Tōru Oikawa - Giuda

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Tooru Oikawa - Giuda

"Tempo scaduto, sto bene
Il fuoco è acceso, la stelle bruceranno
Non parlare, di qualcosa amore mio
Le mura si stanno spaccando, i nostri cuori stanno cadendo
Dio lo sa che non vedevo che questo stava arrivando
Puoi sentire il suono dei cieli piangere?
Amore mio, amore mio

Rag'n'Bone Man / Arrow"


Ho freddo. Sono fradicia. La pioggia incessante che scorre sulle mie spalle sembra intenzionata a voler corrodere i miei vestiti. È una sensazione tremenda, quasi insopportabile per i miei nervi stanchi e tesi.
Caccio indietro una ciocca di capelli, espirando una nube di fiato che si condensa per poi sparire nel nulla.
C'è solo un lampione a illuminare la strada, emana una luce gialla e fioca, quasi inesistente sotto la fitta pioggia.
Traditore. Come me.
Comincio ad accusare il colpo che ho preso poco fa. Mi porto una mano a fianco e mordo silenziosamente una guancia. È doloroso, ma non così tanto da farmi realmente male.
- Ti fa male? - La sua voce è attutita dallo scroscio della pioggia sui tetti, nelle grondaie. Un rumore ritmico, cadenzale, quasi ipnotico.
Ha i capelli attaccati alla nuca, noto, la loro classica forma deve essersi arresa al clima.
- E a te che importa? - Socchiude le palpebre. - Di cosa ti è mai importato realmente? - Mi fa quasi male il petto mentre pronuncio quelle parole crude e acide.
Non ho mai odiato "troppo" qualcosa nel corso della mia vita, non ho mai sognato "troppo" in grande ne ho mai cercato di stare "troppo" sotto i riflettori, tuttavia questa sera sento che è ora di farlo quel qualcosa di "troppo".
- Tutto quello che mi hai detto l'altra sera, le frasi che mi hai rivolto ieri notte, cosa era vero e cosa era falso? Dimmi la verità, perché sento che potrei impazzire - urlo. Grido. Mi sfogo. Non fingo nemmeno tanto. - COSA?! -
Tōru si guarda attorno. Si sta mordendo il labbro, lo noto anche da qui, ed è un segnale che non mi piace. Significa che sta cercando un modo per giustificarsi, per mascherare l'ennesimo pensiero.
Vorrei solo sotterrarmi. Vorrei solo tornare indietro, oppure chiudere gli occhi per non aprirli più.
Quanto può far male essere usati? Quanto?
- La metà delle cose. -
- L...la metà?! - Sono incredula. - Sei spregevole. E io che ti ho anche creduto! Che stupida. -
Qualcosa vibra nella mia tasca, avvertendomi della vicinanza di una pattuglia.
"Brava, ma non santa, perché tutti sbagliano". La voce del Sergente Wilson risuona nella mia testa. Ha usato quella frase per definire una collega che aveva fatto il mio stesso errore, e ora definisce me. Vorrei impazzire, farmi ricoverare e finire i miei giorni in un manicomio. Magari mi sentirei meno in colpa con me stessa.
- Mi hai chiesto di dirti la verità - si giustifica lui.
- Ma almeno dilla meglio. - Devo prendere tempo e parlare è l'unico modo. Con le gambe lunghe che ha Tōru potrebbe scappare via e scomparire, per sempre. Questo pensiero mi fa contorcere la bocca dello stomaco. Non vorrei che fosse così ma non si può fare altrimenti.
La mia è una missione finita male, per me, ma ancora salvabile, per la mia squadra, e per quanto il mio subconscio mi gridi di lasciarlo scappare la mia parte razionale mi impone di tenerlo li. Solo un'altra bugia. Ancora per un po'.
- Non ti capisco: vuoi che ti menta o no? Spiegati. - Ha lo sguardo scuro confuso.
Menti. Menti ancora un po'.
Mi avvicino puntandogli minacciosamente un dito al petto. Anche sotto i vestiti fradici riesco a sentire il tenue calore della sua pelle diafana; il battito regolare del cuore che pulsa attraverso il mio polpastrello fino ad unirsi al mio, di cuore.
- Menti... ma non farlo. -
- Ti rendi conto che tutto questo è impossibile, si? E poi, voi donne siete strane e avete dei cambiamenti d'umore troppo veloci per essere compresi. Ergo, non capisco. -
Vorrei mettergli le dita negli occhi, giusto per fargli capire come mi sento. Penso che non arrivi al mio ragionamento perché è maschio, perché ogni cosa per lui è semplice e con una facile soluzione. Se solo capisse che non è così. Se solo fosse più sveglio.
- Mi hai usata per avere un posto sicuro in cui nasconderti - comincio. Sento il nodo alla stomaco stringersi. - Mi hai fatto credere di piacerti. Mi hai fatta innamorare di te. Mi hai spezzato il cuore e ora dici anche che hai finto per tutto questo tempo. Sei spregevole. Sei come un Giuda. - E pensare che è nato tutto come una missione, a sua insaputa. Una copertura ben costruita, un'obbiettivo già prefissato. Ci sono capitolata dentro senza rendermene conto. Ho mentito tanto quanto lui. Sono bugiarda tanto quanto lo è lui.
- Non è così difficile capire perché sono infuriata, non credi? Non mi sembra difficile capire che vorrei che tu mentissi meglio per farmi sentire meno uno straccio, non pensi? -
Tōru alza gli occhi al cielo in un gesto usuale e si riporta indietro nell'ennesimo ciuffo di capelli che affiora davanti alla sua visuale. Comincio a intravede un colore violaceo farsi spazio sulle sue labbra rosee. Ha freddo, ma questo non sembra importargli mentre accorcia le distanze fra i nostri corpi e il suo cappotto bagnato si scontra con il mio.
Ha le dita tanto fredde da sembrare fuoco sulle mie guance, quando le sfiora con la gentilezza che non ha mai usato; le labbra, invece, bruciano a contatto con le mie come fossero braci ustionanti. Emanano scariche elettriche che arrivano fino al mio cervello, mandandolo in pappa.
Il suo profumo è nascosto dall'odore dell'asfalto bagnato eppure riesco a sentirlo comunque. Probabilmente perché lo conosco a memoria. Perché mi piace.
"Digli la verità" urla il cuore. "Ricordati cosa stai facendo" strilla il cervello.
Un'altra vibrazione nella tasca mi avvisa che la squadra è vicina. Poco dopo, ecco che i fanali tagliano la coltre di pioggia che ci avvolge. Il loro arrivo segna la fine di tutto. Vorrei mentire a me stessa sul fatto che le manette che nascondo, in realtà, non servono ad altro che come accessorio, invece non è così.
Con un sospiro lo allontano e, veloce come mi è stato insegnato all'accademia, gli torco il braccio indietro provocandogli una fitta.
Tōru si lamenta. È sorpreso da ciò che sta succedendo, sale luci che lo abbagliano e si riflettono a terra, nelle gocce che cadono veloci.
- Tōru Oikawa, ti dichiaro in arresto. -
Ridendo sommessamente, il ragazzo si volta e mi guarda. - Alla fine, sei ti quella che ha mentito meglio. -
Chiudo le palpebre e inspiro l'aria fredda e pungente, carica di umidità che mi intasa i polmoni. Ho solo fatto quello che dovevo.
Lascio che lo carichino in un'auto blindata, senza mai staccare lo sguardo dal suo collo e credo che lui se ne sia reso conto, perché quando si siede all'interno della vettura abbassa il finestrino e mi sorride con dolcezza.
- Va bene così - leggo il labiale - Alla fine, l'ultimo bacio di Giuda non è stato poi così male. -
Ed è quando se ne vanno e io mi ritrovo nuovamente sola, accerchiata dalla luce dell'unica automobile presente, che mi rendo conto che, infondo, ma proprio infondo, potrei realmente essermi innamorata di lui. Innamorata del bugiardo che ho arrestato.

Tōru l'ho rivisto solo poche volte da allora, sempre in carcere. Sempre separati da un vetro. Sempre con una cornetta telefonica in mano. Quando è uscito, evadendo una sera di novembre, è semplicemente sparito nel nulla. Ma mi ha lasciato un biglietto.
"Prova a prendermi ancora, piccola Giuda" diceva. Vicino, riportato con un'altra penna dal colore diverso, sostava il disegno di una rosa incastrata tra spire di spine.
Nascosto ancora meglio c'era il nome del luogo verso cui era diretto. Involontariamente, innocentemente, colpevole ho sorriso.
La caccia al tesoro era ricominciata.

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