Prologo

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Ataxofobia.
Dal greco ataxia, disordine, e fobos, paura.
Paura del disordine, di tutto ciò che non è al proprio posto.
Paura del caos, del rischio, dell'incertezza.

Ataxofobia è diventare maniaci dell'ordine, "perfettini" agli occhi degli altri,  è una condanna che arriva all'improvviso e mette a soqquadro la vita. Sembra un paradosso: la paura del disordine mette letteralmente in disordine ogni cosa. Da un momento all'altro niente sembra avere senso.

Sarebbe tutto più facile se non esistesse il disordine, se non esistessero probabilità, se non esistesse il caso, se esistessero solo certezze.
Le certezze sono ordine, perché danno l'opportunità di fare piani futuri, permettono di programmare ogni cosa, di ritrovare il senso di tutto, senza perdersi nulla.

Il caos, invece, non lascia scampo. Ciò che non si vede arrivare o è perso per sempre o è destinato a sconvolgere tutto.
Il caos è disordine, è un uragano che distrugge tutto ciò che incontra sulla sua traiettoria, una mareggiata che devasta una spiaggia. È un gioco in cui si può perdere pur avendo rispettato tutte le regole e vincere senza averne rispettata nessuna.

Come può un essere umano vivere di probabilità, accettando di non poter prevedere ogni cosa? Come ci si può accontentare della precarietà delle proprie convinzioni?

Eppure, la maggior parte degli esseri umani vive così per tutta la vita. C'è chi  si fa poche domande, chi accetta la propria limitatezza, il rischio che il caos comporta. L'essere umano è condannato, per sua natura, al sapere incompleto, alla superficialità delle sue convinzioni, alla precarietà dei suoi piani. Del resto, cosa siamo noi, se non esseri irrimediabilmente precari?

Ci sono tante persone che vivono nel caos inspiegabile della vita, che si accontentano del loro piccolo universo di conoscenze, ignorando il caos che al di fuori delle loro certezze crea e disfa la realtà a suo piacimento.

E poi ci sono io.
Io non mi sono mai accontentata.
Ho sempre avuto le vertigini, guardando il disordine che gli altri sembrano ignorare. Ho sempre cercato di plasmare la mia vita secondo le mie certezze, ho cercato di lasciare a debita distanza il caos, ma alla fine il caos ha trovato il modo di raggiungermi.

È successo all'improvviso, in modo inspiegabile. Di punto in bianco la sola vista del disordine ha iniziato a farmi stare male, al punto di non riuscire a gestire situazioni in cui i miei coetanei erano perfettamente a loro agio.
Dopo anni e anni di medici, psicologi e terapie, ho ottenuto la mia diagnosi: sono ataxofobica.
Nessuno è mai riuscito a cambiare questo dato di fatto. Per i medici sono l'esempio della fallibilità delle terapie, per gli psicologi il caso limite che viene escluso dai risultati statistici.

Del resto, mi sento esattamente così: esclusa dalla vita vera, obbligata a rimanere confinata nel mio safe place , o almeno di quel poco che ne rimane.
All'inizio mi arrabbiavo, con me stessa e con gli altri. Ho allontanato tutti e mi sono chiusa nel mio bozzolo di rabbia e dolore. Con il tempo, mi sono arresa al mio destino, anche se forse arresa non è nemmeno la parola giusta.
Mi sono rassegnata.
Per una volta in questa vita mi sono concessa di rassegnarmi a qualcosa che non posso cambiare.
Ormai non ci provo nemmeno più.

Sembrava impossibile che una persona cocciuta e testarda come me potesse cedere, ma l'ataxofobia mette a dura prova anche i più determinati.
È stata la mia prima vera guerra ed anche la mia prima insuperabile, inaccettabile sconfitta.

Come per uno scienziato a cui non riesce l'ultimo esperimento, o un medico che lascia morire il proprio paziente, io sono il mio fallimento.
Cerco di non pensarci, ma alla fine lo sento: ciascuno di noi è il giudice più severo di se stesso. Quando perdiamo la fiducia in ciò che siamo, non rimane molto altro in cui credere.
A me non è rimasto nient'altro che la mia fobia. Io sono diventata la mia fobia. Mi definisco solo all'interno del mio limite.
Tutto il resto l'ho perso nel caos che non riesco ad accettare.

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