Keishin Ukai - Dea della carne

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Keishin Ukai - Dea della carne

"Sorto il sole su un piccolo mondo
e i vecchi banchieri stanno pranzando
ti devi spingere ancora più fuori
che qui sei cacciato o cacciatore
la polveriera su cui sei seduto
aspetta solo il gesto compiuto
e tutti fumano e buttano cicche
hai visto il fuoco come si appicca?

Ligabue / G come Giungla"

Si, no, che poi quello che chiedo io non è mai stato altro che venire notata da quello stupido di Ukai junior; non essere considerata la nuova coach della Nekoma, la vicina di stanza durante le trasferte, quella che ti aiuta ad organizzare una stupida grigliata. È chiedere troppo? Beh, a quanto pare la vita ritiene di sì.
Anche adesso, mentre mi accingo a mettere piede in acqua per la prima volta da quando sono arrivata in Giappone quest'inverno, la mia attenzione ricade solo si Kei. Lui, però, sembra non notarmi. È troppo preso dalla sorella maggiore di Tanaka, quel suo strambo allievo rasato.
Forse è a causa del mio aspetto occidentale. Forse non mi trova abbastanza attraente per via del taglio dei miei occhi, della mia altezza sopra la norma per le ragazze di qui, per le mie abitudini diverse.
Probabilmente è iniziato tutto quando mi ha visto entrare in casa mia con le scarpe. Ma, a mia discolpa posso dire che non ci avevo proprio fatto caso, talmente ero abituata in occidente, a casa "casa". È così snervante questa cosa.
Solo pensarci mi fa venire voglia di strapparmi i capelli.
Comunque, non è a questo che devo pensare adesso. Ci sono cose più importanti al momento che necessitano della mia attenzione; una di queste è Lev, che ha appena sbagliato clamorosamente un'alzata perfetta di Kenma. Abbiamo perso un punto servito su un piatto d'argento.
Mentre io mi tiro una manata in fronte, Ukai esulta carico. Non so bene il perché ma oggi sembra più carico del solito. Nei suoi occhi scuri vi è una scintilla paurosamente viva.
Ha qualcosa in mente, ma non riesco a capire bene cosa.
Prima che possa immaginare nulla, il suo piccoletto fa scontrare la palla al suolo con una velocità disarmante. Mi cade persino il blocco degli appunti dalla mano, tanto mi stupisco. Hanno segnato e, beh, hanno vinto la prima partita dall'inizio del campo estivo.
Storgo il naso e, a malincuore, richiamo i miei ragazzi.
- Mi spiace - sbuffo fuori, passando un asciugamano a qualcuno. - Come si fa a perdere così? Tutti a tuffarsi, adesso, prima che vi incenerisca! -

- Hai comprato abbastanza carne? Sicuro? - domando, mentre osservo la lista di tutto ciò che ci occorre per domani pomeriggio.
Kei chiude il bagagliaio e annuisce, strappandomi di mano il foglietto per poi piegarlo e gettarlo in un bidone. - Si. Adesso andiamo, rompi scatole di un'occidentale.-
M'imbroncio, mentre lui sale in macchina e mi fa cenno di seguirlo.
- Non c'era bisogno di fare così - borbotto, contraria al suo gesto e, ancora di più, dalle sue parole. Mi ha ferita sentirlo chiamarmi così, come se volesse farmi intendere che per lui non sono altro che una straniera.
- Non mi dire che te la stai prendendo per un bigliettino! - ride, uscendo dal parcheggio. I suoi occhi scuri si soffermano nei miei per pochi istanti, prima di tornare alla strada.
Sposto la mia attenzione sul paesaggio fuori dal finestrino e lo ignoro.
Non mi interessa se sembro infantile. Sono stufa di dover fare i conti con questa cosa della "straniera". Perché non riesce a vedermi come qualcosa in più di quello? Dove sto sbagliando?
Rimango silenziosa per tutto il tragitto, nonostante lui cerchi di parlarmi. Tenta di buttare sul ridere ogni cosa, anche le frasi delle canzoni, ma non funziona. Il mio cervello è impostato su un comando che difficilmente verrà rimosso. E poi, c'è da dire che sono una persona molto cocciuta e che quando mi metto in testa qualcosa non mi smuove nessuno.
- Andiamo - sospira infine, parcheggiando l'auto nel vialetto riservato agli insegnanti. Spegne il motore e si volta nella mia direzione. - Forza, non tenermi il muso per così poco. -
- Mh - è la mia unica risposta, prima di scendere e lasciargli l'ingrato compito di portare tutta la roba dentro e di nascosto da solo. Non mi fermo nemmeno a parlare con gli altri coach, li saluto solamente, e alla domanda: "Dov'è il coach Ukai?" rispondo con un semplice gesto della mano.
In questo momento voglio solo andare a riposare, per smaltire i pensieri. È vero che le donne sono complicate, ma la verità è che sono gli uomini a portarle a tutto ciò. E poi hanno la presunzione di non capire il perché. Sarebbero tutti da prendere a schiaffi nei denti, quando alle dita si hanno tanti anelli pesanti. Branco di caproni.
Sbatto la mia borsa sul materasso e mi tolgo le scarpe, già pronta a sdraiarmi e chiudere gli occhi.
- Scusi? - Kuroo irrompe nella stanza, allungando paurosamente la "i" di quell'unica parola uscita dalle sua labbra. Negli occhi scuri vi è un qualcosa di sornione. Ha sicuramente intenzione di chiedermi qualcosa che non è consentito.
- Ormai sei già dentro, che vuoi? -
Tiro indietro i capelli con un cerchietto e incrocio le braccia al petto, osservandolo con occhi critici.
Il moro si passa una mano sul collo e alza lo sguardo al soffitto. - Mi stavo domandando se durante la grigliata non si potesse portare anche un dolce... -
Inarco un sopracciglio, sospirando.
È inutile tenere nascosta la verità, l'ho ripetuto così tante volte che adesso mentre ci penso non posso fare altro che darmi nuovamente ragione; lo sapevo per certo che i ragazzi avrebbero scoperto della grigliata.
- Può farlo lei, Sensei? - Una risata mi esce dalle labbra, portandomi quasi a piegarmi in due dall'euforia improvvisa.
- Io? - Mi asciugo una lacrima, sventolando gli occhi. - Io non so cucinare proprio nulla, figurarsi fare un qualcosa a che vedere con la pasticceria, che è una scienza! Ah! Mai! - Il ragazzo sembra rimanerci male. Improvvisamente mi sento triste, in colpa. - Facciamo così - propongo, poggiandogli una mano sulla spalla - mi occuperò della carne, dopo tutto ne ho presi dei pezzi anche interi e non tagliati come siete soliti mangiare qui. Mi occuperò di farvi assaggiare la rosticciana all'italiana più buona del mondo. -
Il nostro capitano si illumina, sorridendo grato. - Va bene! - e se ne va, camminando lento e tranquillo, dondolandosi un poco sulle lunghe gambe magre.

- Che stai facendo? - Kei si avvicina, il piatto pieno di piccole fette di carne e verdure grigliate. I capelli tinti luccicano al sole come se fossero un suo prolungamento.
Allunga una mano munita di bacchette verse il lungo pezzo di rosticciana che ha davanti, lo schiaffeggio. Non dico nulla, mi limito a passare il rosmarino marinato sulla rosticciana.
Lui aggrotta le sopracciglia e poggia il piatto sul tavolino accanto. - Il coach Nekoma mi ha detto che preparerai ai ragazzi la carne come la fanno in Italia. È questa? Come fai a farla? -
- Con le mani e la griglia - borbotto. L'unica cosa che riesco a cuocere realmente (perché va bruciacchiata) è proprio la rosticciana.
- Come si pronuncia in italiano "carne"? - Lo fisso, sentendo per un attimo qualcosa nel mio petto muoversi.
- Ciccia - sussurro, tenendogli nascosto il fatto che quella parola si usa più in famiglia che a giro.
- C-ciccia - borbotta. Annuisco, sorridendo divertita dal suo accento marcato. - Oh, finalmente mi hai sorriso! Sei più bella quando lo fai. - Mi sposta una ciocca di capelli che mi è appena ricaduta sul volto. Mi blocco, imbarazzata e conscia del fatto che siamo all'aperto, davanti a tutti i ragazzi e gli altri professori; tutti potrebbero vederci, osservarci.
Mi ritraggo, consapevole di non poter sopportare oltre.
Kei si avvicina ancora e, senza che riesca a fermarlo, ruba direttamente dalla griglia una rosticciana. La addenta, prima di scaraventarla nel proprio piatto e ingoiarla a forza. Sta diventando rosso come un pomodoro e continua a sventolarsi la lingua con foga.
- Nekoma-Sensei! - grido. Quando arriva gli porgo le pinze e congiungo le mani al ventre. - Puó prendere un attimo il mio posto? Ukai-Sensei si è bruciato. Lo porto in infermeria. -
Il coach annuisce, e dopo che gli ho spiegato che si deve limitare a girare la carne quando pensa si stia bruciando, prendo Kei per un gomito e lo trascino.

- Fammi vedere le mani - ordino, poggiando una cassetta del pronto soccorso sul letto accanto a lui.
Mi mostra le sue dita lunghe, affusolate e rosse. Fortunatamente mi sembra non si sia bruciato gravemente, perciò dopo aver applicato la crema le fascio leggermente.
- Ora va meglio - annuisce a se stesso.
Vorrei anche vedere, ho intenzione di dirgli, ma non lo faccio. Non spiccico parola perché lui mi accarezza una guancia e si avvicina al mio volto. Sussurra al mio orecchio una domanda.
- Mh? Si dice: "Dea della carne" -
- Dea della carne - passa una mano sul mio viso e sorride, io perdo un battito, - grazie. -
Mi sfiora le labbra con un bacio che sa di rosticciana e coca-cola.

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