Capitolo 5: Domande

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Volo verso il tetto rosso della casa da cui spuntano, come boccioli di rose bianche in un campo di margherite rosse, i comignoli che sputano un flebile fil di fumo grigio che viene subito disperso dalla brezza che mi accarezza il viso. Ripenso alla conversazione avuta con Ethan e a quanto lui sia patetico. Mi fulmina un pensiero: lui ricorda.

-Questa non è casa mia, non le è neanche lontanamente simile.

Questo ha detto. Lui sa, lui ricorda.

-Cosa devo fare, Robert?- sussurro al cielo, il quale però continua a guardarmi silenzioso -Un segno, mi serve un segno. Non so cosa fare. Come si fa a insegnare a qualcuno come volare? Dovrebbe essere per lui una cosa naturale.

Il cielo rimane silenzioso. Non vola un insetto, gli animali sono tutti relegati nel bosco da una forza invisibile. La flora e la fauna di questo strano posto è una delle cose su cui mi sono sempre interrogata: gli alberi perdono le foglie, ogni tanto, ma senza una logica vera e propria; gli animali sono sempre gli stessi da quando ne ho memoria e non esistono stagioni. E' come se il tempo non passasse. Il Signor Brown e Mrs. Olimpia sono qui praticamente da sempre. E non invecchiano. I bambini crescono, le Serie si succedono, gli anni passano. E loro non invecchiano.

-E invece non c'è proprio nulla di naturale nel buttarsi dal tetto di un edificio che ti costringono a chiamare 'casa', sperando disperatamente che il destino o Dio o simili non ti spiaccichino al suolo con la delicatezza del martello di Thor.- risponde Ethan camminando in equilibrio sulla grondaia pericolante, le braccia distese come se dovesse decollare da un momento all'altro.

-Thor?- chiedo stupita -Cos'è Thor?

Lui sorride, sedendosi accanto a me.

-Non è un 'cosa', ma un 'chi'. E' un dio appartenente alla mitologia celtica. Su di lui hanno fatto anche un film.

-Cos'è un film?- chiedo ancora circondando le gambe con le braccia e appoggiando il mento sulle ginocchia.

-Non sai cos'è un film?!- esclama sorpreso Ethan. Evidentemente doveva essere un 'cosa' o un 'chi' famoso nel passato. Scuoto la testa.

-E'... una serie di immagini che si muovono e che formano una specie di storia. Praticamente... tu riesci a vedere, per esempio, questi personaggi che fanno qualcosa dentro una scatola di metallo, che si chiama televisione.

Annuisco. Non ci ho capito molto, ma annuisco comunque.

-E a cosa serve?- chiedo. A cosa può servire una scatola che ti mostra le storie? Non bastano i libri?

-Non lo so.- risponde accigliandosi -Credo serva a divertire. Ma non sembra che sia poi molto utile.

Lascio cadere la conversazione. Un pensiero mi fulmina. Forse lui riesce a dare una risposta alla domanda che mi assilla da qualche luna (è un modo di dire: non abbiamo nessuna Luna, noi).

-Sai cos'è un distributore di benzina?- chiedo curiosa. E' una delle cose di cui non posso parlare con nessuno, il passato, e finalmente ho trovato qualcuno che possa soddisfare le mie curiosità.

-Per rispondere devo prima spiegarti cos'è un'automobile. E' una scatola, molto più grande della televisione, e ha quattro ruote. Dentro, ha delle specie di sedie che servono a stare più comodi. Serve a chi non sa volare, per fare lunghi viaggi. Ti porta dove vuoi, ma devi essere abbastanza grande da saperla guidare.- spiega, lo sguardo perso nel vuoto come se riuscisse a vedere qualcosa invisibile ai miei occhi.

-E il distributore di benzina?- chiedo, impaziente di sapere. Il passato è pieno di cose inutili ma le automobili sembra, finalmente, che servano a qualcosa di concreto.

-Con calma, Zero.- mi frena Cento riprendendo fiato prima di continuare: -Per far muovere le automobili, serve un composto chimico che gli uomini del passato chiamano 'benzina'. Nei distributori di benzina, o 'stazioni di servizio', ti vendono questa cosa che è praticamente il cibo delle automobili. Senza, si fermerebbero. Per questo i distributori di benzina sono così importanti. Nel passato nessuno sapeva volare e tutti usavano le automobili e la benzina.

Persa nei miei pensieri, immagino un mondo senza Eredi di Peter Pan in cui tutti viaggiano dentro scatole di metallo, seduti su sedie per stare più comodi.

-Non sembra una bella prospettiva.- commento con una smorfia di disappunto -Pensavo che nel passato ci fossero più Eredi di ora.

-Al contrario.- mi contraddice Ethan -Nessuno volava.

-Nessuno?- mormoro -Erano tutti uguali? Ma è orribile.

-E non è tutto.- continua lui e il suo sguardo si fa ancora più grave -Chi era diverso veniva escluso. Le loro catene erano abilmente nascoste: pensavano di essere liberi perché la loro gabbia era molto grande.

Taccio, e lo stesso fa lui.

-Perché hai reagito così, prima?- mi chiede spezzando il silenzio irreale che dovrebbe essere interrotto dal cicalecciare degli insetti che però non ci sono. Mi punta addosso i suoi occhi inquietanti e distolgo lo sguardo.

-E' colpa del Signor Brown. Quello era il nostro posto. Non doveva mandarti lì.- gli spiego con la voce venata di rabbia.

Non si scusa, sa che sarebbero solo parole vuote nell'aria calda di questo mondo sbagliato in cui non c'è nemmeno il sole, ma una cupola spacciata per cielo che si infuoca se ti avvicini troppo e si spegne la sera senza un tramonto.

Ethan tiene lo sguardo fisso su di me, accarezzando con gli occhi il mio profilo.

-Potresti smetterla di guardarmi?- chiedo -Sei inquietante.

-E' per via degli occhi?- chiede con una nota di tristezza distogliendo lo sguardo.

-No.- mento. Insomma, diciamocelo, i suoi occhi fanno davvero paura. Sembra quasi un marchio, come se volesse dire: "Stammi alla larga, sono pericoloso. E' consigliata la distanza di sicurezza."

-Per favore...- sussurra, così piano che quasi non lo sento -dimmi la verità: hai paura dei miei occhi, così come ne hanno paura tutti. Non mentirmi.

-Non ho paura.- dico fermamente, convincendo anche me stessa. Sono solo iridi, cosa c'è di spaventoso? -Vedrai che diventerà così anche per gli altri.

Ma l'unica cosa cui riesco a pensare è: "Gli occhi sono lo specchio dell'anima."

La luce si affievolisce velocemente mentre la visibilità cala. Mi alzo in piedi.

-I Programmatori non hanno più voglia di controllarci. La giornata di oggi è finita. Immagino che il Signor Brown ti abbia mostrato la tua camera. A domani.- dico stiracchiandomi e spicco il volo.

-Aspetta!- mi ferma Cento -Non sono passate neanche cinque ore. Perché è già arrivata la notte? Chi sono i Programmatori?

Sorrido alle sue domande che, per ora, lascerò senza risposta.

-'Notte, Cento.- dico, ma lui mi ferma nuovamente: -Come faccio a scendere?

Scoppio a ridere, facendo un paio di capriole in aria.

-Esattamente come sei salito, Cento.- le mie risate si spengono come una fiammella subisce un refolo di vento e la mia voce torna seria -Ma cerca di non metterci troppo. La notte è pericolosa, qui.

Lancio un'occhiata al bosco, come per intimargli di restare lì, come per ordinargli di trattenere i suoi mostri ancora per un po', prima di liberarli alla prossima Minaccia.

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Spazio Autrice

Scusate immensamente per il ritardo, oggi doppia pubblicazione :-*

Byyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyeeeeeeeeeeeee

Volpe Nera

Gli Eredi di Peter PanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora