Wakatoshi Ushijima - Demoni (seconda parte)

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Wakatoshi Ushijima - Demoni (parte seconda)

"Say something, I'm giving up on you
I'm sorry that I couldn't get to you
Anywhere, I would've followed you
Say something, I'm giving up on you

Say Something / A Great Big World"


È stato bello finché è durato. Sul serio: è stato.
Nel momento in cui tutto è finito mi è parso di essere finalmente libera, per poi venir ritirata da delle catene verso il basso.
Il cielo si è allontanato, immerso nella sua immensità troppo vasta per essere abbracciata dallo sguardo, mente la terra si divaricava e mi inghiottiva.
Ricordo perfettamente tutto della mia fine. Ricordo i suoi occhi nei miei; la sua stretta forte; il suo corpo caldo vicino al mio, quello stesso corpo che mi dava coraggio.
Mi sarebbe piaciuto dargli un bacio. Ma non ho potuto. Non ce l'ho fatta. Mi sono spenta prima.
Ed è proprio per questo che non riesco a trovare pace.
Quindi adesso mi ritrovo seduta con le gambe che sporgono da uno scaffale, il mento pigramente poggiato sul palmo di una mano e lo sguardo perso a osservare Wakatoshi che fa la spesa. Sembra calmo; adempie ai suoi doveri di sopravvivenza da buon essere vivente -già, perché lui deve mangiare- e nulla pare turbarlo più di tanto. Nonostante i suoi occhi scuri mi sembrino sempre persi nel nulla negli ultimi giorni, sembra non preoccuparcene più di tanto.
Ai miei occhi assomiglia allo stesso di quel giorno; non è uguale, e questo mi porta a corrucciare le sopracciglia.
Incredibile come anche uno spirito possa provare sentimenti tanto forti; forse sono così prepotenti a causa di questa "via di mezzo" in cui mi trovo.
Già. La cosa buffa in tutto ciò è che io non sono né viva ne morta. Sono come un vegetale stesa su un letto d'ospedale; muta e fredda come una statua. Non ho i tratti delle sculture bronzee e marmoree dell'antichità, ma la mia pelle diafana è alquanto pallida da farmi somigliare a una di esse. Esilarante, vero?
Salto giù dallo scaffale e affianco la mia guardia. Percepisco il suo calore e persino il suo profumo: è nuovo, fresco e pungente. Noto che uno strato di barba gli accarezza il mento e le mascelle donandogli un aspetto più trasandato.
Per me rimane comunque bellissimo, come quel giorno che ha tentato di salvarmi da un proiettile; Non c'è riuscito, non lo odio per questo, bensì lo amo perché ci ha provato. Ci ha provato e ha fallito, ma va bene così m.
Gli accarezzo una guancia quando si ferma alla cassa: non riesco a provare niente. I sensi che possedevo in vita sono scomparsi, ora riesco solo a percepire. È quasi meno di nulla ma mi va bene così, significa che in fondo in fondo il mio corpo ancora vive.
Lui si tocca la pelle, con gli occhi che brillano giusto un secondo, come se mi avesse sentita. Sorrido, girandogli leggermente attorno.
Sarebbe bello poter essere sentita carnalmente, mi convincerebbe che forse c'è ancora speranza per... noi.
La vita da fantasma, a metà tra la luce e l'inferno e la vita, non fa proprio al caso mio; tutta via non desidero nemmeno morire, nonostante la cupa mietitrice faccia parte della vita di ogni essere vivente.
Non voglio lasciare questo mondo così, in realtà. Desidero solo andarmene dopo aver baciato almeno una volta l'uomo che amo, non mi pare chiedere troppo. O forse sì?

Come immaginavo Ushijima si è nuovamente seduto sulla poltrona accanto alla finestra. Essendo un ex carcerata -non ne conosco il motivo ma la mia sentenza è stata abbreviata, a patto che facessi dei lavori utili alla comunità- sono stata riposta in custodia dopo che mi hanno sparato. Ciò significa che ho una stanza solo mia, nonostante io sia più di là che di quà e non possa godermela a pieno.
Cosa ti vuoi godere di una stanza d'ospedale? Certo, domanda lecita: il fatto è che vorrei passare del tempo sola con lui. Ma non posso. Non posso perché sto morendo, e anche se ciò non succedesse beh... lo farebbero succedere. Conosco mia madre e percepisco il suo dolore ogni volta che entra e mi stringe una mano fra le sue; ogni volta che mi accarezza la fronte come quando ero piccola; ogni volta che piange e prega perché chi è lassù non le porti via l'unica figlia che le è rimasta.
- Sai -, Wakatoshi attira la mia attenzione, - ho letto da qualche parte che vita e morte sono due amanti. -
Ha una voce calda e, tutta via, distante come lo sguardo che si sta perdendo al di là del vetro della finestra.
I suoi capelli splendono agli albori degli ultimi raggi del tramonto; le ombre sul suo viso lo fanno sembrare meno giovane del solito.
- La vita era talmente innamorata della morte che si tramutò in sole e ogni giorno, pur di incontrare la sua amante, permetteva a se stessa di essere uccisa. Questo le consentiva di incontrare la notte durante il tramonto.- Si accarezzò un ciuffo di capelli ribelli e poi passò il palmo sul volto. - Tutta via, non riusciva a darsi pace, perché la sua amante gli sembrava costantemente triste. Così, decise di inviarle dei regali: noi. La vita ci alleva e ci fa crescere e, alla fine del nostro corso, ci guarda correre inevitabilmente dalla sua amante che le sorride e si prende cura di noi in eterno. - Si alza, avvicinandosi al letto in cui sosta il mio corpo, poi pare ripensarci e ritrae la mano che stava allungando verso la mia.
Una lacrima brilla solitaria sui suoi zigomi rigidi.
- Non so se la vita abbia deciso di donarti alla sua amata morte, ma se l'ha fatto è perché sei uno dei suoi doni più preziosi. Tutta via, nel mio egoismo smisurato, se puoi sentirmi, io ti imploro di non andartene. Ti scongiuro di restare qui. Di restare qui, per me. -  Passa la manica della giacca sotto gli occhi e va via, uscendo in corridoio.
Mi ritrovo sola con me stessa, e con un vuoto dentro che mi porta ad accartocciarmi su me stessa e urlare così forte da far tremare le finestre. I fantasmi non dovrebbero provare così tanto dolore, ma non mi importa.
Non mi importa per il semplice fatto che subire tanto mi fa capire che io - la vera me, quella in carne e ossa - è ancora lì che respira.
Così la guardo, soffermandomi sul viso ceramico e inespressivo; i capelli finemente intrecciati da mia madre e le flebo che mi bucano le braccia. Mi osservo e poi mi scaravento su me stessa.
"Svegliati!" ringhio nella mente. "Alzati! Ti prego vivi!" ma più provo più tutto sembra inutile. Non mi rimane che sdraiarmi e chiudere gli occhi, consapevole che diventerò il mio stesso demone; sarò la figura di ciò che ero e vagherò sola cercando quella scintilla che la vita mi sta togliendo pian piano.
Già. Sto morendo. Sto morendo per mano dell'infermiera che è appena entrata e sta gettando qualcosa nelle flebo.
Improvvisamente ho paura. Guardo i suoi occhi e riconosco gli stessi del ragazzo che ha ucciso mia sorella.
Non voglio morire. Non voglio diventare un demone.
Mi alzo e corro fuori, sentendo che pian piano le gambe iniziano a dissolversi e la materia che mi compone a diradarsi.
Sto per andarmene, devo raggiungerlo in tempo per dirgli almeno addio.

Lo trovo seduto su una di quelle orribili e scomode sedie grigie d'attesa. È lì con il mento poggiato sui pugni e una gamba che non riesce a fermare il suo moto.
Mi getto alle sue ginocchia e lo stringo; gli passo le mani dietro il collo e mi avvicino più che posso. Sento ancora il suo calore e il suo profumo.
- Grazie di tutto - gli mormoro, anche se sono consapevole che non può sentirmi. - Grazie di tutto. - Gli accarezzo i capelli e gli bacio la fronte, mentre lui sbarra gli occhi e si perde con lo sguardo in un angolo indefinito del pavimento. - Giuro che, nel mio smisurato ego, ti porterei con me. Ma non mi è concesso e non lo desidero affatto. Voglio che tu viva e che ti innamori ancora di qualcuna che ti farà sorridere. -
Una strana sensazione mi pervade il petto; qualcosa inizia a bruciare e mi porta a soffrire. Ansimo per il dolore e gemo, in preda a uno spasmo involontario. Riesco a percepire il mio cuore battere con tanta velocità da non riuscire a pompare abbastanza ossigeno.
- Grazie di tutto. - Non so che dirgli, non può nemmeno udirmi.
Però sembra che il bacio che gli ho posato sulle labbra l'abbia percepito pienamente. Me ne accorgo dalla lacrima che gli riga gli zigomi; dal fremito delle spalle che l'accompagna.
Si alza e corre verso il corridoio, scomparendo alla mia vista ormai appannata.
Mi è sempre piaciuto pensare che sia corso da me, perché è stato realmente così. Quel giorno è corso da me e mi ha stretto forte le mani, mi ha baciato la fronte e ha inveito pregandomi di non andare via, perché doveva ancora dirmi tante cose. Io però, per quanto lo desiderassi ardentemente, sono dovuta andare via.

Al mio funerale l'ho visto piangere, così come la mamma e papà. Li ho visti disperarsi per la figlia perduta e per l'amore mai sbocciato.
Però, lo giuro, non li ho mai lasciati veramente. Specialmente Ushijima.
L'ho sempre seguito nei movimenti, durante le scelte importanti e ho appreso che il mio amore per lui era vero. Tanto vero da riuscire a farmi sorridere di gioia quando è riuscito a lasciare andare il mio ricordo e si è innamorato nuovamente; quando ha cambiato lavoro; quando si è sposato e ha avuto una bambina.
Non l'ho mai abbandonato, per puro egoismo forse, ma mi va bene così.
E, molto probabilmente, il gesto più grande che ho fatto per lui, è stato vegliare su quella bambina appena nata che ha tenuto in braccio piangendo di felicità. Non potevo non diventare il suo angelo custode.
Il mio egoismo non mi ha mai permesso di farle accadere nulla di brutto.

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