Tōru Oikawa - Ti Credo

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Tōru Oikawa - Ti Credo

"E così hai ripreso a fumare, a darti da fare
è andata come doveva, come poteva
quante briciole restano dietro di noi
o brindiamo alla nostra o brindiamo a chi vuoi

L'amore conta
l'amore conta
conosci un altro modo
per fregar la morte?
nessuno dice mai se prima o se poi
e forse qualche dio non ha finito con noi
l'amore conta

Luciano Ligabue / L'amore conta"

Le luci dei riflettori brillano cangianti e illuminano il mio vestito con naturalezza.
La passerella che rimbomba ad ogni passo mi fa tremare il cuore, che batte talmente forte da far quasi male. Il mio volto, però, rimane impassibile. Non mostra segni di cedimento o altro, anzi, riesco persino a voltarmi e fare l'occhiolino agli spettatori che presi da l'euforia applaudono.
Non posso ascoltare l'adrenalina che circola nel mio corpo e mi grida di mettermi a correre, di saltare e gridare di gioia. Ancora qualche passo. Una posa. I secondi scanditi dalla musica e il mio corpo adornato da un meraviglioso vestito riflesso nello specchio che mi si para davanti. Un altra posa. Tutto concluso.
Il giro di ringraziamento sulla passerella porta via solo qualche istante dopo di che i festeggiamenti si spostano in un nuovo locale.

- Alla fine, la sfilata è stata molto meglio di quanto immaginassi - sussurra un uomo al mio orecchio, mentre con molta calma mi porto il bicchiere alle labbra.
Le bollicine dello champagne frizzano nella mia bocca, portandomi a schioccare la lingua. Il gusto dolce della bevanda m'inebria i sensi per qualche secondo.
- Uomo di poca fede. - Facciamo sfiorare i nostri calici, sorridendoci reciprocamente. - Yachi-san e Kiyoko-san non sono stiliste qualunque. Ultimamente il loro marchio è stato molto apprezzato in tutto il mondo, modelle del calibro di Tyra Banks hanno accettato di sfilare e posare per loro. -
- È uno splendido traguardo. - Si complimenta il giovane. Lo champagne nel suo bicchiere rotea al movimento del suo polso. - A proposito di traguardi, tu hai raggiunto il tuo. -
Sorrido senza rendermene conto e annuisco. Bevo ancora. - È stato il giorno più bello della mia vita. Sono così felice, Iwa-chan, che tu nemmeno te lo puoi immaginare. - Sospiro tranquilla, chiudendo gli occhi per un secondo. Bugiarda, grida una vocina nella mia testa.
Quando li riapro, Iwaizumi mi sta osservando con un sopracciglio alzato e lo sguardo di un gatto curioso.
- Che c'è? -
- Niente. -
- Tu non fai mai quella faccia per "niente". -
- Beh - , alza le spalle in segno di noia, - Ti ho solo trovata strana prima. Non sono abituati a vederti con quell'espressione da pesce lesso in faccia. -
Non trattengo la smorfia d'antipatia che mi esce dalle labbra. Quel cretino non riuscirà a farmi andare fuori dai gangheri anche stasera. Non lo accetto.
- Come sei stupido. Ora vado, a dopo. - Mi volto e mi allontano sperdendomi tra colleghi, giornalisti e stilisti.
Qualcuno mi ferma per parlare delle prossime sfilate, altri per farmi i complimenti e c'è qualcuno che mi prende al volo per infilarmi in qualche selfie istantaneo. Spero solo di non apparire come una figura sfocata, visto la velocità con cui mi ritrovo nell'inquadratura.
Mentre mi faccio largo tra la folla a suon di movimenti repentini, a volte, finisce che qualche goccia cada dal mio bicchiere e atterri sul vestito di qualcun'altra. Faccio finta di nulla e scappo il più lontano possibile. Infantile, certo, ma molto divertente. Molto divertente finché l'intero contenuto del mio calice non si riversa sulla giacca dell'unica persona che non avrei mai voluto incontrare.
Faccio sfiorare i nostri sguardi e mi ritiro subito, drizzando la schiena per non sembrare intimorita.
Nelle sue iridi scure, macchiate da fini filamenti color nocciola, leggo stupore e divertimento. Basta quel contatto a mandarmi in bestia, ma non posso battibeccare davanti all'intera comunità della moda Giapponese: rovinerebbe la mia immagine.
Mi scuso e, inchinando leggermente il capo, sparisco dalla sua vista. Non so se è perché sono prevedibile o, invece, se è a causa del mio Flesh interiore che mi ritrovo in una stanza silenziosa senza nemmeno sapere come ci sono arrivata.
Serro la porta alle mie spalle e sorrido quando la chiave nella toppa fa scattare il meccanismo con un click.
Respira, mi dico. È acqua passata.
Eppure più ci provo più il dolore sordo che avevo dimenticato torna a crescere nel mio petto, così come il sentimento represso fino a quell'istante. Non importa quanto lontano da lui io sia stata, quanto mi sia impegnata a ricostruirmi una vita e a riaprire il mio cuore a qualcun'altro, è impossibile per me dimenticare una parte tanto importante del mio passato. Quella dannata figura mi perseguiterà in eterno.
Digrigno i denti, iniziando a camminare avanti e indietro in quella stanza con i divanetti veneziani. Mi passo le mani sulla fronte e arresto il ritmo irregolare del respiro. Non mi ero nemmeno accorta di avere il fiatone. Mannaggia a me.
Mi siedo e, sprofondando nel velluto morbido, cerco di abbandonare quel desiderio morboso che ho di lui. Che ho sempre avuto di lui. Che avrò sempre di lui.
Un pacchetto di sigarette abbandonato attira la mia attenzione. Mi allungo, ne raccolgo una fra le labbra -incurante di chi possano essere- e accendo. Poi mi soffermo a guardare l'accendino. Nulla di speciale in realtà, un semplice contenitore di plastica bianco, ma la frase riportataci sopra mi colpisce. "L'amore è una malattia dell'immaginazione" c'è scritto e sotto è riportato il nome del citatore: Maksim Gorkij.
- Quanto è vero - mormoro, poggiando l'aggeggio al suo posto.
Ora anche quella stanza sembra troppo piccola. Troppo buia. Troppo asfissiante.
Con il fumo della sigaretta ad indicare la mia scia, mi alzo e dirigo i miei passi verso la porta finestra che ho davanti. La apro e il vento notturno di Tokyo mi rasserena con una carezza.
Davanti a me si apre una terrazza abbastanza ampia, che si affaccia su una parte molto "IN" della città. Nulla di nuovo ai miei occhi, eppure in questo momento sembra tutto così... diverso. Sarà la tristezza che mi attanaglia lo stomaco ma persino le brillanti luci della grande metropoli sembrano sfocate.
Espiro e mi appoggio al balcone, sperando che tutto il casino che ho in testa scompaia.
- Ma guarda quanto ti ci è voluto per andare in palla, stupida idiota - mi dico. - E menomale che eri quella: "I miei sentimenti per lui ormai sono andati". Si, come no. -
Mi sbatto un palmo sulla fronte e lascio uscire il fumo dalla bocca.
- Brava stupida. -
- Se continui così ti farai del male - borbotta qualcuno, cogliendomi del tutto impreparata.
Sobbalzo colta alla sprovvista e mi volto, trovandomi a osservare gli occhi scuri di prima. Mi guardano confusi.
Le sue mani si agganciano al corrimano di ferro che crea l'unica distanza fra il terrazzo e 5 metri di caduta. Si reggono forti, i muscoli delle braccia guizzano sotto la camicia mentre si sforza di tirarsi su.
- Che diavolo stai facendo? - domando, spegnendo quel che resta della sigaretta in un vaso.
Lui mi osserva e finalmente scavalca, per poi spazzolarsi il vestito d'alta sartoria con calma. È uguale a come me lo ricordavo. Alto. Allenato. Con i capelli che non ne vogliono sapere di stare al loro posto. Con il suo profumo dolce che inebria i sensi.
Ed ecco di nuovo quel dolore sordo farsi strada in me. Ed ecco di nuovo i ricordi riaffiorare nella mente.
- Si può sapere da dove sei passato? - chiedo, cercando di sembrare indifferente.
- La finestra del bagno - mi spiega, indicando con il pollice l'anta aperta di quella.
- Pensavo giocassi a pallavolo, non che facessi l'acrobata. -
- Ah! Io sono nato per stupire. -
Lo osservo inarcando un sopracciglio e poi decido di ignorarlo, voltandomi per rientrare nella piccola stanza. Prima me lo lascio alle spalle prima, forse, riuscirò a scappare nuovamente lontano qualche continente.
La moquette attutisce i miei passi.
- Che fai? - lo sento domandare dall'esterno.
- Me ne vado, grande genio. Anche perché condividere il mio spazio vitale con te mi dà prurito. -
Faccio per toccare la maniglia ma dita lunghe e sottili si bloccano sul mio polso e lo stringono leggermente.
Mi volto. Uno sguardo che taglia l'aria s'impossessa di me ma non riesce a bloccare il viso di Tōru dall'avvicinarmisi.
- Sei crudele - sussurra. - Perché tenti di evitarmi? -
- Tu che ne dici? - ringhio fuori. - Ne ho tutto il diritto. -
La sua presa si rafforza per qualche secondo, probabilmente l'ho colto sul vivo, poi si addolcisce.
Per la prima volta da quando l'ho conosciuto anni fa Oikawa resta in silenzio.
- Proprio come pensavo, non hai neanche la spina dorsale di rispondere- soffio. - Ora lasciami andare. Voglio tornare alla festa. -
Sento le sue dita scivolare via, il suo calore lasciarmi. Non so se dire "finalmente" oppure "no".
Mi mordo le guance e libero la mia visuale dal suo volto. È un'immagine troppo conosciuta.
- Stammi bene. - Apro la porta e la passo. E subito mi ritrovo per l'ennesima volta nella stanzetta. La chiave che fa il solito click e ci chiude fuori dal mondo esterno.
Tōru mi spinge contro il muro, circonda il mio bacino con le sue braccia e affonda la testa fra i miei capelli. Sento il suo respiro contro la pelle che si accalda sempre di più.
Vorrei spingerlo via, distante, ma qualcosa dentro di me me lo impedisce. È come ai vecchi tempi, solo che sono passati due anni da allora. Due anni di fuga, desiderio di dimenticare, esigenza di ricominciare da capo.
Tentennando, maledicendomi e insultandomi allungo le braccia verso i suoi capelli e vi affondi le dita. Sono morbidi come li ricordavo. Morbidi e sottili, profumati e delicati.
- Mi dispiace - soffia contro la mia pelle. - Mi dispiace per tutto. Per averti trascurata, per averti data per scontata, per aver pensato solo a me e ai miei bisogni. Mi dispiace tantissimo. - Mi accarezza. - Io ti amo ancora. -
Bastano quelle poche frasi messe una dopo l'altra per farmi esplodere. I miei muri crollano. Serro la presa sui suoi capelli e lo avvicino a me poggiando la guancia sulla sua nuca.
Lascio che mi escano le lacrime che per tanto tempo ho trattenuto e che il peso che mi sono portata dietro per così a lungo svanisca.
È un attimo che appartiene solo a noi due, mi rendo conto. Un sipario solo nostro, come ai vecchi tempi. Esistono solo i nostri corpi, i nostri respiri, i battiti dei nostri cuori.
Ma qualcosa inceppa improvvisamente quell'ingranaggio che ha ripreso a girare. Basta un attimo per rovinare tutto quanto, quando nei miei pensieri affiora, come un lampo, il volto di un uomo.
- Tōru - singhiozzo e il suo nome esce fievole. Lui scuote il capo e mi stringe di più. - Tōru... Tōru, ti prego, lasciami - lo imploro.
Lui lo fa. Lo fa e dannazione quando mi guarda rivedo nelle sue pupille tutto quello che ho sempre desiderato. E mi sento così persa che quasi non crollo sulle mie stesse ginocchia. Non so cosa mi trattenga dal farlo. Non sono a conoscenza della forza celeste che mi sta aiutando a non cadere.
- Mi dispiace -, asciugo le lacrime, - non posso. Non posso, Tōru.-
- Cosa vuoi dire? -
Mi fa male la gola, non riesco quasi a parlare. Ogni parola è simile a un graffio bruciante.
Respiro leggermente. - Io sto per sposarmi. - Il ragazzo blocca il respiro e lo trattiene per così tanto tempo che credo morirà.
- Cosa? - Adesso sembra lui quello che sta per svenire.
Non riesco a far uscire nuovamente quella frase. Mi porto una mano sulle labbra e trattengo l'ennesimo singhiozzo.
Quando calmo il respiro e torno a guardarlo senza avere la vista appannata ripeto, calma.
- Io sto per sposarmi. -
- Quando? -
- La settimana prossima. -
- Quanti dei ragazzi lo sanno? -
- Abbastanza. -
- Anche Iwa-clan?-
- È mio cugino, Oikawa. È stato il primo a saperlo. -
- Certo. Ora capisco perché cambiava argomento quanto gli chiedevo novità su di te. Avrei dovuto fare due più due. -
Non posso fare a meno di restare stupita. Lui chiedeva di me.
- Probabilmente. -
- Lui ti tratta bene? - allude all'uomo con cui mi sono fidanzata. Annuisco. - Ti dà quello che desideri? - Annuisco, ancora. - Ti rende felice? -
- Non come hai saputo fare tu - ammetto, senza rendermene conto fino all'ultimo. - Nessuno, da quando mi hai lasciata, mi ha resa felice come te.-
- Allora perché ti sposi? -
Mi torturo le dita in cerca di una risposta concreta da dargli. Una che soddisfi entrambi, o quasi. Alla fine, prendo fiato ed evitando il suo sguardo parlo. - Murphy è un brav'uomo. Credo di aver detto di "si" perché lui... lui significa qualcosa per me. -
- "LUI SIGNIFICA QUALCOSA PER ME" - sbotta improvvisamene. - Ma andiamo! Stiamo parlando della tua vita futura. Della tua intera vita futura! Non puoi dire solo "significa qualcosa per me". - Si sta arrabbiando, lo capisco dal modo in cui gesticola. Un'ombra cala sulla sua faccia giovane e pallida. - Una volta non saresti stata titubante nemmeno sulle parole da usare, figuriamoci sul tuo futuro! -
- Se tu non mi avessi lasciata sola per così tanto tempo forse, e dico forse, io non sarei cambiata tanto! E tu avresti imparato a conoscermi meglio! - ribatto piccata.
- Non osare darmi la colpa! -
- Non osare sputare sentenza su di me! -
- Sei una bisbetica, come sempre! -
- E tu sei lo stesso di sempre! E non esiste cosa peggiore!- Alzo le braccia in alto in un gesto d'esasperazione. Questa volta quando apro la porta riesco anche a chiuderla e scomparire in bagno, dove mi aggiusto per poi tornare alla festa quel poco che basta al mio autista per arrivare con la macchina.

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