CAPITOLO 2.

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Le sue gambe imploravano pietà, stremate dalla lunga corsa. Quel pomeriggio si erano presentati dei poliziotti, dicevano di aver trovato un anello sulla scena del crimine e che sopra c'erano le sue impronte digitali. Lei aveva sentito tutto e prima che potessero essere scortati nella sua stanza lei se l'era già data a gambe, ma sapeva che loro gli stavano dietro. Il cuore le palpitava impazzito nel petto e non per lo sforzo, erano rare le volte in cui aveva paura, non le capitava di essere impaurita da tempo, ma in quell'occasione era terrorizzata. Si sentiva come un cerbiatto che cerca di sfuggire ai segugi dei cacciatori, doveva correre per salvarsi, cercare un posto sicuro in cui rifugiarsi e pregare che le sue tracce andassero perse. Si sentiva maledettamente stupida ad aver commesso un errore sciocco come quello, lasciare il suo anello nella macchina della vittima, quell'errore le sarebbe potuto costare molto caro.
Un barlume di speranza si fece strada in lei quando vide la sagoma di un edificio abbandonato, sembrava una fattoria. Svoltò immediatamente a destra per raggiungerlo e vi si precipitò dentro, accasciandosi al suolo per la fatica. Le gambe le tremavano per il ritmo con cui aveva corso, il cuore sembrava volesse uscirle dalla cassa toracica ed i suoi polmoni chiedevano di poter respirare forte e a lungo.
L'odore della vernice e della muffa le intasavano le narici e l'ambiente era decisamente squallido, sembrava un cimitero per auto quel posto, infatti era possibile intravedere i gusci vuoti di alcuni mezzi messi lì a casaccio.
Prima di potersi rialzare e studiare il posto sentì alcuni rumori, poi due braccia che la circondavano.

-La mamma non ti ha mai detto di stare lontana dai luoghi sperduti mocciosa?- le sussurrò il suo aggressore senza nascondere della cattiveria nella sua voce.

Era sorpresa, di chi diamine poteva trattarsi?
Non appena sentì una lama che faceva sempre più pressione sulla sua gola, la confusione lasciò spazio all'istinto di sopravvivenza e sferrando una gomitata all'uomo dietro di lei si liberò. Si munì del suo coltello, l'unica cosa che era riuscita ad afferrare prima di scappare.
Si prese del tempo per studiare il suo avversario, era alto, doveva sovrastarla di circa dieci centimetri e di corporatura media, il suo volto era coperto dal cappuccio della felpa bianca che era ricoperta da alcuni schizzi di sangue, cosi come i lerci jeans neri.
Si affrettò a puntargli il coltello contro e l'uomo imitò il suo gesto, mentre si fronteggiavano guardinghi.
L'aggressore decise di rivelare il suo volto, facendo ricadere il cappuccio sulle spalle. I capelli corvini erano scompigliati e gli ricadevano fino alle spalle, in contrasto con la pelle chiarissima, quasi cadaverica dell'individuo, i suoi occhi erano azzurri così chiari e glaciali da richiamare il colore del ghiaccio, ma il particolare che attirò la ragazza fu il suo sorriso, in realtà costituito da due enormi cicatrici che partivano dalla bocca fino ad arrivare agli zigomi.

"Jeff the killer sfigura le sue vittime, incidendo dei sorrisi sui loro volti".
Le parole della giornalista le rimbombarono nella mente, facendola arrivare alla conclusione che doveva avere davanti una delle vittime di Jeff. Quasi come se avesse ricevuto una scarica elettrica il suo corpo iniziò a vibrare, desideroso di cominciare la lotta e così fu. Gli si scagliò contro ed entrambi finirono a terra, mentre lei stava per trafiggergli il torace con la sua arma, l'arma di lui si conficcò nella sua gamba, rigirando il coltello nella piaga, facendola urlare per il dolore. Approfittando del momento di debolezza di Charity, il ragazzo ribaltò la situazione, schiacciandola a terra col suo peso e rivolgendogli uno dei suoi sorrisi più macabri, pronto ad ucciderla.
Prima che potesse finirla delle sirene squarciarono il silenzio, la polizia era lì.

-Ti conviene interrompere la lotta se non vuoi finire in galera- borbottò lei.

-Tu, piccola stronza- sputò lui con rabbia.

Tuttavia era dotato di buon senso e prima che i poliziotti facessero irruzione nell'edificio si sollevò da lei, non prima di averla fulminata con lo sguardo.

-C'è un posto per nascondersi qui?- domandò Charity, alzatasi da terra.

Il ragazzo la ignorò, sapeva benissimo dove nascondersi, ma non trovava ragioni per dirglielo, d'altronde era solo una mocciosa che lo aveva sfidato. Si avviò verso il suo nascondiglio e Charity, la quale era molto più testarda di lui lo seguì, consapevole che non avrebbe potuto fare mosse azzardate fin quando i poliziotti non se ne fossero andati. Il nascondiglio non si rivelò altro se non una comunissima botola, i due vi si infilarono dentro ed il ragazzo spiò la situazione.
Gli uomini della polizia erano solo due ed ispezionavano l'ambiente con delle torce, non si erano minimamente accorti della loro presenza.
Fu allora che lui abbandonò il loro nascondiglio sotto lo sguardo perplesso di lei e ridendo come un pazzo si piazzò davanti l'ingresso dove i due poliziotti si stavano dirigendo. Quella risata fece rabbrividire persino Charity, era maniacale, la risata di un pazz, un po' come quelle che si sentivano nei film horror, forse anche peggio. Un uomo baffuto puntò la torcia contro il ragazzo, rivelando il suo vero aspetto finora celato dall'ombra.

-Jeffrey Woods...- balbettò, lasciando cadere il congegno elettronico a terra per lo shock.

Jeffrey annuì e sorrise compiaciuto non appena vide il terrore dipingersi sul viso dei due uomini. Non gli importava minimamente che fossero armati, che fossero in superiorità numerica e che potesse finire ammazzato in quello scontro, lui voleva ucciderli, voleva affondare la sua lama nel cuore pulsante di quei due.
Incurante di avere una pistola puntata contro avanzò fino all'uomo baffuto che aveva balbettato il suo nome di battesimo.

-Io non sono Jeffrey Woods- dichiarò rabbioso.

Nei suoi occhi si poteva leggere pura follia, sembrava un demone, un demone crudele e senza cuore.

-Io sono Jeff the killer- concluse, tranciando di netto la gola all'uomo.

Prima che il suo collega potesse reagire Jeff si affrettò ad uccidere barbaramente anche lui. Charity uscì dal suo nascondiglio e lo guardò sconvolta mentre leccava la lama del coltello ed assaporava il sangue dei due malcapitati. Com'era possibile che quei due fossero rimasti immobilizzati al solo sguardo di Jeff? Perché Jeff si era voluto lanciare in quello scontro suicida? Era matto, era totalmente privo di senno. Ed era anche lo stronzo che le aveva rubato la scena.
La minaccia era solo momentaneamente sospesa, altri poliziotti si sarebbero messi sulle loro tracce e lei non poteva rimanere in quel posto per sempre, sapeva bene andare.
Vide il ragazzo catapultarsi fuori ed infilarsi svelto nella volante della polizia. Non si sarebbe fregato la sua unica opportunità di fuga. Prima che questo potesse mettere in moto la macchina, riuscì a salire a bordo, guadagnandosi l'occhiata carica di odio del killer.

-Ascoltami bene, nanerottola, ora scendi e te ne vai per fatti tuoi, prima che ti uccida- minacciò lui.

-Scendi tu dalla macchina o ti uccido io- ribatté lei a tono.

Nessuno dei due sembrava voler mollare l'auto, così dopo aver realizzato che perdere tempo in quel modo gli sarebbe costato solo la vita Charity avanzò la sua proposta.

-Ti offro un posto sicuro dove stare, basta che metti in moto questa cazzo di macchina!- esclamò frettolosa.

Jeff inarcò un sopracciglio, davvero credeva di poter contrattare con lui? L'idea di ucciderla si faceva sempre più invitante nella sua mente.

-Nessuno ci cercherà lì- lo incalzò.

In fondo quella proposta era allettante, l'idea di un rifugio sicuro non gli dispiaceva affatto e se quella mocciosa gli dava fastidio avrebbe potuto ammazzarla quando voleva.

-Dove si va?- domandò, accendendo il motore.

-Boston.


Insanity ||Jeff The Killer.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora