Capitolo 6

26 7 1
                                    

Margot's pov

Sto camminando per le strade affollate di Londra, diretta al mio parco.

Città di carta l'ho finito due giorni fa, quindi ho portato un altro libro da leggere.
Tiro fuori le cuffie e faccio partire un po' di musica. Si può scappare dal mondo esterno solo costruendone uno in cui nessuno può entrare.
Continuo a camminare, ansiosa di arrivare alla mia panchina e di leggere.

Da lontano, riesco già ad intravedere l'entrata del parco. Mi affretto a raggiungerla, ad entrare e ad imboccare il solito sentiero.

Come sempre, non c'è quasi nessuno.
Percorro velocemente la stradina alberata, per poi sbucare nella zona ovest.

Vado spedita verso la mia panchina, togliendo le cuffie dalle orecchie e riponendole nella borsa.

Mi guardo intorno, osservando il paesaggio isolato intorno a me.
Le persone non vengono mai qui, forse c'è troppo silenzio.
Forse le persone non amano il silenzio.
Forse vogliono stare in compagnia, perchè hanno paura di stare da sole e di sentire l'eco dei propri pensieri.

Forse hanno paura del nulla, del vuoto.
Forse hanno paura di perdersi, in mezzo alla solitudine.
Forse sono terrorizzati dall'idea di affondare e di non avere nessuno che possa aiutarli.

Forse non tutti sono come me.
Forse sono io quella strana.
Forse sono io quella che non ha paura di ciò che invece dovrebbe temere.
Forse sono io che ho paura delle cose sbagliate, di quelle che agli altri non fanno paura.

Ma pazienza, ognuno ha i propri mostri sotto il letto.
I miei li ho trasformati nella mia forza, perché anche le paure possono tornare utili.
Le paure non devono risucchiarci, ma salvarci. Può sembrare strano, ma le paure rappresentano ciò che siamo e non dobbiamo mai permettere a noi stessi di autodistruggerci, non dobbiamo lasciare che i mostri vincano le nostre difese.

Dobbiamo farli diventare nostri alleati contro il mondo reale. Alla fine, non sono i mostri e gli scheletri nell'armadio che devono spaventarci, ma le persone che abbiamo davanti.

I mostri non ce li scegliamo noi, ci capitano e basta, siamo costretti ad accettarli.
Le persone, invece, le scegliamo.
Possiamo scegliere da chi farci ferire, da chi allontanarci, possiamo scegliere chi trattenere nella nostra vita, possiamo scegliere chi amare.
Non dobbiamo fare la scelta sbagliata.

Dobbiamo scegliere con attenzione chi ci sta intorno, perché se sbagliamo, se chi abbiamo scelto ci ferisce, allora non avremo scampo.
Dovremo ammettere di aver sbagliato, prendendoci la responsabilità delle nostre scelte, accettando che la punizione che ci è stata inflitta ce la siamo procurati da soli e che ce la siamo meritata.
Io ho paura del dolore, io ho paura di non farcela.

Ho paura che i miei mostri mi tradiscano, trasformandosi in avversari, ho paura di perdere il controllo su di loro. Ho paura di dare troppo di me agli altri, di consegnare loro qualcosa che non possono gestire. Qualcosa che mi appartiene e che potrei non riavere mai più indietro. Del resto, è così che funzionano i rapporti umani: dai per ricevere, ma non sempre restituisci ciò che non ti appartiene e ti viene restituito ciò che invece è tuo da sempre.
Per questo rinuncio all'idea di partecipare al gioco, mi accontento di stare a guardare.
Se non partecipi, non corri rischi.
Io odio i rischi, perché  non sai mai cosa ti capita dopo, cosa ne consegue.

A volte mi sembra di guardare gli altri esultare, piangere, arrabbiarsi, contorcersi dal dolore, vivere. Cerco di non lasciarmi coinvolgere, ma c'è sempre una piccola parte di me che vorrebbe buttarsi nella folla, sentire il sapore di quelle risate, di quel dolore, di quella rabbia. Da qualche parte in me qualcosa vorrebbe muoversi e uscire da questo stato di apatia in cui a volte precipito. Vorrei imparare a giocare, ma soprattutto vorrei imparare a perdere, ad accettare la sconfitta. Vorrei che qualcuno mi insegnasse a superarla. Solo imparando a perdere si impara a non aver paura di giocare.

AtaxophobiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora