Capitolo 10

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Mi alzo di scatto dopo un breve incubo. Il petto schiacciato dall'affanno, qualche goccia di sudore sulla fronte e la pelle riscaldata dalla paura. Una paura che non è più reale.
Porto le mani sulle guance spostandomi sulle braccia e, per accertarmi di essere sveglia e vigile mi do un pizzicotto sul dorso della mano prima di contarmi le dita.
Quando riesco a calmarmi lancio uno sguardo verso la vetrata di fianco al letto accorgendomi che fuori è ancora buio.
In cuor mio spero vivamente di non avere urlato o di non essermi agitata troppo come mi succede sempre quando ho uno dei miei incubi.
A metà busto con la schiena appoggiata alla testiera morbida del letto in stile moderno, noto Scott dormire tranquillo; solo così deduco di non avere fatto nulla. Ora come ora non potrei di certo spiegargli ciò che non mi fa dormire la notte. Sa quello che basta per conoscermi ma ciò non toglie che mi guarderebbe comunque come un cucciolo ferito.
Mentre lo osservo sdraiato a pancia in giù con un braccio verso di me che sono quasi sul bordo del letto a distanza di sicurezza e l'altro sotto al cuscino, una parte di me vorrebbe fargli del male, vendicarsi per ciò che mi ha fatto; mentre quel lato pacifico, razionale, mitiga ogni tipo di rabbia gettandoci sopra dell'acqua fredda per spegnere quel fuoco che arde lasciando solo piccole bruciature dentro.
Scosto la morbida coperta che con ogni probabilità deve avermi sistemato addosso quando tremavo percependo nell'aria un certo cambio di temperatura e, facendo la massima attenzione sguscio fuori dal letto.
Al buio, basandomi sulla tenue luce di un'insegna al neon proveniente dal negozio qui in basso alla strada, mi avvicino alla borsa lasciata sul divano, frugo dentro afferrando il cambio e mi dirigo in bagno per vestirmi.
Evito di guardarmi allo specchio. So di non avere un bell'aspetto. Non sono riuscita proprio a chiudere occhio perché avevo il timore che lui mi svegliasse per un bacio o una serie di coccole non volute. Per fortuna ciò non è avvenuto e quando sono riuscita a rilassarmi per pochi minuti: l'incubo è tornato destabilizzandomi.
Evito inoltre di aprire completamente il rubinetto per sciacquarmi il viso e con decisione continuando a fare attenzione dopo essermi cambiata esco dall'appartamento prendendo la chiave posta sul mobiletto per rientrare senza farmi notare o per non bussare facendo la figura della stupida rischiando una serie di domande a cui non saprei rispondere.
In parte spero di non commettere altri errori. Ho solo bisogno di una passeggiata. Si, una boccata d'aria fresca è quello che mi serve per rimettere in ordine i pensieri. Soprattutto per capire se tutto ciò di cui mi circondo sia davvero ciò di cui ho veramente bisogno.
L'orologio dello smartphone segna le: 04:00 in punto. Questo significa che ho ben due ore a mia disposizione per trovare una via di fuga, per svagarmi. Al locale iniziamo alle 06:30 circa; anche se dovrò rientrare all'appartamento un po' prima del suo risveglio. Il pensiero mi fa ribollire il sangue.
Il silenzio aleggia intorno in questo quartiere dove probabilmente stanno tutti riposando. Si tratta di un quartiere residenziale in cui vivono agenti di borsa e lavoratori. Si nota dalle auto posteggiate in fila davanti a me.
Forse per questo sono poche le luci ancora accese nei palazzi. Dormono tutti eccetto la sottoscritta che, con ogni probabilità ripenserà sempre in modo negativo a questo giorno.
Non so con esattezza come mi sento. So solo che vorrei strapparmi la pelle e ritornare ad essere chi ero prima di tutto questo enorme casino. Mi piacerebbe ritornare un bruco anziché battere le ali e poi spegnermi effimeramente.
Percorro il vicolo verso est sorpassando la serie di locali ancora aperti e la gente ubriaca riversa fuori intenta a cantare o a chiacchierare comodamente seduta sui marciapiedi dei locali con le saracinesche abbassate.
Qualcuno mi guarda, qualche ragazza dai tacchi vertiginosi mi sorride, altri mi ignorano. Mi stringo nelle spalle proseguendo verso il vicolo a ovest, quello pieno di botteghe dei cinesi in cui si trova di tutto. C'è anche un locale di sushi ancora aperto e affollato.
A me non piace. Preferisco di gran lunga una pizza a del pesce crudo.
Osservo il cielo mutare lentamente sulla mia testa, al di sopra dei grattacieli; dal blu scuro tempestato di punti luminosi si passa ad un azzurro tenue con sfumature rosa tenui in lontananza; come pennellate di un pittore disattento.
Affretto il passo per arrivare nel mio posto preferito: il parco.
Non dista molto dal punto in cui mi trovo. Solo qualche isolato di distanza a separarmi dalla natura, lontano dalla frenesia di una città sempre caotica e piena di vita.
Non appena metto piede sul viale acciottolato mi sento meglio. Non avendo però gli indumenti adatti per correre decido di fare una passeggiata; pertanto mantengo un passo costante e frugando dentro la borsa pesco le cuffie infilandole alle orecchie: godendomi l'alba, il profumo dell'erba bagnata, il cinguettio di qualche uccello sotto le note dei Muse. Uno dei miei gruppi preferiti.
Arrivo al centro del parco, nel cuore verde dove si trova un prato curato e morbido in cui potersi sedere in ogni momento.
Alzo le braccia in alto muovendo lievemente le spalle, sgranchendo le ossa, riscaldando i muscoli e mordendomi il labbro apro gli occhi ritrovandomi un sorriso da ebete stampato in faccia. Sorriso che: ben presto si trasforma in una smorfia quando ritrovo davanti proprio lui; la persona che non vorrei vedere. Non in un momento come questo. Non ora. Non oggi.
I suoi occhi azzurri come pietre preziose mi scrutano attentamente. Indugia qualche secondo prima di avvicinarsi con la sua tipica andatura misurata da modello pronto a sfilare su una passerella.
Trattengo immediatamente il fiato sentendomi incredibilmente esposta. Inizio anche a farmi le paranoie:
Si accorgerà del mio umore? Noterà che qualcosa non va in me?
Anche se vorrei darmela a gambe levate mi blocco aspettandolo come si aspetta una sentenza. I miei battiti rallentano poi aumentano quando è così vicino da poter essere sfiorato e il suo profumo inebria i miei sensi intorpidendoli.
Mi sento subito ubriaca. Le gambe quasi quasi non reggono alla tensione che si crea attorno. L'aria infatti si carica di elettricità magnetica e, una sensazione di formicolio invade ogni centimetro della mia epidermide.
Il suo sguardo si indurisce nell'immediato. Assume la tipica espressione di chi sta per rimproverarti. «Che ci fai qui?» chiede prendendo un grosso respiro.
I miei occhi seguono le sue forme. La canottiera grigia sudata a mostrare i pettorali scolpiti pieni di inchiostro, una cuffia all'orecchio e un Apple Watch nero al polso.
Sfiora lo schermo con il dito digitando qualcosa prima di passare una mano tra i capelli scompigliati infilando la cuffia senza fili dentro la tasca dei pantaloncini della tuta rigorosamente nera.
Il modo in cui mi pone la domanda mi fa drizzare le spalle e irrigidire nell'immediato. Come un gatto pronto a soffiare contro un enorme pitbull.
Perché deve essere così autoritario e freddo?
Tolgo le cuffie. Palesemente indispettita dal suo atteggiamento replico: «Ciao anche a te», dandogli le spalle per trattenere una risposta acida che al contrario meriterebbe.
Non ci vediamo da giorni anche se l'episodio al locale non basta per poter dire il contrario, poi ci incontriamo per caso e lui cosa mi chiede: "perché sono qui".
Sono pronta ad andarmene. A creare una distanza che potrebbe aiutare entrambi. Perché sappiamo di non potere stare nelle vicinanze. Sappiamo quello che succede e non ho nessuna intenzione di discutere con lui. Tanto meno di illudermi.
Si concede un sospiro pesante: «Intendevo dire... perché sei sveglia a quest'ora e sei venuta proprio al parco? Non dovresti... che ne so, essere a casa a leggere un libro o... a guardare la tv?»
Faccio una smorfia preparandomi a rispondere. Mi volto e lui si è fatto vicino. Cerco di non perdere lucidità retrocedendo di un passo. «In realtà ho dormito da... Scott», arrossisco di fronte ai suoi occhi che si infiammano nell'immediato.
Lo colpisco. È più che evidente che le mie parole gli provocano una forte emozione dentro. Come uno tsunami lo travolgo.
Non fa trasparire niente di ciò che riguarda i suoi pensieri in merito ma, dalla sua espressione iniziale capisco di averlo davvero colpito. «E che cosa ci fai al parco?» chiede ancora guardandosi attorno distratto da qualcosa prima di stringere i pugni in vita.
Mi chiedo che cosa sente la sua ragazza quando lui la sfiora o anche solo l'abbraccia baciandole una guancia. Se si sente fortunata. Se sente ciò che sento io quando si trova anche solo a pochi passi da me.
Sospiro confusa tornando alla realtà. «Non lo so», arrossisco sotto i suoi occhi, l'espressione che mi rivolge quando piega la testa di lato per guardarmi meglio; forse per scrutare a fondo ogni singolo pensiero.
Fa un passo avanti eliminando la distanza che ho creato per non scottarmi; con due dita mi solleva il mento e, bruciata dal contatto mi scanso da lui.
Che cosa fa?
«Non lo sai o sei scappata?» contrae la mandibola. Sul sopracciglio leggermente tagliato gli si forma una ruga.
Nego in fretta. Ho paura dei suoi pensieri. «Nn...o, non... non sono scappata», balbetto come una scolaretta in preda al panico. Mi sto tradendo da sola. Ethan ha la capacità di estorcermi qualsiasi verità.
Schiarisco la gola portando una ciocca dietro l'orecchio prima di legare i capelli per non torturarli ulteriormente.
Fissa ogni mio movimento forse studiando attentamente i segnali del mio corpo.
I suoi occhi, l'azzurro incontaminato mi scivola addosso come acqua fresca. Inizio a sentire caldo, più del normale.
«Ah no?» mette le mani sui fianchi strizzando un occhio come se volesse riprendere fiato, poi fa un passo avanti afferrandomi per il mento.
È così vicino che sento il suo fiato caldo alla menta.
Chiudo gli occhi per qualche secondo sentendomi stordita poi mi scanso di nuovo ustionata dal gesto. «No, mi stavo annoiando e...»
Mi guarda come se lo avessi appena colpito. «Stai mentendo!» replica disinvolto interrompendomi, trattenendo un sorriso carico di isteria. «Che cosa ti ha fatto?»
Deglutisco a fatica. «Niente, lui... insomma lui non...» gesticolo nervosa continuando a balbettare.
Contrae la mandibola. Adesso è pericolosamente vicino. «Dimmi che cosa ti ha fatto», sibila apparendo nervoso, quasi infuriato.
Le sue guance si tingono di un lieve rosa. La vena sul collo gli pulsa ripetutamente fuori controllo incutendomi un certo timore.
È... geloso?
Scrollo la testa provando a tirarmi indietro ma le sue mani mi bloccano tenendomi ferma per i fianchi, un gesto che mi fa rizzare i peli sulla nuca. Schiudo le labbra spalancando gli occhi incredula. Anche lui mi guarda allo stesso modo, forse stordito dalla sua stessa reazione; ma riacquista velocemente lucidità senza staccarsi. Vuole solo ottenere una risposta soddisfacente.
Devo eludere la sua domanda. Subito.
«Ho avuto un incubo e... Scott ancora non lo sa... dei miei terrori notturni intendo, quindi ho avvertito il bisogno di uscire di casa per calmarmi», uso un tono tranquillo sperando di apparire sincera.
Annuisce anche se non comprendo dalla sua espressione se crede o meno alle mie parole.
Le sue dita si artigliano sui miei fianchi e dalle mie labbra schiuse esce un flebile verso.
Maledetto te, penso mentre si avvicina.
Un momento...
«Che cosa ci fai tu qui?» chiedo staccandomi ormai rossa in viso riprendendo fiato.
Evito i suoi occhi concentrandomi su un piccolo sasso con cui gioco con il piede sinistro.
«Io? sono venuto a correre», guardandosi attorno si fa serio. È come se avesse appena ricordato qualcosa di spiacevole.
Che cosa mi nascondi?
«Ok, adesso devo andare», indietreggio di un passo alzando la mano per salutarlo.
Corruga la fronte grattandosi il mento. «Dove vai?» assottiglia gli occhi di nuovo in quel modo.
È come se non volesse lasciarmi andare. È in combutta con se stesso e io con quella parte di me che continua a tirarmi indietro quando faccio un passo in avanti, verso di lui.
Deglutisco a fatica. Perché deve essere così complicato?
«Scott tra poco si sveglierà e non voglio farlo preoccupare», cerco una scusa logica a questo.
Si morde una guancia come per trattenere una risposta spiacevole. «Ti accompagno», dice di scatto guardandosi attorno e avvicinandosi, senza darmi alcuna scelta mi spinge verso l'uscita del parco.
«So tornare da sola a...»
Mi fulmina con i suoi occhi incredibilmente attenti, in grado di torturarmi. La mano sulla schiena mi manda scariche abbastanza forti; queste partono dal basso ventre facendomi sentire strana.
«Sai quanti ubriachi girano per la città a quest'ora?»
Inarco un sopracciglio. «Noi due non siamo poi così diversi da loro.»
Contrae la mandibola. «Con un'unica eccezione», sibila.
«E quale sarebbe?» chiedo camminando un passo avanti a lui per raggiungere in fretta le strisce pedonali.
Passa una mano sulla nuca aumentando a sua volta il passo. «Nessuno dei due ha bevuto», risponde come se fosse ovvio. «E una ragazza sola sarebbe come una fetta di pizza dopo essersi impasticcati di ecstasy.»
Non rispondo in parte lusingata dalla sua piccola attenzione continuando a guardare la strada.
Più mi avvicino all'appartamento di Scott, più mi sento in ansia.
E se ci vede arrivare insieme dalla finestra? Se è già sveglio? Che cosa faccio?
Sto per andare nel panico. Continuo a saettare con gli occhi ovunque cercando un appiglio. Alle aiuole, alle auto...
«Perché sei nervosa?» con l'indice mi sfiora appena la guancia.
Apro bocca ma non ne esce alcun suono se non un respiro strozzato.
Perché riesce a capirmi?
«Non lo sono», mento abbracciandomi.
Sorride in modo sarcastico. «E io non mi sto incazzando», esclama con un tono abbastanza concitato.
Mi volto per guardarlo e lui si ferma inarcando un sopracciglio.
«Che c'è?» balbetto quasi strillando battendo ripetutamente le palpebre.
Fa un passo avanti e io indietreggio allarmata.
«Hai paura di me?»
«Dovrei?»
Scuote la testa. «No, dovresti averne di lui», indica il palazzo a poca distanza con sguardo carico di disprezzo.
Come sa dove abita Scott? Che cosa sa che io non so?
«Scott non è come pensi», lo difendo stizzita.
«Allora perché sei scappata da lui? Perché sei spaventata? Perché non...»
Lo spingo perché si è fatto troppo vicino e mi confonde. «Tu non sai niente di me. Credi di sapere tutto e ti credi in diritto di aprire la bocca e dare adito ai tuoi stupidi pensieri. Scott non è un mostro e mi ama. Che a te piaccia o meno io sto con lui.»
Concludo quasi con voce tremula. Ricaccio dentro una strana sensazione e dandogli le spalle mi appresto a superare la strada.
Ethan mi afferra per un braccio ancora prima che un'auto sfrecci dalla corsia sbagliata andando a sbattere contro un palo. Molti allarmi iniziano a suonare mentre io tengo gli occhi fissi su di lui, nei suoi.
Attorno si crea un certo caos di voci e persone.
«Il problema non è che ti ama... ma come ti ama», sussurra abbassando gli occhi sulla labbra.
Ancora una volta lotto con quella parte di me che vorrebbe davvero un suo bacio ma mi oppongo. Non posso. Non è da me. Sto con Scott e lui è impegnato.
Allora perché siete insieme?
Scaccio via la vocina dentro la mia testa spingendolo. «Grazie per avermi accompagnata», dico guardandolo male prima di correre verso il palazzo.
Rientro in appartamento facendo poca attenzione al rumore distratta come sono dalle sensazioni lasciate dai gesti di Ethan.
Entro in cucina con la speranza di non trovare Scott sveglio. In questo momento non riuscirei a dare nessuna spiegazione, neanche a me stessa per auto-convincermi del contrario.
Rimango per un paio di minuti appena appoggiata al ripiano freddo.
Quando mi decido a darmi una mossa inizio a preparare pancake, spremuta di arance, uova e bacon e dei toast da imburrare. A dire il vero mi sento un po' a disagio in questo appartamento, ma non voglio andare via e rendere le cose difficili. Ho bisogno di sapere di più su Scott. Conoscerlo nelle sue abitudini.
Forse ho bisogno di sbatterci la testa e capire...
No, non riesco a capire e non so se ho bisogno del suo amore, delle sue dimostrazioni. Ciò che ha fatto, mi ha destabilizzato e non poco.
Fa sempre così quando vuole ottenere qualcosa?
Sospiro sistemando ordinatamente la colazione sui piatti. Il mio lo guarnisco con poco cibo proprio perché non ho poi così tanta fame. Sistemo tutto su un vassoio di legno che trovo nella credenza all'angolo e a passo pensante mi dirigo in camera.
Trovo Scott sveglio e assonnato. Sta leggendo qualcosa sul telefono. Quando mi vede mi rivolge un sorriso dolce prima di guardare la colazione che gli ho appena portato a letto.
«Mi hai preparato la colazione», dice con voce impastata dal sonno. «Potevo mangiare anche te», esclama guardandomi in modo inquietante prima di afferrarmi dandomi un bacio con dolcezza per ringraziarmi.
Mi irrigidisco non appena le sue mani mi toccano però tento comunque di non apparire spaventata anche se inizialmente emetto un brevissimo strillo quando mi sento afferrare riuscendo a mascherarlo con una risatina.
«Spero ti piaccia», dico scansandomi a qualche centimetro di distanza.
Sfilo il tovagliolo dalla forchetta tagliando a piccoli pezzi il pancake che mi sto concedendo anche se controvoglia.
Scott sembra così diverso questa mattina. Tutto ciò mi confonde e non poco.
«Buongiorno», mormora ancora sul mio orecchio prima di lasciarmi un breve bacio sulla spalla.
Ricambio con un bacio veloce sulle sue labbra e finalmente facciamo colazione.
Non so come sarà la giornata ma cercherò di affrontarla per come ho sempre fatto.
Notando che continua a fissarmi cerco di non destare ulteriori sospetti sul mio umore.
«Come hai dormito?» chiede ordinando tutto dentro il vassoio.
La domanda mi coglie alla sprovvista.
Menti. Emma, menti.
«Bene», provo ad alzarmi dal letto ma riesce a bloccarmi per un polso strattonandomi a sé.
La stretta non mi fa male anche perché non sta neanche stringendo ma il gesto mi ha fatto quasi urlare dalla paura.
Non appena si accorge del mio sguardo lascia andare la presa. «Sicura di avere dormito?» chiede scrutandomi attentamente.
Porto una ciocca dietro l'orecchio. «Si, porto queste in cucina poi vado a sistemarmi per il lavoro. Non possiamo fare tardi», esclamo provando ancora una volta ad alzarmi.
In risposta prende il vassoio allontanandolo quel tanto che basta da me. Ha capito che qualcosa non va, mi sono appena agitata dandogli la prima conferma.
«Emma, sicura di avere dormito?» chiede ancora con sguardo freddo.
Sospiro. «Si, mi sono solo svegliata un po' prima come da abitudine e non volendoti disturbare perché ho visto che dormivi comodamente ho pensato di...» porta un dito sulle mie labbra scivolandomi vicino, troppo vicino.
Mi sfiora una guancia con il pollice e trattengo l'istinto di scansarmi. Le sue dita portano una ciocca dietro l'orecchio avvicinandomi. «Non mi diresti mai una bugia, vero?»
Il pollice preme sul labbro inferiore mentre annuisco continuando a tremare dentro come una foglia.
«No, certo che no», rispondo con un po' di sicurezza. «Faremo tardi, alzati», stampandogli un bacio breve a fior di labbra e più in fretta che posso alzandomi mi sposto in cucina dove dopo avere lasciato uscire un sospiro metto tutto in ordine per calmarmi.
Sono distratta dai pensieri e dalle ultime parole di Ethan da non accorgermi della sua presenza alle mie spalle.
«Mi piace averti qui», sussurra circondandomi l'addome con le braccia. Affonda il viso nell'incavo del mio collo annusando, provocandomi una consistente serie di brividi.
«Posso trattenerti...»
«Mi stai distraendo e non possiamo fare tardi», lo rimprovero scansandomi sfacciatamente dopo avere staccato le sue braccia di dosso e ripreso a respirare mostrandogli un sorriso finto.
Fa una faccia strana poi scuotendo la testa mettendo le mani avanti indietreggiando di un passo va a rinchiudersi nel secondo bagno.
Approfitto per darmi una riordinata e corro in camera quando esco lui mi aspetta seduto comodamente sul divano in cucina. Sta giocando con una palla da baseball. La lancia e poi la riprende continuamente quasi annoiato e nervoso.
Mi decido a parlare. «Possiamo andare?»
Si alza e annuendo seguendomi fuori dalla porta.
Non so che cosa gli succede. So solo che quando prendo le scale anziché l'ascensore mi fissa contrariato impensierendosi.
Dovrebbe proprio capire di avere sbagliato. Invece: fa finta di niente. Proprio questo mi fa rabbia.
Mordo le guance cercando di non perdermi. Devo solo rimanere lucida mentre dentro continuo ad acquietare il malumore che dilaga a velocità costante.
Usciti di casa circa quindici minuti prima dell'ora di apertura, troviamo l'aria già carica di smog. Siamo solo alle prime luci del mattino ma questa è New York.
È un venerdì caldo di giugno. Scott tiene stretta la mia mano mentre percorriamo il tratto pedonale ingombro arrivando al lavoro in perfetto orario.
Prima di voltare l'angolo però anziché proseguire dritto mi blocca contro un muro dandomi un bacio. Rimango stordita da questo suo strano attaccamento e gesto in cui percepisco nettamente la gelosia.
Quando si stacca mi sorride accarezzandomi la guancia poi sfiorandomi le labbra. «Andiamo?» chiede con un certo sorrisetto.
Non è che per caso è bipolare?
Lo seguo distratta davanti al locale mentre rifletti su questo.
Quando Max ci vede arrivare insieme aggrotta la fronte ma non fa nessun commento; quindi non mi rimane che iniziare questa giornata lavorativa.

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