Capitolo 14

1.4K 83 27
                                    

“Siamo atterrati all’aeroporto di Malpensa, grazie per aver viaggiato con noi”

Di solito sarebbe una frase normale, ascoltarla non dovrebbe far venire il mal di pancia. Non dovrebbe causare tutto questo dolore. Siamo a Malpensa, dopo chissà quante ore di viaggio, dopo chissà quanti pensieri trattenuti, dopo chissà quanti magoni provati sul punto di farli uscire. Sento una signora sulla quarantina che si lamenta del caldo e della maglietta appiccicata alla sua pelle. Vorrei sentire anche io qualcosa. Mi sento… vuota. Ho il disperato bisogno di provare almeno una sensazione, un brivido, eppure ho la gola secca. Non ho sete, non mi brontola la pancia, non sento niente. È esattamente come quando ti chiedono un sincero come stai e tu non sai se tirare fuori tutti i tuoi problemi o startene zitta, tacere come si ha sempre fatto.

Il muoversi della poltroncina accanto alla mia, quella di mia madre, mi fa risvegliare dai pensieri assurdi. Anche lei non ha aperto bocca per tutto il  viaggio, mi ha tenuto la mano, un po’ per la paura di volare, un po’ per la paura di vivere. “Sei riuscita a riposare?” mi chiede.

Scuoto la testa. Lei di rimando annuisce e si alza, recupera le valigie nel ripostiglio posto sopra di noi, io provo a trattenere le lacrime e rimetto le cuffie nella borsa a tracolla che mi hanno lasciato tenere in aereo. Ci dirigiamo fuori, il sole mi acceca la vista e sono costretta a mettermi gli occhiali, cosa che fa anche mia madre. Una volta arrivate in fila per far controllare i documenti, do un’occhiata al cellulare che segna le 10.56. C’è un messaggio da parte di Harry. Solo a leggere il suo nome mi viene voglia di tornare a Miami, abbracciarlo, piangere fra le sue braccia, sentirlo dire che andrà tutto bene con la sua voce bassa. Il suo messaggio dice: Dove sei?

Ah già, ho tralasciato il particolare che sono stata costretta a partire immediatamente, lasciando la mia migliore amica in hotel da sola, lasciando quelli che sono diventati i miei migliori amici con cui passare le giornate, e lasciando la persona più importante.

“Meg aspettami in macchina, arrivo subito. Devo far controllare il mio documento” dice mia madre frettolosamente. Annuisco, prendo la valigia e esco di nuovo. Ci impiego un po’ a trovare la macchina, ma quando scorgo un’auto scura recupero subito il cellulare e compongo il numero di Harry che conosco ormai a memoria.

Due squilli e mi risponde. “Meg?”, ha la voce roca solita della sera, quando si prepara per andare a dormire.

“Haz, sono io” rispondo, le mani che tremano.

“Dove sei? Avevi il cellulare spento che non prendeva, Martina ignora le mie chiamate, i ragazzi sono stati zitti, spiegami dove cazzo sei” comincia a balbettare ed io me lo immagino mentre, in boxer, si mette una mano fra i capelli e si stende sul letto, nervoso. Sorrido come una cretina.

Faccio un sospiro profondo prima di cacciare la bomba. “Sono a Milano, Harry”

C’è un momento di silenzio strano, fin troppo strano da parte sua. “Dove sei?!” sbraita, sono costretta ad allontanare il cellulare dall’orecchio. Non l’ho mai sentito così agitato.

“Harry, non urlare, ora ti spiego”

“Non urlare?!” chiede di rimando “Megan sei sparita da un momento all’altro e non mi hai scritto un cazzo! L’hai detto ai ragazzi e non a me vero? Spiegami cos’hai in testa!”

Penso a mio padre in un letto d’ospedale e finalmente butto fuori tutto quello che ho trattenuto da ore. “Ho detto di non urlare, cazzo!”

Silenzio, di nuovo. “Mio padre ha avuto un incidente” continuo “Ed è piuttosto orribile perché non lo vedo da quando i miei si sono separati. E mi sento sola da morire”

We are meant to beDove le storie prendono vita. Scoprilo ora