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I suoi arti si erano fatti improvvisamente più corti e più incerti, assomigliavano molto a quelli di un neonato... Ma, aspetta un momento... pensò la ragazza agitando lievemente le braccia e le gambe, io sono un neonato!
E quella non era l'unica bizzarria: i fiori e le piante avevano creato una specie di barriera intorno a lei, facendola sentire incredibilmente protetta. Alcuni animali le si avvicinarono per poi inchinarsi al suo cospetto.
Un cervo si accostò alla culla di piante per poi osservarla con curiosità. Un'animale così fiero ed imponente, meraviglioso. Tutto ad un trattò, la creatura iniziò a parlare con una voce a lei famigliare, una voce tutt'altro che meravigliosa.
"Signorina Collins, vedo che la mia lezione la sta prendendo molto!"
Perché il cervo ha la voce della professoressa di biologia? si domandò perplessa la ragazza, che cosa inquietante!
"Signorina Collins, vuole svegliarsi?!"
Improvvisamente, ogni cosa intorno a lei divenne sfocata e confusa. Si sentì girare vorticosamente, come se una tromba d'aria l'avesse attirata al suo interno. Gli animali e le piante sparirono velocemente, finché non riuscì più a distinguere nulla. La pace era finita.
Quando aprì gli occhi e notò la finestra che dava sul cortile della scuola, capì di trovarsi in guai seri. Si era addormentata sul banco, di nuovo. E la professoressa Morris non sembrava  affatto intenzionata a perdonarla per l'ennesima volta.
Ma la cosa peggiore era che la ragazza, nonostante l'insegnante fosse furibonda, dopo il sogno che aveva fatto non riusciva a prenderla sul serio: davanti a lei non si trovava una donna di quarant'anni, occhialuta e magra come un chiodo, bensì un cervo alquanto accigliato.
La giovane non riusciva a levarsi dalla mente il sogno assurdo che aveva fatto, e dovette compiere uno sforzo madornale per non scoppiare a ridere in faccia alla donna, peggiorando ulteriormente la sua situazione.
Un suono acuto la fece sospirare di sollievo. Salvata dalla campanella.
Tutti i ragazzi si alzarono in piedi per poi sparire nei corridoi in pochi istanti.
Abigail tentò di fare lo stesso, ma non fu abbastanza veloce. Quando era ormai a pochi passi dalla porta una voce femminile la richiamò.
"Gradirei che dormisse di più a casa e meno durante le mie lezioni, Collins."
"Mi scusi professoressa..." disse la giovane indietreggiando in direzione della porta "lei ha perfettamente ragione, sono davvero imperdonabile. Ma se non mi sbrigo non riuscirò a trovare un posto libero in mensa, perciò..."
"Collins?"
"Si?"
"Che sia l'ultima volta..." sussurò la donna a denti stretti, dopodichè la congedò con un gesto della mano.
La ragazza non se lo fece ripetere una seconda volta e schizzò fuori dalla classe.
Si appogiò ad un'armadietto e si passò le mani sul volto un paio di volte, non si era ancora ripresa del tutto dal suo inaspettato sonellino. Doveva smetterla di combinarne una dietro l'altra. Ma era ormai da un paio di notti che non riusciva a chiudere occhio. Si sentiva strana, irrequieta.
Abigail scosse la testa, quasi a voler scacciare quei pensieri.
Posò la mano destra sul suo collo, per poi iniziare a tracciare con delicatezza i contorni di quel segno violaceo. I ricordi della sera precedente riaffiorarono nella sua mente. Non sapeva dire con certezza se fosse innamorata o meno, ma lui era una tra le poche persone che la facevano sentire se stessa. Lui non era fuggito difronte al suo carattere di merda. Lui era l'unico in quella scuola, piena di persone ottuse e pettegole, a ridarle un minimo di speranza nel genere umano.
La ragazza si staccò svogliatamente dall'armadietto per poi controllare l'ora.
Cazzo!
Mancavano solamente otto minuti al suono della campanella è lei non aveva ancora messo nulla sotto i denti.
Attraversò quel tratto di corridoio deserto quasi di corsa, inciampando un paio di volte sul nulla. I suoi passi veloci rimbombavano nel silenzio più totale. Dannazione, erano già tutti in mensa!  La giovane si fermò di botto davanti alla grande porta blu.
Ed eccolo lì, in tutto il suo splendore. I capelli biondo cenere, spettinati gli davano un'aria sbarazzina. Indossava una delle sue solite magliette bianche, sulle spalle la giacca della squadra di football. Si mise a ridere per qualcosa che aveva detto un suo amico, ma era una risata diversa, aveva del finto.
Abigail si avvicinò al ragazzo con passo spedito. Non si sentiva a suo agio tra i suoi compagni di scuola, ma si rifiutava di darlo a vedere.
Notò subito che alcuni di loro erano ammassati sul pc dell'aula di storia. Sospirò frustrata. Cosa poteva mai esserci di così interessante da tenerli attaccati a quel vecchio catorcio? Nessuno si avvicinava al computer di quella classe perchè era fancamente un pericolo per chiunque provasse ad usarlo, tra una scossa e l'altra. Tuttavia la preside Scott continuava a sostenere che quel rottame fosse più che sicuro e che di conseguenza non c'era alcun bisogno di sperperare denaro per acquistarne uno nuovo, meglio comprare dei nuovi pon-pon per la squadra delle cheerleaders!
"Josh"gridò la ragazza, cercando di sovrastare il vociferare degli altri studenti.
Gli occhi del giovane saettarono subito nella sua direzione. Si alzò di scatto e corse verso di lei, trascinandola fuori dalla mensa.
"Ma che fai? Ho fame!" disse Abigail irritata.
Josh le fece un sorriso tirato, così falso che le fece venire la pelle d'oca.
"T-ti va se andiamo a fare un giro, invece?" chiese titubante e, senza nemmeno aspettare una risposta, si avviò in direzione del giardino.
C'era qualcosa che non andava. Era troppo agitato, insicuro.
Lo raggiunse con lunghe falcate per poi farlo voltare, afferrandolo con poca delicatezza per un braccio. Ora erano l'uno difronte all'altra, in silenzio. Il ragazzo guardava la proprie scarpe, più che deciso che mai a non incontrare lo sguardo della giovane.
"Che succede?" domandò Abigail con una calma che non credeva di possedere.
Fu in quel istante, in quel preciso istante che la ragazza capì che Josh l'aveva combinata grossa.
"Che hai fatto Josh?" gridò in preda al panico vedendo le lacrime del ragazzo.
"I-io... Abigail ti prego credimi, non volevo. Loro mi davano dello sfigato ed io mi sono lasciato manipolare" esclamò il  giovane con la voce tremante ed il terrore impresso nello sguardo. Il terrore di perderla.
"Cosa cazzo hai fatto, Josh?"
Lui le passò il telefono con le mani tremanti.
Un video. Aveva fatto un maledettissimo video della notte passata insieme.
Non avrebbe dovuto fidarsi. Si era fidata e cos'aveva ottenuto? Una macchia indelebile sul ricordo della sua prima volta.
Il cellulare cadde a terra. Era tutto finto, una falsa. Una lacrima silenziosa le rigò il volto.
"A-Abigail i-io..."
"I ragazzi in mensa stanno guardando questo, vero?"
Gli sguardi dei due si incrociarono ed Abigail capì all'istante di averci azzeccato.
All'improvviso la tristezza e la delusione lasciarono posto alla rabbia. Una rabbia che era consapevole di non saper gestire. Doveva andarsene, immediatamente.
La campanella suonò emettendo un suono che alle orecchie di Abigail sembrò più acuto del solito. Tutti suoi sensi si stavano amplificando ed il vociferare degli studenti divenne insopportabile. Stava perdendo il controllo sui suoi poteri e purtroppo, la sua rabbia, invece di placarsi, continuava ad aumentare.
Si voltò ed iniziò a correre, cercando di farsi strada tra la folla di adolescenti appena usciti dalla mensa. Troppe parole, troppe risate. Avrebbe voluto fermarsi e staccare la testa a tutti. Qualsiasi ragazza nella sua situazione avrebbe voluto fare lo stesso. L'unica differenza era che lei ce l'avrebbe fatta con un singolo movimento del braccio.
Arrivò al parcheggio e si fermò un istante per fare dei respiri profondi, tentando di calmarsi.
"Abigail!"
"Josh, allontanati da me!" gridò in preda al panico.
Il ragazzo le si avvicinò e lei non ci vide più dalla rabbia. Afferrò la sua borsa con entrambe le mani e lo colpì in faccia, con tutta la forza che aveva in corpo. Poi si mise a correre, doveva mettere la maggior distanza possibile tra loro due. Corse senza guardarsi indietro e si fermò solamente quando le mancò il fiato.
Solo dopo essersi ripresa un minimo iniziò a guardarsi attorno con una mano sul cuore. Era a pochi passi dalla stazione della metropolitana. Proprio difronte alle scale del sottopassaggio.
Aveva bisogno di buttare fuori tutta la sua ira, non riusciva più a controllarsi. Avrebbe perso il controllo da un momento all'altro.
Cominciò a scendere di corsa le scale. Mancavano ormai pochi scalini quando andò a sbattere contro qualcuno. Qualcuno che un istante prima non c'era. Abigail alzò lo sguardo, incontrando due occhi scuri come la pece.
"Levati" sibilò la ragazza. Non aveva più tempo.
"Qualcuno dovrebbe insegnanti l'educazione, ragazzina" disse il ragazzo con uno sguardo tutt'altro che amichevole. Alcune ciocche di capelli gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Aveva dei lineamenti duri e pronunciati.
"Ti ho detto di levarti" gridò sentendo il controllo abbandonarla lentamente.
Lo spinse di lato e continuò a correre.
Poi successe tutto in un istante. Cadde in ginocchio, sentendo un dolore allucinante al petto. Era come se ogni singolo nervo del suo corpo stesse bruciando. Non ce la fece più, la consapevolezza di non poter più tenere tutto quel potere distruttivo dentro di se le arrivò  come una secchiata d'acqua gelida. Così fece l'unica cosa che le restava da fare in quella stazione deserta: urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Sentì il pavimento e le pareti tremare e sgretolarsi, ma non smise di urlare. Quando si rese conto che il soffitto stava per crollarle addosso, si portò le braccia al petto e sperò con tutta se stessa di riuscire a teletrasportarsi a casa, prima di morire schiacciata.
Quella volta non sarebbe stata semplicemente sospesa per una o due settimane. Quella volta l'aveva combinata grossa.

Abigail e l'ombra del donoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora