IV. Darach

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«Allison Lorraine Parrish!» tuonò Lydia tanto forte da far tremare le fondamenta della casa. Qualsiasi persona ne sarebbe stata facilmente terrorizzata, ma non sua figlia.
Quando si affacciò nella cameretta di Allie, la bambina le rivolse un sorrisino furbo, accompagnato da uno sguardo zuccheroso.
Lydia si dimenticò quasi all'istante di doverla sgridare, incrociò invece le braccia al petto e, con voce già più calma, disse: «Non hai ancora riposto i giocattoli. E ho trovato pezzi della tua merenda ad ammuffire sotto il divano!».
Allie abbozzò un sorriso che di dispiaciuto aveva ben poco e poi tornò ad imbrattare il suo foglio da disegno con tutti i colori che aveva a disposizione.
Lydia sospirò, chiedendosi tra sé come sua figlia potesse essere anche più testarda di lei.
«Dai, mettiti il giacchetto e andiamo all'asilo. Se non ci sbrighiamo chiuderanno i cancelli».
Allie le rivolse una smorfia, senza accennare a voler lasciare andare i pastelli: «Prima devo finire il disegno», si lagnò, infatti.
Lydia stava per ribattere quando Jordan le venne vicino.
Aveva l'aspetto trasandato, la barba di qualche giorno e indossava una tuta piuttosto logora che Lydia non ricordava di aver più lavato da un bel po'. Sembrava che nemmeno quel giorno avesse intenzione di andare a lavoro.
Una sorta di muro del silenzio li divideva da quando avevano discusso. Non si scambiavano più che qualche parola al giorno: mai erano stati tanto distanti.
Sentì un nodo alla gola nel ricordare lei e Jordan in cucina, lui che urlava fuori di sé mentre i motivi della sua rabbia divenivano per la donna dolorosamente chiari.
Ora Jordan evitava persino di guardarla negli occhi e Lydia non aveva più trovato la forza necessaria per ritornare sull'argomento.
«Lasciala a casa» disse con voce rauca. Sembrava stanco, a un passo dal crollare per il sonno arretrato.
«Ci penso io a lei», assicurò entrando nella cameretta e sedendosi sul lettino di Allie, per tenerla d'occhio mentre disegnava.
La bambina lo seguì con lo sguardo, ma non gli corse in contro per saltargli addosso e abbracciarlo come faceva sempre. Eppure sembrava tranquilla e piuttosto contenta del fatto che avrebbe potuto finire i suoi scarabocchi con tutta calma.
Lydia guardò suo marito, esitante, prima di annuire senza però nascondere la preoccupazione nel suo sguardo.
Si avvicinò a sua figlia per salutarla, la abbracciò e le baciò il viso. Jordan continuava a fissare le spalle di Allie, assumendo uno stato di trance che la fece rabbrividire.
Lydia lasciò la stanza, chiudendo dietro di sé la porta, quando gli occhi di Jordan si fecero di un arancio infuocato.


***


Malia, Kira e Lydia si incontravano due volte alla settimana al Caffé di Beacon Hills per fare colazione insieme. Era un'abitudine che piaceva seguire a tutte e tre, una breve pausa dalla famiglia, dalla casa e dal lavoro, ma – soprattutto – una ricorrenza che impediva agli impegni giornalieri di farle perdere di vista. Cosa che – a dispetto delle apparenze – sembrava succedere fin troppo facilmente.
Quando Kira arrivò trovò Malia già seduta al tavolo. Si ostinava a indossare magliette e felpe di Stiles anche per uscire, nonostante sia lei che Lydia le avevano regalato svariati vestiti dismessi delle loro precedenti gravidanze.
Quella mattina indossava una camicia di flanella del marito, quella a quadri rossa e blu che lui metteva dopo il lavoro, quando poteva finalmente togliersi l'uniforme.
Condividere l'armadio era stata la causa del loro primo serio litigio quando erano finalmente andati a convivere insieme: molti degli abiti di Malia si confondevano con quelli di Stiles; per lei non vi era poi tanta differenza, ma lui non era affatto felice di ritrovarsi incastrato dentro magliette cui non riusciva a far passare neppure le braccia.
Mentre aspettavano l'arrivo di Lydia ordinarono un caffé e un succo di frutta e iniziarono a chiacchierare del più e del meno.
Malia cercava di indirizzare la conversazione verso l'omicidio di cui Stiles non le aveva fornito altri dettagli, ma Scott aveva detto chiaro e tondo a Kira che Stiles non voleva farle sapere ancora nulla dei loro sospetti riguardo al Darach, almeno finché non ne sarebbero stati assolutamente certi. Così Kira continuò a mantenersi su un territorio neutrale, nella speranza che Lydia giungesse presto.
«... e poi Stiles si comporta in modo strano. Torna a notte fonda e la mattina è sempre di corsa. Sono giorni che non riesco ad avere una conversazione seria con lui. Ogni volta che provo a chiamarlo scatta la segreteria e ai messaggi risponde sempre con degli stupidi smile. Vorrei strangolarlo!», si lamentò Malia, dato che l'amica non sembrava darle corda.
Kira prese tempo, zuccherando con calma il proprio caffè, poi si limitò a rivolgerle un sorriso comprensivo e, con tutta l'innocenza possibile, tentò di cambiare nuovamente argomento, chiedendole: «Ormai hai quasi terminato il secondo trimestre di gestazione, giusto? Già inizi a sentirti affaticata?».
Finalmente Malia sembrò cedere e, con una smorfia, rispose: «Più che altro mi sento annoiata. Sono appena entrata in maternità e già non vedo l'ora di tornare a lavoro. Non so proprio come tu riesca a stare tutto il giorno in casa: io mi sento soffocare».
Solo in un secondo momento Malia si rese conto di quale espressione avesse assunto il volto di Kira.
Si allungò sul tavolino per stringerle il braccio «Ehi, lo sai che non era una critica, vero?».
Kira annuì: sarebbe stata una sciocca a offendersi per così poco, conoscendo quanta semplice ingenuità viveva dietro le parole di Malia. Eppure non fu capace di mandar giù quel magone che le era salito in gola.
«No, hai ragione tu. È una routine noiosa e spesso claustrofobica, che molte volte faccio fatica a sopportare. Ma poi penso ai bambini e l'idea di perdermi anche un solo attimo di quella routine mi toglie il respiro», strinse le labbra, come se volesse impedirsi di dire troppo. Per un momento pensò che sarebbe stato più facile lasciare che Malia le facesse tutte quelle domande insistenti sull'omicidio.
«Malia, alcune volte penso di aver sbagliato tutto. È arrivato tutto troppo presto» Kira, alla fine, esplose come un fiume in piena che non poteva più resistere entro gli argini, vomitò le paure che si teneva dentro e che la avvelenavano da chissà quanto tempo. Forse perché sapeva che Malia in fondo si era già accorta di qualcosa o forse per il senso di colpa che ormai la divorava o, semplicemente, perché non riusciva proprio più a nascondere quello che sentiva.
«Sono notti che non dormo. Amo Scott e amo i miei figli, ma vedo tutto questo enormemente sbagliato. Invecchieranno e moriranno e io starò lì con loro, ancora giovane, a veder questo succedere. Quale persona vorrebbe ciò? Voi tutti morirete mentre io resterò qui, sola, per altri novecento anni o forse anche di più e... non posso farcela», abbassò gli occhi, perché lo sguardo comprensivo di Malia la faceva sentire anche peggio.
Un singhiozzo sordo la scosse, prima di continuare in un mugugno quasi soffocato: «Adam ha già cinque anni, ti rendi conto? Il tempo sta passando così in fretta, ma non è nulla paragonato a quello che resta a me. Scott ne vorrebbe altri, lo dice tutti i giorni. Oddio, lui metterebbe su un'intera squadra di Lacrosse se potesse», a quel pensiero Kira rise tra lacrime che avevano iniziato a bagnarle le guance senza che se ne rendesse neppure conto, «Ma non capisce che per me non sarebbe crescere dei figli, ma come amare parti di me già morte», la voce della donna si spense con quell'ultima frase.
Malia, nonostante avesse notato da tempo la malinconia in fondo agli occhi scuri di Kira, non avrebbe mai immaginato quali tormenti si celassero dietro e si lasciò commuovere facilmente dalle sue parole.
In quel momento arrivò Lydia, la quale si bloccò sconvolta nel vederle.
Le due amiche si stavano guardando, in lacrime, tenendosi per mano in muto sostegno.
«Ma che diavolo sta succedendo qui?».

The Red Crow [ Teen Wolf Fanfiction ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora