Capitolo 5

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Margot' pov

Basta.
Non posso piangere qui, non davanti a tutti.
Devo andare.
Avanzo il passo, lasciandomi alle spalle le persone, le voci, le risate, la confusione.

Metto una mano nella tasca della giacca e stringo forte la mia pallina antistress. Ce l'ho da quando mi hanno diagnosticato l'ataxofobia. È azzurra, ma stringendola cambia colore. Quando ero piccola, osservare i colori cambiare sulla pallina mi distraeva da tutto ciò che mi spaventava. Anche adesso è così. La porto ovunque, non si sa mai. È un po' come l'inalatore per gli asmatici, o l'insulina per i diabetici.

Guardo diritto davanti a me.
Concentrati sui passi, Margot, non pensare ad altro.

Uno, due, tre, quattro...
Concentrazione.

Solo io, i miei piedi che si muovono veloci sotto di me, la strada, i numeri nella mia testa, la pallina nella mia tasca.

Nient'altro.
Continuo a camminare, a contare, a non pensare a nulla.
Non è difficile.
Non come pensavo che fosse.
È semplicemente istintivo, necessario.

Devo farlo.
Devo farlo per non crollare.
Devo farlo per non sentirmi in colpa.
Per non sentirmi una stupida.
Io devo rimanere ermetica.
Devo restare un mistero.
Nessuno deve trovare la chiave per aprire la mia porta.
Nessuno deve sapere niente di me.

Mezz'ora dopo

Non mi sono nemmeno accorta di essere arrivata davanti casa in così poco tempo: 7539 passi.

In effetti il tempo è sempre lo stesso, sono io che lo percepisco in modo diverso.

Tiro fuori le chiavi di casa e inserisco quella più lunga nella toppa.
Apro la pesante porta bianca ed entro velocemente.
Vengo avvolta dal calore casalingo, ancora più evidente date le basse temperature che ci sono fuori.

Mi tolgo la giacca, ripongo lo zaino nell'armadio di legno all'ingresso e vado diritta in camera.
Tolgo gli stivaletti per stare più comoda e mi fiondo sul mio amato letto.

Devo ammettere che mi era mancato parecchio, più di qualunque altro oggetto presente in questa casa.

Bene, dovrò stare da sola per le prossime tre ore.
Il mio stomaco mi ricorda che ore sono: dovrei anche mangiare.
C'è solo un piccolo, insignificante problema: ho promesso a mamma di farle trovare la casa così come l'aveva lasciata...mettersi a cucinare da sola non sarebbe decisamente una buona idea.

Visto che non posso cucinare...perché non chiamare la pizzeria?
Corro al piano di sotto a prendere l'agenda telefonica di mamma.
Già, quando si tratta di mangiare viene fuori il mio lato atletico.

Leggo velocemente i nomi delle prime due pagine, per poi fermarmi davanti all'ultimo della terza pagina: Pizzeria Oxford Street, 31.

Da quel che ne so, questa è la miglior pizzeria di Londra.
Digito il numero e aspetto che qualcuno dia un qualche segno di vita all'altro capo del telefono.

"Pizzeria Oxford, come posso servirla?"-chiede una voce femminile.

"Salve, vorrei ordinare una pizza margherita al seguente indirizzo"-dico, dettando l'indirizzo e il numero civico di casa.

"Va bene, tra quindici minuti avrà la sua pizza, arrivederci e buona giornata"-mi saluta la donna, attaccando senza nemmeno aspettare che io abbia risposto.

Attacco anche io, poggiando il telefono sul tavolo difronte a me.
Bene, non mi resta che aspettare.

Mi dirigo verso il salotto, dove c'è il mio divano preferito.
Anche in cucina ne abbiamo uno, ma io preferisco di gran lunga quello che c'è in salotto.

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