Agosto.

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-Sei in ritardo! Lo so che sei nuovo, ma datti una mossa! Ti stanno aspettando.-Così mi diede il buongiorno la ragazza dai capelli ramati che aveva dormito vicino a me.
Mi girai dall'altra parte, aprendo solamente un occhio. Avevo dormito si o no sei ore, muovendomi in continuo.
Non riuscivo ad accettare che per ben tre settimane avrei dormito in quello scomodo sacco a pelo e non in un bel letto caldo. Era assurdo.

Tanto era un classico: tutte le volte in cui uno mi addormento dopo ore, ecco che puntualmente arriva qualcuno a svegliarmi.

-Se hanno aspettato tutto questo tempo, sopravviveranno ad attendermi ancora per un po'.- Sbuffai, alzandomi da terra con malavoglia.
La ragazza si chiamava Jane ed era irlandese. Aveva ventisette anni e sembrava già non sopportarmi molto.
Mi fece cenno di darmi una mossa, per poi uscire dalla stanza subito dopo.
Aveva dormito accanto a me tutta la notte, e faceva la scorbutica. Tipico.

Mi preparai con molta calma, con una semplice maglietta bianca e un paio di jeans. Naturalmente, misi la mi sciarpa preferita al collo, sebbene fossi consapevole del caldo che faceva fuori. Ero molto affezionato a quella sciarpa, me l'aveva regalata Ruth.

-La colazione dove la faccio?- Domandai a Babu, che mi aspettava come un poliziotto davanti all'ingresso di casa. Era abbastanza inquietante come fosse rigido e sull'attenti. -Non la fai, semplice. Sei in ritardo.

Disse come se fosse una cosa naturale saltare la colazione.
Feci per lamentarmi, ma lui scosse la testa assolutamente irremovibile. -Ho ancora una buona sensazione su di te. Non ti reputo un caso perso.

Forse, però, si sbagliava.
Non replicai, e lo seguii verso un cortile spazioso.
Quella era la scuola, mi spiegó Babu.
Rimasi visibilmente perplesso nell'osservare circa una decina di ragazzi seduti a terra, in file ordinate e con un quaderno in mano.
Niente sedie, niente banchi e niente cattedra. E non c'era neppure la lavagna. -Per apprendere, non c'è bisogno di altro che un cervello, una penna e un foglio.

Mi spiegó, facendomi cenno di sedermi a terra.
Avevo fatto un sacco di concerti con un pubblico molto vasto, ma starmene seduto davanti a quei ragazzi fu molto imbarazzante.
Non sapevo cosa dire, volevo scappare a gambe levate dai loro occhi curiosi e impazienti di conoscermi.

-Tu resti?- Domandai quasi con tono implorante a Babu, ma lui scosse la testa. -Te la dovrai cavare da solo, sei un volontario e se sei qui, un motivo c'è.

Mi imposi la massima calma, sforzandomi di pensare su come avrebbe agito il vecchio Álvaro.
Probabilmente avrebbe fatto un grandissimo sorriso e avrebbe cominciato a parlare con loro, cercando di instaurare un rapporto.
Poteva essere una buona idea, se non fosse che non sapevo proprio cosa dire.
Perciò, presi il braccialetto che avevo al polso e cominciai a giocarci su. Era inutile che fingevo, io non ero assolutamente adatto a stare lì. Dovevo solo trovare il modo di far passare il tempo.

-Come ti chiami?- Mi domandó all'improvviso un ragazzino, dalla voce bassa e profonda.
Alzai gli occhi dal braccialetto, rivolgendo la mia attenzione sul ragazzo magro come un grissino che mi aveva rivolto la parola.

-Álvaro.- Risposi, facendo calare il silenzio.

-E cosa significa?- Domandó una ragazzina dagli occhi luminosi.
-E sei spagnolo? È bella la Spagna?

Cominciarono ad inondarmi di domande, e io dovetti bloccarli con una mano, poiché non mi ero aspettato una reazione del genere.
Tutti sembravano avere una domanda per me, eccetto la ragazzina che avevo incontrato il giorno prima, quella certa Behati. Se ne stava in un angolino, con l'aria pensierosa e distante. Nessuno sembrava prestarle attenzione.

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