11° Capitolo

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Era completamente buio intorno ad Aya, i muri completamente neri. Sempre se ci fossero, i muri. Non era possibile capirlo. L'unica cosa ben visibile era il pavimento di legno chiaro, le cui assi scricchiolavano in alcuni punti. Di fronte alla bambina si trovava un leggio con un libro sopra.

"Il mio diario"

Appena lo lesse il leggio scomparve, dissolvendosi in polvere, lasciando modo ad Aya di passare oltre, verso un altro leggio. La bambina avanzò.

"Sono nato. Dormivo accoccolato contro mia madre."

Anche quel leggio scomparve, lasciando ad Aya il permesso di entrare in una piccola stanza. Dentro vi erano alcune sculture, fatte probabilmente di legno, ma talmente precise da essere molto realistiche. Vi era un piccolo tavolino, un letto con una donna stesa sopra a dormire, la culla di un bambino poco distanziata da essa. Aya osservò la scena, guardò dietro di sé. La porta era ancora là, sarebbe ancora potuta tornare indietro. Avrebbe ancora potuto dare ascolto a Maria e al ragazzo senza occhio, poteva scappare. Ma non voleva. Aya prese la culla del bambino e la spinse contro il letto. Adesso era esattamente come nella storia: il bambino dormiva contro sua madre. Ci fu un flash e Aya proseguì, determinata e imperterrita, verso la successiva porta di legno e verso una nuova pagina di diario.

"Ho ucciso un animale per divertimento. Poi ci ho preso la mano. Ci sono sempre gatti o uccelli morti nella mia camera. Mamma è impazzita quando li ha trovati. Adesso quando mamma è fuori io nascondo i cadaveri degli animali nel cassettone."

Aya passò avanti. Come prima cosa, prese il gatto e l'uccellino, sanguinanti, e li mise in un cassetto. Il letto e il pavimento erano coperti di chiazze di sangue. Nella stanza ora vi erano solo più le sculture della mamma e di suo figlio. Aya ripensò al racconto. Diceva che il bambino nascondeva gli animali quando la mamma era fuori...
La bambina si avvicinò alla statua della madre e cominciò a spingerla, fino alla porta dalla quale era arrivata. La fece uscire e richiuse la porta: il bambino avrebbe potuto commettere i suoi crimini in pace. Lei non aveva tempo da perdere, doveva avanzare. Superò l'altra porta, arrivò ad un'altra pagina.

"Mamma ha scoperto che uccidevo gli animali. Lei mi ha sgridato. Sta' zitta. Ho accoltellato mia madre con un coltello. Mamma è caduta, tutta rossa. Ma non si addiceva al suo bel viso. Così ho pulito la faccia di mamma. Il suo volto morto era molto carino."

Aya entrò nella stanza disgustata: il bambino era in piedi, di fronte al cadavere della madre, tutto sporco di sangue. Sul tavolo dietro di lei c'era un coltello da cucina, anch'esso insanguinato. Aya si chinò di fianco alla donna: il figlio le aveva pulito il viso prima di andarsene. Frugò nelle tasche e trovò il fazzoletto che le aveva dato il ragazzo morto di fame. Non aveva intenzione di usare il suo grembiule per pulirla, nonostante anche quello non fosse più ormai in ottime condizioni. Passò il piccolo pezzo di stoffa sul suo viso e lo ripulì dal rosso: il viso ora era candido, libero. Si rialzò e prese il coltello da cucina. Se lo rigirò qualche secondo tra le mani, pensò a come il bambino lo avesse usato come sua prima arma, poi glielo mise in mano. Funzionò.

"Ho ucciso mamma. Ero spaventato e sono corso via. Lontano, lontano verso l'oceano... Volevo dimenticare tutto. Ma non potevo dimenticare lo splendido volto di mia madre morta. Ho ucciso ancora. Alla fine mi sono abituato a vedere volti di persone morte."

Stavolta la stanza riproduceva una piccola foresta, con alcuni alberi. Al centro vi era un ragazzino molto giovane, grande all'incirca quanto lei. Intorno a lui, due ragazze morte e coperte di sangue, collassate a terra. Ne mancava solo più una, che aveva in viso un'espressione terrorizzata. Aya si morse il labbro: non avrebbe voluto farlo, ma non aveva altra scelta. Prese la motosega e la fece roteare in aria, scaraventandola contro il corpo della ragazza, dal quale uscì a fiotti il sangue, che andò a macchiare Aya. Aveva sbloccato la porta. La bambina si rimise la motosega sulla schiena e corse via.
Era di nuovo nei sotterranei. I muri tornarono ad essere di normale pietra, tutto sembrò essere di nuovo normale. Aya guardò la porta dietro di sé: non voleva tornare in quella stanza. Non aveva idea di chi potesse essere quel diario, ma quel bambino era stato di sicuro un temibile assassino. Quello che aveva fatto... Era stato orribile! Non ce la faceva più. La bambina cominciò a scendere le scale che le si erano parate davanti, lentamente. Una volta arrivata in fondo cadde sulle ginocchia. Non riusciva più a muovere le gambe, tremavano troppo. Non sarebbe resistita ancora a lungo. Ma doveva andare avanti. Doveva salvare suo padre... Suo papà...
Aya crollò a terra, esausta.
Dalle scale, dietro di lei, scese Ogre.

Mad Father - Il Padre FuriosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora