Friends.

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-È il tuo turno di lavare i piatti, Alvi.- Mi annunció Grazia, la volontaria proveniente dall'Italia. Era una delle poche persone li che mi trattavano con gentilezza, e l'apprezzavo molto per questo.
Quando mi comunicó quella cosa, però, quasi mi uccise.
Spalancai gli occhi, terrorizzato dall'idea di dover pulire quella montagna di piatti sudici.
Scossi la testa ripetutamente. Non se ne parlava proprio, non avevo nessuna intenzione di sporcarmi le mani per pulire tutte quelle stoviglie.

-Non ne sono capace.- Affermai, con una smorfia di disappunto.
Grazia, però, dall'alto dei suoi cinquant'anni suonati non aveva assolutamente voglia di lasciarsi abbindolare dal mio bel faccino e prendere il mio posto.

-Prendi dell'acqua dalla brocca e la versi in un contenitore, ci metti dentro i piatti e con spugna insaponata li lavi, figliolo.- Mi spiegó, dandomi una pacca sulla spalla e invitandomi a muovermi ad adempire al mio dovere.
Ruotando gli occhi verso l'alto, cedetti.
Già una volta mi ero rifiutato di lavare i panni, ritrovandomeli poi nel sacco a pelo più sporchi di prima. Sospettavo che fosse stata un'idea di Jane.

Comiciai a pulire i piatti con malavoglia, mentre la mia mente vagava lontano, ritornando a qualche anno prima.

-Aspetta, Ruth.-
Il mio cuore batteva velocemente nel petto, mentre richiamavo la brasiliana.
Avevo fatto tutte quelle scale di corsa, sperando di avere ancora la speranza di trovarla fuori dall'auto nera che l'avrebbe portata a casa dallo studio di XFactor.
Lei si voltó a guardarmi, con un'espressione sorpresa sul volto. Era così bella con quel vestitino di pizzo verde scuro e i capelli tagliati corti, dopo vari cambi di look da parte sua. -Si, Al?- Mi chiese, con la mano sulla portiera della macchina.
Il coraggio, però, sembrava volermi abbandonare.

-Niente, scusa. Non è importante...-Cominciai, facendomi sopraffare dall'ansia.
C'erano un sacco di fotografi fuori dallo studio, e anche la folla di ragazzine urlanti contribuiva a farmi tornare il solito ragazzo impacciato di sempre.
La sua espressione di delusione mi colpì come un pugno in pieno volto.
Una volta per tutte, decisi di buttarmi. Sapevo che me ne sarei pentito un minuto dopo averle fatto quella domanda, ma nella vita bisogna rischiare. E anche a costo di fare la figura del coglione, io decretai in quel momento che fosse l'ora di diventare uomo.

-Ti andrebbe di andare a mangiare assieme? Pago io, tranquilla.- Le chiesi, proprio nell'istante in cui stava per entrare in macchina. Eravamo grandi amici, anzi, ottimi amici, ma ero stufo di fingere che io non provassi nulla per lei. Potevo capire che lei avesse ancora il cuore spezzato, ma io potevo aiutarla ad uscire da quella situazione. Glielo avevo dimostrato.

-È una specie di appuntamento, Soler?- Mi domandó, con un sorriso raggiante.
Io alzai le spalle. -All'incirca, si.

-Era ora che me lo chiedessi, sai? Fede ha scommesso dieci euro che tu non l'avresti mai fatto, mentre Manuel era più fiducioso. Ne ha scommessi cinque.- Mi disse, facendomi cenno di entrare in macchina con lei.
Io alzai gli occhi al cielo, non senza un po' di sollievo.
Non avevo fatto così tanto la figura dell'idiota, dai.

-Dove ti andrebbe di mangiare?- Le chiesi con un po' di tensione. Non avevo un appuntamento serio con una ragazza da anni, ero decisamente goffo.

-Ti va di venire a casa mia? Sono un po' stanca e non me la sento di andare in un ristorante. Potrei rischiare di farti cadere accidentalmente del vino sulla tua camicia bianca, mentre a casa, se succede, puoi sempre spogliarti.- Disse con una naturalezza così disarmante, facendomi arrossire.
-Diretta, la ragazza.- Sussurrai, con una breve risata. Lei mi guardó con aria angelica, ma non ci cascai. Lei era tutt'altro che pura e casta. -Quasi non mi dispiacerebbe sporcarmi la camicia di vino...casa tua sia.- Stavolta fu Ruth a ridere, e fece un cenno al conducente di portarci al suo appartamento che distava da lì circa dieci minuti. -Hai gusti particolari? Perché in frigo ho un sacco di avanzi.- Cominció lei, tornando seria. Io mi ero sempre considerato un ragazzo di buona forchetta, così scossi la testa. -Mi va bene tutto, l'importante è la compagnia. E la tua è ottima.-

Ruth mi sorrise nuovamente, appena la macchina si fermò davanti al suo palazzo.
Scesi dalla macchina, e prima che lo facesse il conducente, aprii la portiera della ragazza.
Salimmo in casa, e mi venne spontaneo aiutarla ad apparecchiare.
Ci conoscevamo da mesi, ormai, e mi sembrava di essere a casa mia. Non c'era nessun disagio mentre mangiavamo dalle ciotole di plastica invece che sui piatti, e non ci fu nessun problema quando lavai le posate e i contenitori al suo posto, nonostante fossi l'ospite. E sembró normale e abituale anche dormire nello stesso letto in un modo così innocente e dolce.

Friends just sleep in another bed,
And friends don't treat me like you do.
Well I know that there's a limit to everything,
But my friends won't love me like you.
No, my friends won't love me like you.
{Friends; Ed Sheeran}

-Giusto in tempo per la chiusura della riunione, che tempismo.- Mi prese in giro, Jane.
Ci avevo messo troppo a lavare quei piatti, ne ero consapevole, ma mi ero perso ci i miei pensieri, dimenticandomi del tutto di quella maledetta e inutile riunione.

-Via, via! Il ragazzo stava lavando i piatti.- Mi difese Grazia, facendomi cenno di sedermi accanto a lei e Babu.

-Un proverbio persiano recita: 'La fretta è del diavolo, mentre la lentezza è di Dio', mia cara Jane.-
Il vecchio Babu parló lentamente e con solennità, rivolgendomi un mezzo sorriso di incoraggiamento. Non si lasciava mai andare troppo, era un uomo composto.

-Eravamo rimasti all'argomento festa.- Disse Kevin, il ragazzo di Jane. Notai che tutti prendevano appunti, ma io non avevo assolutamente intenzione di farlo. Incrociai le braccia, appoggiando la testa sul tavolo.

-Giusto! Dobbiamo dividerci i compiti.- Affermó Jane, con uno strano sorriso. -Direi di dare al nuovo arrivato l'impiego di pulire dopo la festa.

Mi odiava quella ragazza, e la cosa iniziava a darmi fastidio.
Non le avevo fatto assolutamente nulla, mi limitavo a stare nel mio, in silenzio.
Alzai il capo, fulminandola. -Va bene, ci sto. Ma sicuramente avrei bisogno di una mano, che dici di aiutarmi?-

La sua espressione sorpresa, mi fece sorridere soddisfatto. Avevo fatto la mossa giusta, era in scacco matto.

-Smettetela di bisticciare, direi che toccherá a Jane fare le pulizie perché vedrei molto bene Álvaro organizzare un canto di gruppo con i suoi ragazzi.- Stavolta toccó guardare con aria sbigottita, Grazia.
Non era assolutamente una soluzione a mio favore, la sua.

-Preferirei pulire, se non vi dispiace.- Affermai, con decisione, ma ormai sembravano tutti essere d'accordo con Grazia.

-Alvi, potresti cantare! Ho sempre sognato di sentirti ad un concerto.- Hiro, uno dei volontari giapponesi che dormiva con me, sembrava entusiasta dall'idea.

-Se i ragazzi vogliono cantare, va bene. Ma io non lo farò, è fuori discussione.- Sbottai, alzandomi dalla sedia.
Non mi piaceva essere costretto a fare qualcosa contro la mia volontà come stavano facendo loro. -Dovete capire che io non voglio più cantare, è inutile che voi le proviate tutte per cercare di farmi cambiare idea. Non accadrà.-
E detto ciò, uscii all'aria aperta.

Forse avevo sottovalutato parecchio l'impegno di fare il volontario.
Nelle foto mi erano sembrati tutti così simpatici, e tutto così tranquillo.
Mancavano più di due settimane al mio ritorno a casa, ma a dire il vero, mi stavo demoralizzando sempre di più. Ero un pesce fuor d'acqua.

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