IX. Banshee

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La luce della cella sfarfallava ininterrottamente.
Faceva freddo, in quel cubicolo spoglio. Vi era solo una brandina addossata contro il muro, su cui una bambina stava rannicchiata, avvolta in una spessa coperta di pile dal forte odore di muffa.
La bambina tremava, dondolandosi sul materasso logoro, contando i secondi.
Raramente restava sveglia tanto a lungo e quando accadeva arrivava a rimpiangere le siringhe e i sedativi che la facevano cadere in un oblio tanto profondo da cancellare l'incubo di quella realtà spaventosa. Non c'era il freddo quando dormiva, non c'erano la paura, i morsi della fame o il ronzio continuo della luce al neon. Non c'era neppure la cella dai muri di vetro e le facce mostruose che da fuori la fissavano.
C'era solo buio e pace. Alle volte, quando l'effetto dei sedativi stava svanendo, riusciva persino a sognare sua madre, il suo sorriso e i lunghi capelli che odoravano di lavanda.
Sentì un rumore: il suono metallico delle porte automatiche, passi pesanti che si avvicinavano.
Nascose la testa sotto la coperta. Non succedeva mai nulla di buono quando lasciavano che restasse sveglia per così tanto tempo.
Il sangue, le grida, e le corse folli erano una costante nei suoi labili ricordi.
Due uomini si fermarono davanti alle pareti della sua cella e la aprirono. Indossavano una divisa verde e una mascherina bianca a celargli una parte del viso.
«Au secours» piagnucolò la piccola prigioniera, non appena i due furono entrati.
«Nessuno verrà ad aiutarti, bambina» rispose uno degli uomini con una risata secca, avvicinandosi alla brandina sopra cui si nascondeva.
Lei non capì ciò che le disse e continuò a ripetere in un lamento: «Au secours. S'il vous plaît».
«Odio quando inizia a piagnucolare in questo modo» sbottò l'altro, tirando la bambina per un braccio. La piccola finì a terra carponi, mentre la coperta rimase aggrovigliata sul lettino. A coprirla adesso era rimasta solo una lunga veste bianca di cotone.
«Attento, Gale. Non far arrabbiare il piccolo mostriciattolo... te ne potresti pentire», disse il primo, prendendo la bambina per le spalle con più gentilezza.
«Vieni, tesoro, è arrivato il momento di divertirci».

***


«Malia, la mia camicia?» chiese Stiles dal bagno. Si affacciò nella camera, non ricevendo risposta. «Malia?».
Stava seduta alla specchiera della camera. Era stata di Claudia Stilinski quella specchiera, suo padre gliel'aveva regalata quando avevano deciso di sposarsi. Malia ci si sedeva raramente, non era una donna che spendeva molto tempo nell'acconciarsi i capelli o truccarsi. Possedeva pochi gioielli e indossava sempre e solo gli stessi: l'anello di fidanzamento e la fede nuziale.
«Cosa?» chiese lei con voce distante.
«La mia camicia. Quella del lavoro, Mal. È tardi, Jordan e Scott mi staranno già aspettando» rispose Stiles, impaziente.
«L'ho lavata» disse allora, con tono titubante.
Stiles si fiondò in lavanderia e ne riemerse con la cesta dei panni sporchi.
«Quand'è l'ultima volta che hai fatto il bucato?», si informò arricciando le labbra e la fronte aggrottata di sua moglie fu una risposta sufficiente. «Okay, fa niente. Andrà bene anche una di queste...».
Prese l'unica che - pur essendo macchiata - odorava ancora di buono e se la infilò.
«Sto andando, penso che tornerò per cena» la informò e Malia annuì.
«A Gammon Allen?».
Le si accostò alla schiena e pose le mani sulle sue spalle. Un libro era aperto sul piano della specchiera e Malia lo chiuse e lo fece scivolare sulle proprie gambe non appena sentì la presenza di suo marito dietro di sé.
E, sebbene la curiosità lo divorasse, Stiles gliene fu grato. Ogni volta che la trovava a leggere testi antichi o a fare strane ricerche su Internet il timore che Malia stesse continuando a cercare un metodo per interrompere il passaggio di poteri tra lei e Claudia si faceva vivo in lui, come una paranoia costante; per questo preferiva volgere lo sguardo altrove e fingere disinteresse, perché averne la certezza l'avrebbe fatto star male più di ogni altra cosa.
Odiava restare nel dubbio, ma quando si trattava di Malia riusciva ad accettare anche quello.
Perciò preferì affondare il viso nell'incavo del suo collo e lasciarle una scia di baci umidi e di morsi tutt'altro che gentili.
«Hai intenzione di mangiarmi, per caso?» rise lei, cercano di fuggire da tutte quelle attenzioni improvvise.
«Sì» soffiò lui, contro la sua guancia, stringendola più forte al petto.
Stiles cercava un contatto nei modi più strani e frustrati. La sentiva distante, forse perché era sempre più distratta in quei giorni, con la testa tra le nuvole, nonostante l'intimità tra di loro non mancasse.
Qualcosa era cambiato da quando Malia aveva avuto quelle perdite di sangue nel bosco, la prima volta che si erano trovati faccia a faccia con il Darach.
Stiles aveva paura di farle male, adesso. Ai suoi occhi la vita di sua figlia era costantemente a repentaglio, mentre Malia non era più la donna forte e indistruttibile che era abituato a vedere.
Eppure la sera, nel letto, non poteva fare a meno di cercarla. Le accarezzava l'intero corpo, come se volesse memorizzarne ogni curva. La lambiva con le labbra, fino a cedere e lasciarle caldi baci in mezzo alle gambe.
Malia allora ricambiava con le stesse accurate attenzioni, senza potergli concedere di più; ma a Stiles sembrava non bastare mai.
Non era facile dover sopportare quella - seppur sottile - distanza, per due come loro abituati ad amarsi in modo semplice ogni qual volta ne sentissero il bisogno.
Malia si allungò per raggiungere le labbra di suo marito, dimenticandosi del libro che aveva ancora sulle gambe e che cadde sul pavimento rivelando un foglio spiegazzato.
«Che cos'hai lì?» volle sapere Stiles, a cui non era sfuggito nonostante lei si fosse sbrigata a raccoglierlo da terra.
«Niente di importante» rispose Malia, nascondendo ciò che aveva tra le mani alla sua vista.
Stiles rise «Dai, fammi vedere» insisté, sporgendosi verso di lei e prendendo ciò che cercava di nascondere.
Si ritrovò con in mano una lettera che recava il timbro di Eichen House.
L'espressione di Stiles si fece subito seria.
«Cosa vuol dire?»
Malia si riappropriò della lettera «Nulla. Riguarda Corinne. Per il funerale... sono l'unica parente prossima che hanno tra i contatti e mi hanno chiesto se volessi...»
«No» la interruppe Stiles. Il suo tono fu categorico.
«Ma...», provò a ribattere.
«Malia, ha tentato di ucciderti. Per la seconda volta. Non si merita nulla da te, men che meno una commemorazione».
«Ci ha dato la chiave per capire cosa vuole il Darach. La sua ultima parola è stata per aiutarci. Senza di lei non avremmo scoperto chi fosse la Grande Regina così facilmente».
Ma Stiles non sembrava toccato dalla cosa, perciò aggiunse: «Non so... ho sempre creduto che se non fosse stata costretta a dividere i suoi poteri con me, forse mi avrebbe in qualche modo amata come sua figlia. Lo so, è stupido...»,
«No. Non è stupido», la fermò subito Stiles, incredulo davanti a tali parole.
Malia sospirò, poggiandosi una mano sulla fronte con aria sconfortata.
Stiles si accovacciò per avere gli occhi alla stessa altezza della donna «Non è stupido, tesoro» ripeté, prendendole una mano tra le sue, senza riuscire a fare a meno di considerare quanto l'essere diventata madre l'avesse cambiata. La Malia ragazza che non faceva avvicinare nessuno, che a malapena aveva fatto avvicinare lui, non avrebbe mai ammesso un sentimento del genere.
Malia abbozzò un sorriso e disse: «Tutti meritano di riposare in pace, Stiles».
Lui si tirò di nuovo su, sbuffando. «A malapena riusciamo ad arrivare a fine mese, Mal. Non possiamo permettercelo», tagliò corto. Seppure lei era riuscita ad intenerirlo, Stiles non sarebbe mai stato capace di concedere a Corinne niente di più che del disprezzo.
Malia arricciò il naso e gli rivolse uno sguardo acuto.
«Non dovrai pensare a nulla e i soldi non saranno un problema» disse e Stiles ebbe la certezza che sua moglie avesse già qualcosa in mente. Qualcosa che lui di certo non avrebbe approvato.
L'uomo chiuse gli occhi e sospirò «Ci penseremo al mio ritorno, okay?».
Malia arcuò le sopracciglia, ma non rispose.
«Stai attento» disse, invece, mordendosi il labbro inferiore. Sarebbe voluta andare con lui, questo era più che evidente.
Stiles cercò di metter su un'espressione rassicurante e le rispose: «Starò con un Alpha davvero molto apprensivo ed arrabbiato. Sono in una botte di ferro, credimi».
L'angolo della bocca della donna si piegò in una smorfia.
Stiles guardò l'orologio da polso e poi sospirò: «Cosa c'è, Mal?».
Lei tentennò prima di rispondere: «Solo... potrebbe non accorgersi del pericolo in tempo».
L'uomo alzò gli occhi al cielo. Malia gli aveva parlato della sua teoria a cui era giunta insieme a Lydia; del fatto che il Darach poteva aver bloccato le visioni della Banshee e "manomesso" i sensi da mannaro suoi e di Scott, ma Stiles si era dimostrato scettico a tale ipotesi, come lo era stato quando Malia gli aveva raccontato di aver visto Deaton al cimitero.
«Da quel che mi risulta sei ancora un Coyote Mannaro e non una Banshee. Lascia che dei morti se ne occupi Lydia» le aveva detto il giorno stesso per poi doversi rimangiare quelle parole quando avevano scoperto che Morrigan non era altri che la Grande Regina presagita proprio dal defunto Deaton.
«In tal caso ho nella manica anche un Mastino Infernale e una Banshee pronta a esplodere» le disse e Malia annuì, rassegnata. Non poteva farci nulla, Stiles non l'avrebbe mai fatta andare con loro.
Era un disco rotto di preoccupazioni e premure che esasperavano Malia. Forse in un'altra situazione le avrebbe trovate dolci e le avrebbe persino adorate; ma non era il momento per simili attenzioni, quello.
Se davvero i cadaveri erano già tre, forse non sarebbero riusciti ad evitare il pericolo prima della catastrofe.

The Red Crow [ Teen Wolf Fanfiction ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora