perso chissà dove.
Non avendo fame rimango seduta al suo fianco finchè non ha spazzolato il piatto. Quando è nervoso, mangia tanto.
Sto iniziando a capire molto su di lui attraverso questi dettagli che in minima parte fanno una differenza sostanziale ai miei occhi.
Appoggia un gomito al bancone. «Non mangi?» mi fissa attentamente.
«Non ho fame», prendo i piatti ma la sua mano mi blocca con una certa forza.
«C'è qualcosa che devo sapere?» domanda assottigliando gli occhi. Percepisco una nota di rimprovero nella sua voce, come se sapesse cosa mi fa stare male.
E allora tu che cosa dovresti dire? Ti nasconde qualcosa ma stai prendendo un abbaglio troppo grande per rendertene conto.
Come sempre la mia vocina interiore è alquanto fiduciosa.
«No, non ho fame tutto qua. Mangerò qualcosa dopo a lavoro», sorrido e sporgendomi gli stampo un bacio sulla guancia prima di spostarmi verso il piano cottura dove mi occupo dei fornelli e poi dei piatti.
Il suo smartphone vibra sul ripiano ma quando mi volto per farglielo notare lui non c'è. Lascio aperto il rubinetto avvicinandomi curiosa nel punto in cui si trova con lo schermo girato verso la superficie. Asciugo le mani sollevandolo. Ho un attimo di esitazione per cui lo rimetto a posto sul bancone trattenendo la curiosità. Mordo nervosamente il labbro chiudendo il rubinetto.
Quando ricomincia a vibrare cedo e sollevando lo schermo rimango impietrita.
Perché Sasha sta chiamando Scott?
Gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Non so come mi sto sentendo. So solo che fa male. Tutto questo fa male. Mi sento ferita nell'orgoglio.
Poso il cellulare sul bancone e con tutto l'autocontrollo che ho in corpo mi dirigo in camera, afferro i vestiti puliti indossandoli in fretta. Sto attenta e senza fare il minimo rumore recuperando tutte le mie cose corro fuori.
Non appena inizio a scendere i gradini delle scale con una certa fretta mista alla rabbia che appanna i pensieri: la gamba protesta facendomi male. Forzo un po' la mano decisa ad uscire immediatamente da questo palazzo, allontanandomi da lui e dalle bugie che mi racconta.
Non voglio neanche continuare a farmi dei filmini mentali di lui con Sasha.
Sasha!
Non posso crederci. In parte avevo dei dubbi ma... perché proprio lei? Perché proprio a me?
Non so con esattezza cosa ci sia tra i due ma se lei chiama insistentemente di notte e alle mie spalle, deve esserci di sicuro qualcosa di grosso dietro.
In fondo lo guarda sempre con malizia, con interesse, sin dal primo giorno. Come se si conoscessero da tempo.
Ricordo ogni sua battuta, ogni suo gesto...
Sospiro. Tutto questo è insano.
Poco prima di arrivare al lavoro svolto in un vicolo entrando nel primo bagno pubblico pulito che riesco a trovare. Controllo di essere in ordine, mi trucco per essere presentabile di fronte ai clienti, lego i capelli ordinatamente e quando sento di essere pronta esco immergendomi nel traffico mattutino, tra le tante vite che come me si affrettano ad arrivare in tempo al lavoro.
In parte lo sto facendo per distrarmi. Il lavoro serve anche a questo. Anche se mi piacerebbe andarmi a rintanare da qualche altra parte per rilassarmi eliminando ogni tipo di problema o paranoia
Supero le strisce salutando qualche cliente che in anticipo sta raggiungendo il locale. Affretto il passo sentendo ancora una volta la gamba protestare. Ho davvero bisogno di liberare la mente. 
Non appena varco la porta del locale Max, che se ne sta a poca distanza dalla cassa mi lancia uno sguardo allarmato. Raggiungendomi mi trascina nel suo ufficio senza darmi una spiegazione logica al suo comportamento.
Non capisco cosa sta succedendo fino a quando non inizia a tempestarmi di domande.
«Stai bene? Hai un'espressione diversa dal solito», mi studia.
Adesso? Che cosa faccio?
Cerco di rassicurarlo. «Si, va tutto a meraviglia. Devo solo iniziare questa giornata al meglio», con un sorriso finto torno di sotto un pò intontita e turbata.
Servo i primi clienti augurando loro una buona giornata.
Scott entra dalla soglia con sguardo glaciale. Alcuni clienti ci fissano mentre lui inferocito afferrandomi per un braccio mi trascina fuori con la forza.
Scrollo via la sua presa mentre mi urla: «Che diavolo ti prende? Perchè cazzo sei scappata?», alzando la voce guarda verso il vicolo.
Stringo le palpebre poi sollevo lo sguardo mantenendo il controllo. «Dovevo parlare con Max per... per chiedergli una cosa», invento in fretta e senza riflettere.
Da quando sono così brava con le menzogne?
Lo sguardo di Scott passa da glaciale a smarrito. «Non sei scappata per qualcos'altro vero?» domanda all'improvviso.
Si, sono scappata perchè mi stai nascondendo che hai una tresca con Sasha alle mie spalle o qualche altra cosa di cui non vuoi parlarmi. Sono scappata perchè stavo per baciare un'altra volta Ethan e mi sento uno schifo.
Vorrei tanto urlargli, ma sto zitta e scuoto la testa poi stampo il più bel sorriso che mi riesce sulle labbra.
«Te l'ho detto, dovevo parlare con Max, tutto qua», poso un bacio sulla sua guancia, giro sui tacchi tornando al lavoro.
Sto pulendo un tavolo quando al locale e in ritardo arriva proprio lei, la ragione di ogni mio malessere: Sasha.
«Lo so, sono in ritardo», mi dice legandosi i capelli mentre porto dei piatti sporchi in cucina.
Non le rispondo. Facendo finta di niente recupero uno strofinaccio bagnato pronta a pulire il ripiano dietro la vetrina piena di dolciumi.
«Si è accorto che sono arrivata in ritardo?» chiede accostandosi.
«Non lo so», mi sposto in sala dove una famiglia sta chiedendo il dolce. «Non ho avuto il tempo per accorgermene. Stavo lavorando.»
Sasha si avvicina con un taccuino e un sorriso tirato. «Mio figlio non mi ha fatto chiudere occhio questa notte», mormora cercando di fare conversazione e forse giustificarsi per vedere se so qualcosa.
Ah ma davvero? Tuo figlio o Scott?
Io so la verità e so chi non le ha fatto chiudere occhio ma non dico niente e a dire il vero, non sto neanche a sentirla.
So di trattenere troppe cose dentro e so anche che ben presto, scoppierò.
Mi allontano da lei più volte, so cosa cerca di fare ma non le darò il permesso di rovinare l'unica cosa bella che sto cercando di avere nella mia vita. Anzi, non lo permetterò nè a lei nè a lui di portarmela via.
Servo i soliti clienti e salto il pranzo. Il mio stomaco è troppo chiuso per ingerire qualcosa. Finirei solo con l'avere la nausea per tutto il giorno o peggio: di vomitare.
Ad un certo punto della giornata dall'entrata vedo arrivare Anya.
Mi blocco un momento avvicinandomi con cautela a lei. E' sola e ha un'espressione abbastanza scossa. Deve esserle successo qualcosa.
Indicandole un tavolo libero sediamo l'una di fronte all'altra rimanendo in silenzio. Attendo che sbotti, che mi lanci dei rimproveri, che mi urli addosso quanto sono stupida e quanto ho fatto soffrire Tara ma ciò non succede perché stringe le mie mani rivolgendomi un sorriso dolce.
La cosa mi coglie del tutto impreparata. Che cosa significa?
«Pensi di ritornare a casa? So che non hai molti vestiti dietro quindi deduco che...» lascia in sospeso la frase.
«Si, penso di tornare a casa. Mi manca la mia camera e ho bisogno dei miei vestiti comodi.» Abbasso leggermente le spalle.
«Emma, sono preoccupata per te. Non sorridi più, sei sempre nervosa o in preda al panico, mi dici che cosa ti succede?» lancia uno sguardo torvo in direzione del bancone dove Scott sta servendo la colazione ad una coppia di anziani.
Le lacrime rischiano di sgorgare. Cerco di tenerle dentro e lasciare che mi anneghino.
Ho la consapevolezza che niente sia più al suo posto. Ora come ora, l'unica cosa che mi riesce meglio è piangere. O questo o farmi male. O questo o dormire. Dormire per non sentire più dolore.
«No, no... va tutto bene. Insomma... a parte tu sai cosa...», balbetto insicura lanciando uno sguardo allarmato in tutte le direzioni.
Anya storce il labbro passando una mano sulla frangetta prima di grattarsi la tempia. E' chiaramente nervosa per qualcosa. «Me lo diresti se...» lascia a metà la frase lanciando ancora uno sguardo verso Scott.
Mi irrigidisco. C'è qualcosa che non va perchè Scott ci sta fissando con sguardo glaciale. «Certo», mi affretto a rispondere.
Ad Anya tremano le mani, molla subito la presa dalle mie nascondendole sotto il tavolo.
«Anya, tu mi diresti se c'è qualcosa che non va, vero?» non riesco a trattenere l'allarme nella mia voce infatti esce stridula e tremolante.
Le lacrime tornano ancora e mi costringo a non piangere. Non posso essere così frignona. Ora come ora devo solo mantenere il controllo. Apparire serena.
Anya si alza pescando il cellulare dalla borsetta rossa. Evita di rispondere e con la banalissima scusa della chiamata, dandomi un bacio sulla guancia se ne va.
Rimango un momento spiazzata, mi rialzo quasi al rallentatore tornando distratta alle mie solite mansioni.
Quando Max mi dà una pausa, salgo sul terrazzo rimanendo in piedi a fissare il panorama. Non riesco a far scorrere la sensazione che sento addosso. Non mi abbandona neanche dopo un paio di respiri profondi.
Succederà qualcosa, me lo sento come sento che qualcosa non va. Lo percepisco nell'aria.
La porta cigola e mi giro di scatto. Scott si avvicina, mi afferra per il viso e mi bacia senza darmi il tempo.
Vorrei tanto allontanarlo, urlargli contro ma non ne trovo le forze. Mi aggrappo alla sua maglietta continuando a baciarlo.
Si stacca senza fiato, gli occhi ardenti. Sta per dire qualcosa ma veniamo interrotti dalla porta che cigola annunciandoci che abbiamo visite.
Sasha fa un passo avanti con una smorfia nascosta sotto le sue labbra carnose. Mollo la presa dalla maglietta di Scott lasciando che torni dentro ancora stordito per il bacio.
Spero di avergli trasmesso ciò che provo per lui senza bisogno di parole.
Ma è abbastanza?
Sasha estrae una sigaretta dal pacchetto, sedendosi sulla sedia a sdraio fuma tranquilla. Decido di agire e togliermi il pensiero, cosi siedo al suo fianco. «Posso farti una domanda?» mordo il labbro.
Sorride annuendo, come se niente fosse.
«Cosa faresti se scoprissi che il tuo ragazzo nasconde qualcosa?»
Tossisce scacciando il fumo con la mano.
«Perchè questa domanda Emma? Cosa ti passa per la testa?» mi snobba.
«Non so, è un dubbio che mi porto addosso da un pò. Chiedo perchè so che mi darai uno dei tuoi super consigli», le sorrido in modo dolce.
Non deve sospettare.
«Cosa farei? Beh difficile tutto dipende dalla situazione e a cosa nasconde il ragazzo in questione. Darei di matto a dire il vero.» Fissa un punto lontano gettando il mozzicone.
«Quindi faresti il diavolo a quattro se il tuo ragazzo ricevesse delle chiamate in piena notte e non ti dicesse con chi parla?» la fisso intensamente.
Sasha sbianca poi si rialza in fretta schiarendosi la voce, evitando di guardarmi negli occhi. Si comporta proprio come prevedevo. Continua a guardarsi attorno a disagio. «Si penso proprio di si... prima però cercherei delle risposte», si allontana lasciandomi da sola sul terrazzo.
Ho un breve ed intenso attacco di panico. Mi appoggio alla porta cercando di riprendere fiato. Picchio un pugno con forza e boccheggio più volte nel tentativo di ridare aria ai polmoni.
Ormai vivo oscillando tra attacchi d'ansia e silenzio. Un silenzio in cui mi perdo nel vuoto. Un vuoto pesante da tenere dentro.
Quando le persone ti deludono inizi a non credere più a niente; non ti fidi neanche più di te stesso.
E' tutto così fottutamente complicato. Prima la scenata in casa con Tara, ora Scott e le sue fottute chiamate in piena notte e le sue bugie. Non so più di chi fidarmi.
Sto male, troppo male per tornare a lavoro così scendo nell'ufficio di Max dove chiedo un permesso di uscita prima del previsto. Ottenendolo mi affretto a raggiungere la strada evitando tutto e tutti.
Non appena metto piede fuori inizio a correre scoppiando inevitabilmente in lacrime. Giro a zonzo per le strade affollate rischiando di farmi travolgere da qualche ciclista distratto, da qualche pedone impegnato in una conversazione telefonica o da qualche turista intento a farsi immortalare dagli amici.
Senza rendermene conto mi ritrovo nel vecchio parco uno dei posti che conosco bene e dove si può stare tranquilli.
Ho bisogno di un momento per riflettere, per prendere una decisione, per capirci qualcosa. Singhiozzo convulsamente continuando a correre.
Svolto prima a destra poi a sinistra mettendo un piede sul terreno in modo sbagliato. La gamba cede e mi ritrovo a terra, su un vecchio prato ingiallito pieno di ciottoli taglienti.
Mi sento improvvisamente spaesata e inutile come un granello di sabbia in un oceano senza pesci.
Quanto può resistere una persona prima di spezzarsi?
Quanto può resistere una persona prima di rompersi in tanti piccolissimi pezzi in grado di sparpagliarsi ovunque in questo vuoto cosmico?
Io non lo so. Non lo so cosa mi sta succedendo. Non lo so davvero come mi sento. Non trovo le parole. Non riesco proprio a spiegarlo perché mi ritrovo in mezzo ai tanti, troppi pensieri che si annidano dentro la mia testa causando dei vuoti. Mancanze di cui percepisco l'esistenza da tempo, anche se ancora non si sono trasformate in abitudine.
Con il viso volto vero il cielo, senza fiato: piango e rido proprio come una pazza.
Quando smetto mi sollevo per valutare i danni e mi accorgo di essermi sbucciata un ginocchio e i palmi ma, non fanno male come vorrei. Non fanno male quanto il mio cuore.
Perchè non posso fidarmi di nessuno? Perchè la mia vita è così difficile? Cosa ho fatto di male?
Presa dallo sconforto provo ad alzarmi e urlo di dolore accasciandomi nuovamente sul tappeto erboso. Porto il viso tra le mani continuando a piangere come una bambina infelice. E' questo ciò che merito? Altro dolore?
Il telefono inizia a vibrare dentro la tasca della borsa caduta ai piedi. Sollevo lo schermo per controllare: è Scott.
Declino la chiamata spegnendolo. Piangere è l'unica cosa che ultimamente mi riesce meglio.
Quando sono diventata così fragile?
Sento dei passi e smetto di frignare, non voglio che qualche estraneo mi veda in questo stato, per terra, tra le lacrime, ferita e umiliata. Non voglio correre altri rischi. Sono un completo disastro.
«Emma?»
Rabbrividisco. Tra miliardi di persone perché il destino decide continuamente di farmi scontrare con l'unica con cui non voglio parlare? Perché?
Si ferma di fronte a me guardandomi con preoccupazione. Il suo sguardo mi fa sentire peggio. Scoppio ulteriormente a piangere singhiozzando sonoramente.
«Emma...» si avvicina inginocchiandosi.
Ha il viso sudato, lo sguardo allarmato, il petto scosso dagli spasmi.
E' dannatamente bello, bello da far paura anche così. È un Dio greco mandato per punirmi.
Il mio corpo si tende. Nascondo il viso tra le mani sporche di terra, sangue e lacrime. Non voglio che mi veda in questo stato. È già abbastanza umiliante così.
«Che ci fai qui? Non dovresti essere ancora al lavoro?» domanda affannato lanciando un'occhiata all'orologio al polso. Attorno si libera il rumore dei clacson in lontananza, quello degli uccelli che volano liberi nel cielo, le ambulanze e qualche gruppo di ragazzi pronti ad esibirsi per strada con le loro casse, con la loro musica che si leva alta. 
Prende il cellulare dalla tasca posteriore staccando la chiamata dopo avere aggrottato la fronte un paio di volte di fronte allo schermo.
«Avevo bisogno di stare sola», provo a rialzarmi ma la gamba cede e urlo. «Maledizione!» Ringhio dando un pugno sul terreno scorticandomi ulterioremente i palmi.
Sono un fascio di nervi.
Ethan afferra subito le mie mani controllando le ferite. Con una smorfia passa in rassegna la gamba. I jeans si sono strappati in più punti e sono insanguinati anche se non si vede più di tanto perché sono neri.
«Qualcuno ti ha fatto questo?» domanda improvvisamente arrabbiato.
Il suo sguardo si indurisce facendomi paura.
«No, sono solo caduta. Correvo e...», una fitta di dolore mi costringe a chiudere la bocca e stringendo i denti trattengo altre imprecazioni. «Ti prego, va via», distolgo lo sguardo tirando su con il naso.
La sua presenza, manderà in tilt il mio cervello perché so con sicurezza, che se rimarrà ancora un po' accanto a me inizierò a tormentarmi con le domande. Non voglio perché ho già troppo a cui pensare. Non voglio perché l'ultima volta stavamo sbagliando entrambi.
«Credi che io ti lasci qui nel bel mezzo del nulla, ferita? Per chi mi hai preso?» sbotta lasciando uscire aria dalle narici guardandomi come se fossi pazza.
«Ti prego, non voglio avere altri problemi con la tua ragazza. Vattene!», strillo spingendo il suo petto. «So cavarmela anche da sola», continuo provando a rialzarmi. Notando che riesco a mantenermi in equilibrio faccio un passo avanti tenendo per me il dolore e, decisa a creare una certa distanza tra me e lui: zoppico verso l'uscita.
«Dove cazzo credi di andare?» urla avvicinandosi come un lupo, sollevandomi da terra e caricandomi sulla sua spalla. Inizio a dimenarmi e a prendergli a pugni la schiena per lasciarmi stare.
Non lo voglio vicino, non voglio che mi parli e soprattutto non voglio provare ancora ciò che sto provando accanto a lui. È tutto al contrario. Tutto sbagliato.
Il suo cellulare squilla e lo afferra con la mano libera. «Mark, finalmente!» sbotta ascoltando per pochi secondi. «Si, chiama immediatamente tuo padre. Si, è un'emergenza, cazzo! Fallo subito!» urla riattaccando, stringendo lo schermo prima di infilarlo dentro la tasca.
«Lasciami o ti giuro che...» mi sistema tra le sue braccia. Sono bloccata. Inizia a mancarmi il respiro. Ad un certo punto smetto di dimenarmi perché ho il fiato corto.
I miei occhi salgono ridisegnando quei tatuaggi sul collo raggiungendo i suoi bellissimi occhi annebbiati dalla furia.
Mi rimpicciolisco e allo stesso tempo sento di essere trascinata altrove.
Lui non ha idea di cosa mi provoca dentro ogni volta che mi fissa anche solo per un nano secondo negli occhi.
Potrei affogare nell'azzurro incontaminato delle sue iridi.
È una sensazione profonda, in grado di trascinarmi a picco fino a sfiorarmi l'anima.
«Smettila!», ringhia nervoso facendomi sobbalzare. «Che cazzo ti dice il cervello?».
Stringo le palpebre trattenendo un singhiozzo. Immagini di quel giorno, mi investono. Una nausea crescente si fa strada. Sento caldo poi freddo poi di nuovo caldo. Trattengo tutto dentro mentre Ethan mi riporta a casa.
Questa non dista molto dal parco. In cinque lunghissimi minuti mi ritrovo di fronte al palazzo, circondata dalle sue braccia.
Non saluta nemmeno il portinaio che gentilmente ci apre la porta. In ascensore i miei nervi tentano di saltare uno ad uno fino a quando il trillo e le porte che si aprono non mi fanno riprendere fiato.
C'è una forte tensione nell'aria data dai nostri corpi così vicini da toccarsi.
Non mi permette di scendere per aprire perché fa tutto lui.
Ci ritroviamo in corridoio, spalanca la porta della mia stanza sistemandomi sul letto. Posa la mia borsa accanto iniziando a camminare avanti e indietro proprio come un animale in gabbia. Mi fa paura la sua rabbia. Soprattutto l'improvviso silenzio che non lascia trasparire alcun pensiero.
Il suo cellulare squilla per l'ennesima volta e lui risponde in modo secco dicendo: «Si, siamo a casa. Non me ne fotte un cazzo. Muovi il culo!».
Quando preme il tasto rosso interrompendo la chiamata mi fissa per un momento come se non mi vedesse, il tutto prima di avvicinarsi.
Istintivamente mi ritraggo. Sono spaesata e non so proprio cosa mi sta succedendo perchè ho il cuore a mille e sento che da un momento all'altro uscirà dal mio petto macchiando le pareti di rosso.
«Te lo chiederò una sola volta. Qualcuno ti ha fatto qualcosa?» domanda con difficoltà.
Le sue spalle sono rigide, i muscoli in evidenza e gli occhi...
maledetti i suoi occhi!
Abbasso lo sguardo e le sue mani si artigliano sul mio viso costringendomi ad alzarlo. Un brivido attraversa la mia spina dorsale.
«Emma... dimmi chi è stato», ringhia trattenendosi a stento.
Scuoto la testa. Farei la figura della bambina se raccontassi cosa mi passa per la testa e di sicuro non capirebbe anzi, darebbe di matto.
Mi blocco di colpo. Perchè si sta preoccupando così tanto per me? Cosa c'è che non va?
I miei pensieri deragliano quando in casa si sentono dei rumori seguiti dalle voci. Dalla porta sbuca agitato Gordon, il padre di Mark seguito proprio da lui e Anya.
«Cosa le è successo?» domanda subito a Ethan fissandomi inorridita.
Devo proprio avere un brutto aspetto. Le lacrime salgono di nuovo. «Potete uscire?» chiedo singhiozzando.
Gordon intercetta i miei pensieri e perdendosi nel mio sguardo afflitto fa uscire tutti dalla stanza spingendoli in corridoio prima di chiudere la porta con una certa energia.
Avvicinandosi cautamente mi chiede di togliere i jeans ed inizia a visitare la mia gamba con una certa attenzione alle zone in cui si sentono le placche metalliche.
Durante la visita fa un sacco di smorfie prima di aprire la valigetta disinfettandomi le ferite.
Rimango per tutto il tempo in silenzio a fissare un punto lontano davanti a me. Come se la mia mente fosse caduta in uno strano stato di shock. Non riesco ancora a capacitarmi.
Ultimamente sono così, ho la costante sensazione di fare sempre e solo la cosa sbagliata. È angosciante sapere di avere commesso l'ennesimo errore. Di essere giunta alla conclusione sbagliata dopo avere svolto l'ennesimo calcolo in modo errato.
«Sarò sincero, sei pronta?» chiede con gentilezza.
Annuisco preparandomi al peggio.
«Ti servirà un tutore e dovrai metterlo per un po' di tempo. Ti servirà per non forzare la gamba destra, soggetta al peso. Vado a prendertene uno. Non alzarti e non correre.»
Gordon toglie i guanti e si allontana. Lo sento parlare fuori dalla stanza mentre Anya entra preoccupata.
Quando la vedo, dalla mia bocca esce forte un singhiozzo. Il labbro trema e per qualche secondo combatto con la voglia che ho di mettermi a piangere.
Lei avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto mi abbraccia facendomi sentire piccola e fragile, soprattutto protetta. Odio sentirmi così ma è ciò che sono. Sono una ragazza con tanti problemi a cui il destino sta proprio dando del filo da torcere. Un filo che prima o poi si spezzerà lasciando solo profonde cicatrici.
«Mi sono comportata come una stupida...», tiro su con il naso «ero proprio nel panico... ho iniziato a correre fino a farmi male. Sono caduta e poi sono scoppiata. Io non ce la faccio più. Non ci riesco più.»
Scuoto la testa tra i singhiozzi.
«Emma, perchè stai così male? Cosa ti fa sentire così triste? Parlane con me, ti prego».
Chiudo gli occhi rimanendo stretta nel suo abbraccio confortante. Ne ho bisogno. Anya sospira di fronte al mio silenzio smettendo di fare domande.
Lo so che la sto confondendo ma, che cosa potrei dire? Scott forse mi sta tradendo con Sasha? Sto cercando di frequentare un ragazzo poco raccomandabile per fare un dispetto a tuo fratello?
Dopo questo pensiero mi rendo conto che la situazione è più grave di quanto mi aspettassi.
«Quando ti sentirai pronta io sarò qui, intese?»
«Si, grazie», sussurro flebile. «Adesso Sarà meglio fare una doccia. Sono un disastro», arriccio il naso.
«Si, ti aspetto», sorride in modo dolce aiutandomi ad alzarmi.
Quando Gordon entra in camera con il tutore, mi sono già data una lavata e cambiata. Rimettere quello stupido arnese, mi fa ripensare ai brutti momenti vissuti; ma non posso farci niente. Devo convivere con il fatto che sono una ragazza difettosa. E certi difetti non possono essere corretti.
«Volevo ringraziarla. Mi dispiace se... se Ethan l'ha disturbata», balbetto nel pronunciare il suo nome.
Gordon scuote la testa. «Fa parte del mio lavoro. Mi raccomando, riposati e niente sforzi», minaccia con l'indice. «Soprattutto mangia perché sei pallida.»
Detto ciò se ne va.
Mi alzo zoppicando in cucina. Trovo Mark e Anya seduti sugli sgabelli con dei menù tra le mani. Discutono sulla cena.
Ethan invece se ne sta appoggiato allo stipite della vetrata con sguardo assente rivolto verso la strada.
«Che ci fai in piedi?» strilla immediatamente Anya.
Ethan si volta. I suoi occhi mi trafiggono.
«Dovrei mangiare qualcosa», gesticolo avvicinandomi allo sgabello.
Anya nega. «Torna a letto, ci pensiamo noi alla cena. Non farmelo ripetere», minaccia con i suoi occhi grandi e dolci.
Sospiro. «Ok, ok», metto le mani avanti.
Faccio una smorfia e lui è già accanto a me. Sollevandomi un braccio lo sistema sulle spalle aiutandomi a raggiungere la camera.
Consapevole di essere rossa in viso mi fermo un attimo davanti a lui. «Grazie», mordo il labbro sedendomi sul letto.
Sospira. «Non hai risposto alla mia domanda», sibila girandosi.
Mi alzo rimanendo insicura. Che cosa faccio?
Torno a sedermi scuotendo la testa. Non posso. Non posso caricare sulle spalle degli altri i miei problemi.
Esce dalla stanza senza aggiungere altro e il mio cuore sussulta quando rimango sola.
Anya torna in camera dopo circa mezz'ora portando delle buste bianche appartenenti al "Chicken Fries".
«Ho chiesto a Mark di prendere il tuo preferito. Non sono una cuoca», arrossisce. «Ti senti meglio?» domanda passandomi il contenitore.
Mangiucchio ripensando a Ethan, al suo sguardo.
«Si, mi dispiace», passo le mani sul viso sospirando.
«Ti va di parlare di sabato?» chiede tenendo un'ala di pollo tra le dita.
«Che cosa c'è da aggiungere?» bevo un sorso d'acqua.
«Dopo che te ne sei andata... Ho cacciato mio fratello dall'appartamento», inizia.
Mi blocco ma non la interrompo. «Emma, lo conosco. Conosco mio fratello e quello che ha fatto oggi...»
Alzo la mano per farla smettere di parlare. Ora come ora non farebbe altro che alimentare le mie lacrime che se ne stanno sempre lì, sull'orlo del precipizio, pronte a scendere giù come cascata.
Lei capisce, raccoglie tutto alzandosi.
«Ne parleremo quando vorrai, ok? Però... forse sarà meglio cercare Scott. Non so come abbia avuto il mio numero ma ha chiamato un paio di volte per sapere di te.»
Sospira. «Sai che non mi piace ma sai anche che voglio la tua felicità.»
Annuisco guardandola andare via e quando rimango sola accendo il cellulare. Faccio un grosso respiro di fronte alle molteplici notifiche che non guardo e lo chiamo.
«Che cazzo... Emma, dove cazzo sei stata?».
«Scusa, mi sono fatta male e... ho dovuto staccare prima dal lavoro», balbetto. So che sto mentendo ma lui lo fa di continuo.
«Cosa? Che cosa significa che ti sei fatta male? Dove sei?» alza la voce in quel modo che mi fa rabbrividire. Non riesco a capire se è davvero preoccupato o se sta solo seguendo un copione per nascondere le sue reali intenzioni.
«Sono a casa, non preoccuparti. Dovrò solo portare di nuovo il tutote alla gamba.» Sospiro rassegnata e stranamente calma.
«Posso... posso raggiungerti?» domanda dopo un momento di silenzio. «Ho bisogno di vederti.»
Mi guardo attorno. Una parte di me vorrebbe rifiutare ma l'altra, il lato oscuro, mi consiglia di dirgli di si e metterlo alla prova. Decido di dare ascolto al lato oscuro.
«Si, certo. Ti aspetto.»
Mentre accetto penso alle seconde possibilità. Siamo stupidi accecati dai sentimenti che ci legano alle persone. Perché a volte, dare una seconda possibilità a qualcuno è come passargli un'altra arma perché con la prima non aveva preso bene la mira.
Quando arriva, ovviamente fa una scenata pazzesca di gelosia perchè trova Ethan in casa comodamente stravaccato sul divano. Non ho idea di come ci sia finito in soggiorno perché la mia stanza si trova in fondo al corridoio ma so come affrontarlo quando entra infuriato iniziando a lamentarsi e a sbraitare.
«Smettila di parlare di lui, non mi interessa», sbotto irritata appoggiando la schiena alle testiera del letto. La gamba fa ancora male ma questo dolore non è niente al confronto di ciò che sto provando dentro.
Scott mi fissa come se mi fosse cresciuta una seconda testa prima di immobilizzarsi e poi sedersi sul letto apparentemente calmo. Abbassa le spalle e prende la mia mano. «Scusa, non sapevo davvero dove fossi finita e mi sono preoccupato. Quando poi ho visto lui in soggiorno, mi sono innervosito e anche ingelosito. Mi dispiace Emma.»
Sembra sincero ed io sono troppo stanca per continuare a litigare con lui. Mi esce un sonoro sospiro e mi stendo su di un fianco. Scott continua a guardarmi, si aspetta che io risponda ma non ne ho le forze. «Vuoi che me ne vada?» domanda rialzandosi.
«Puoi dormire qui se vuoi», brontolo imbronciata.
Non se lo fa ripetere. Stendendosi sul letto accanto a me, mi abbraccia da dietro. Non sento fastidio, solo una strana sensazione addosso. Chiudo gli occhi e provo a dormire dimenticandomi ogni evento di questa giornata catastrofica.

N/A:
~ Le cose si complicano per Emma. Gelosia, amore, delusione... che cosa succederà nel prossimo capitolo?
Scott è chi dice di essere?
Mi scuso se ci sono errori, sto cercando di modificare come meglio posso e correggere questa storia dall'inizio. Non sono una scrittrice ed essendo umana sbaglio anch'io. :)
In ogni caso spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Se vi va, riempite qui sotto di commenti e un voto per segnalare il vostro passaggio. Se siete su Instagram seguitemi: valar.morghuliss
Grazie come sempre perché ci siete.
Un abbraccio, Giorgina❄️ ~

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