Chapter 3

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Raccattai tutti i libri sparsi sul letto e misi un po' di musica come sottofondo facendo partire "Mercy" dei Muse, una delle mie band preferite. Andai in bagno con l'intenzione di fare una bella doccia, aprii l'acqua e mi spogliai. Entrai nella doccia, mi insaponai per bene e mi lavai i capelli. Una volta uscita, mi coprii con un asciugamano, mentre con uno più piccolo mi feci un turbante per scolare i capelli. Indossai l'intimo nero e cercai di pettinarmi, erano davvero annodati, ci misi circa 10 minuti prima di riuscire a strecciarli, li asciugai, presi una maglietta e dei pantaloncini che usavo per stare in casa e mi vestii in tempo per sentire mia nonna dire che era pronta la pizza. Corsi giù, mia sorella doveva avermi preceduto perché sentivo bisticciare dalla camera in fondo al corridoio ed andai a vedere. Aprii lentamente la porta e trovai Beatrice e mia zia che stavano discutendo su cosa avesse dovuto indossare quest'ultima sopra la canotta, 'sono proprio incorreggibili', pensai.

«Calme voi due, dite alla Cate di cosa avete bisogno e lei risolverà i vostri dubbi.» dissi facendo spuntare un sorriso furbo. Loro si girarono sorprese verso la fonte della voce e smisero di parlare. Mia zia affondò la testa nell'armadio e tirò fuori due grucce.

«La Bea dice che dovrei mettere la giacca argentata per riprendere il colore della pochette, ma io invece sostengo di dover indossare al giacca nera corta e stroncata. Tu cosa ne dici Miss Gurudellamoda?» disse con un sorrisetto sul viso e reggendomi il gioco. Mia sorella intanto mi stava indicando silenziosamente di scegliere quella argento in tutti modi possibili e facendo delle facce buffe.

«Anche io dico quella argento: ti sta meglio, riprende la pochette e stacca dal nero dei pantaloni e della canotta.» sentenziai io. Mia sorella disse che aveva ragione e iniziarono a battibeccare di nuovo, quando finirono lei mi ringraziò silenziosamente perché odiava la giacca nera. Io non riuscii a trattenermi e mi scappò una piccola risata.

«Comunque voi due siete un'associazione a delinquere, adesso andate a mangiare perché se no la nonna non la smette più di chiamarvi.» disse mia zia mentre mia nonna ci richiamava per l'ennesima volta. Io e mia sorella le facemmo la linguaccia e ci andammo a sedere a tavola.

Nello stesso momento in cui prendemmo posto sentimmo il portone aprirsi e la voce dei miei genitori provenire dall'ingresso. I loro volti fecero capolino dalla porta della cucina, noi li salutammo in coro intanto che andarono a posare le loro cose in salotto e poi ci raggiunsero. Mia mamma mi salutò con un bacio sulla guancia e mio padre con uno sula fronte, lo stesso fecero con mia sorella e poi presero posto a tavola dove la pizza era già stata sfornata dalla super nonna. (E' così ragazzi, le nonne romagnole sono le migliori, infatti noi abitavamo a nella campagna della piccola città di Misano Adriatico, vicino a Riccione.) 

«Sono stanchissima, pettinare quella sposa più tutte le sue damigelle è stato un parto.» esordì mia mamma assumendo una faccia esausta. Lei era una parrucchiera favolosa, adorava il suo lavoro, ci metteva tanta passione e lo faceva sin da quando aveva tredici anni. Tutti sostenevano che io ero la sua fotocopia di quando lei aveva la mia età, a parte i capelli corti e ricci che lei aveva tinto di rosso fin da quando aveva sedici anni. Lei era davvero una persona fantastica: bellissima, intelligente, buona, gentile, spiritosa, sempre presente, severa quando serviva e una delle mie migliori amiche.

«Vuoi venire ad aver a che fare con degli architetti che non ti ascoltano mai e che fanno sempre quello che gli pare? Da questo punto di vista capisco il tuo essere esausti perché gli architetti nella maggior parte sono degli inetti, quindi concordo con te Simo nel dire che sono esausto.» rispose mio padre sogghignando, sapeva benissimo che io stavo studiando per diventare architetto e ogni volta che ne aveva la possibilità mi punzecchiava.

«Non ti rispondo a tono perché ho finito di mangiare e devo correre a prepararmi che sono in ritardo.» risposi facendogli la linguaccia, mio padre rise e mi disse: «Lo sai che scherzo Chicca, non ti farò mai diventare così, diventerai un bravissimo architetto perché ci sarò io a farti da supervisore.» adoravo quando mi chiamava così e solo lui mi poteva affibbiare quel soprannome, era una cosa nostra.

Guitar // Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora