Libre.

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-Ho paura, Álvi.-
Ed eccoci al gate, aspettando l'aereo che ci avrebbe portato in Europa.
Io ero calmo, quasi elettrizzato dall'idea di tornare a casa, mentre Behati non stava calma nemmeno per un secondo.
Si guardava attorno terrorizzata, inondandomi di domande.
Come se non bastasse, mi toccava risponderle almeno tre volte, poiché mi rifaceva gli stessi quesiti.
Non aveva mai preso un aereo, e a dire il vero, ero abbastanza certo che non ne avesse mai visto uno.
Aveva un'idea dell'aereo un po' errata, pensava fosse una scatola di ferro con le ali, ma io avevo deciso di lasciare l'effetto sorpresa.
Era giusto per lei che si vivesse quella nuova esperienza, senza avere aspettative forzate.
Avevo dovuto rimandare il mio volo di una settimana per convincere del tutto Behati a venire, e successivamente, per la varia documentazione.
Non sarebbe venuta a casa mia per una visita di piacere, ma per una cura in particolare. Volevo ardentemente sapere che c'era anche la minima possibilità per lei di migliorare.

-Non cadremo, dai.- Mi guardó terrorizzata.- E poi dormirai per tutto il viaggio.-
Lei mi guardó con aria di superiorità, inarcando un sopracciglio.
-Non credo proprio, non voglio cadere dormendo.-

Le ultime parole famose: il tempo di entrare in aereo, partire, guardare estasiata dal finestrino le nuvole, che si addormentò come un sasso.
Fu una scena divertente.

Per me, prendere un aereo era una quotidianità, ma quella volta, avevo un senso di inquietudine infondo allo stomaco.
Mi dispiaceva davvero tanto aver lasciato l'Africa, dove avevo ritrovato un po' di me stesso.
Inoltre, stavo viaggiando verso l'ignoto: non avevo assolutamente idea di cosa mi sarei ritrovato a Barcellona.
Con un miscuglio di emozioni che mi stavano letteralmente mangiando vivo, mi addormentai con la testa sulla spalla di Behati.

[...]

-Stai attenta, Beha!- Esclamai, avendo la prontezza di prendere per un braccio la ragazza prima che una macchina me la portasse via.
Behati si guardava attorno spaventata, non avendo mai visto così tanto traffico e così tanta confusione. Sembrava un pesce fuor d'acqua.
Un po' come me, quando ero approdato in Kenya.
Potevo benissimo capire come si sentiva, perciò l'abbracciai di slancio, cercando di infonderle coraggio.
Naturalmente, lei era un tronco di legno sotto il mio contatto.

-É tutto così diverso, Álvi.- Mi sussurró a mezza voce, appena le feci cenno di entrare in taxi. -E poi, che diavolo è quel coso che vedo attraverso la finestra?

Stavolta non si addormentò, e passó tutto il viaggio verso casa a chiedermi cosa fossero i vari monumenti che vedeva.
Fu un piacere spiegarle la loro storia e vederla prendere appunti sul suo diario.
Una volta a casa, però, dovetti ancora una volta avere a che fare con una Behati spaesata.

-Benvenuta a casa, Beha.- Le dissi con un sorriso, mentre aprivo la porta di casa.
Mi sarei aspettato di vedere il disordine che avevo lasciato prima di partire, e non tutto quell'ordine così sovrumano. Li c'era di certo lo zampino di mia madre, a cui avevo lasciato le chiavi dell'appartamento.

-È tutta questa? È enorme.- Sussurró con una vocina flebile, mentre spalancava la bocca.
Per me era piccola, a dire il vero, ma era normale.
Quando sei abituato ad avere tutto, ti ritrovi a non amare ciò che hai.

Le sorrisi, divertito.
-E non hai ancora visto nulla, fidati.- Fu piacevole mostrarle la sua nuova cameretta, e vederla piangere dalla gioia. Era quella degli ospiti, che avevo dapprima utilizzato come sgabuzzino.
Aveva le pareti di un bel verde pastello, un letto da una piazza e mezzo, e una scrivania piccola appoggiata al muro.
Nulla di particolare, ma a lei sembrava piacere un sacco.

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