Chapter 11

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«Bea pronta per oggi?» chiesi io a mia sorella, che si stava mettendo le scarpe.

«Io sono nata pronta Cate.» mi rispose convinta, mentre io ridacchiai.

«Io sono entusiasta e nervosa, forse anche più di Marco.» ripresi io, giocando con il mio anello. Ero solita a farlo in momenti in cui non ero tranquilla, l'anello che torturavo era quello al mio anulare destro, me lo avevano regalato i miei genitori per il mio dodicesimo compleanno e non l'avevo più tolto da allora. Lo consideravo il mio portafortuna.

«Marco andrà benissimo, lo sai meglio di me che è nato per fare questo, ha un talento innaturale.» mi disse Bea, mettendomi una mano sulla spalla ed io annuii. Ma quel giorno avvertii un brutto presentimento, ed io di solito non sbagliavo quasi mai, ma questo non lo dissi a nessuno.

Poco dopo Alessandro ci passò a prendere per portarci al circuito, dove tutti ci stavano aspettando. Non mancava nessuno: i nostri cugini, i nostri genitori, i nostri zii, tutti lì per vedere supportare Marco. Lui stava seduto con le cuffiette sulla sua sedia e gli occhi chiusi per concentrarsi. Mi sedetti al suo fianco, in silenzio, lui si accorse di me perché gli presi delicatamente la mano e intrecciai le nostre dita. Aprì gli occhi, si girò verso di me con un sorriso ed io gli risposi nello stesso modo. Si tolse le cuffie e mi abbracciò.

«Sei venuta.» sussurrò Marco tra i miei capelli.

«Come potevo mancare, sai che ci sarò sempre.» gli risposi io.

«Lo so e poi sei il mio portafortuna.» sorrise.

Poi venne chiamato da sua madre ed io rimasi lì a guardare il box pieno di persone.

Mi risvegliai di soprassalto. Non poteva essere successo di nuovo, era ormai un mese che gli incubi non mi facevano visita. Il mio cuore batteva all'impazzata e il mio respiro era accelerato, le mani mi tremavano e non mi accorsi di piangere finché una lacrima non mi bagnò le labbra. Guardai l'ora: l'orologio segnava le 3:33.

'Qualcuno ce l'ha davvero con me allora, dovevo anche vedere quel numero', pensai.

Mi alzai dal letto, aprii la porta lentamente per non fare rumore e mi diressi verso il bagno. Mi lavai la faccia e poi mi diressi in cucina per farmi una camomilla, dovevo assolutamente calmarmi.

Ritornai nella mia stanza con la tazza fumante tra le mani e mi sedetti sul piccolo divano incorporato alla finestra a guardare fuori (modestamente quella era una delle mie invenzioni e avevo fatto con le mani e con i piedi per potermelo far installare). Pensai a tutte le giornate passate insieme e cercai con lo sguardo la nostra costellazione, eccola lì: Ercole. Ogni volta che facevo un incubo, guardavo quelle stelle, era il mio modo di sentirlo vicino. Adoravamo entrambi la mitologia greca e ripensai a tutte le volte che da bambini costruivamo fortini nel suo salotto e ci mettevamo a leggerli con la pila, poco dopo si aggiunsero anche mia sorella ed Alessandro alla tradizione. Sorrisi a quel pensiero e un'altra lacrima mi rigò la guancia. 'Adesso, però, calmati e vai a dormire Cate', pensai. Così appoggiai la tazza ormai vuota sulla scrivania, mi rimisi sotto le coperte e mi riaddormentai.

*****

Quella mattina, però, fu la sveglia a destarmi dal sonno. Era mercoledì, il che voleva dire solo una cosa: ESAME. L'ansia si prese, di nuovo, possesso del mio corpo e sapevo non lo avrebbe lasciato fino alla fine dell'orale. Mi feci una bella doccia e ripensai al sogno di quella notte, i brividi scossero tutto il mio corpo, non ero pronta a rivivere quella scena ancora.

Scacciai quei pensieri e finii di sciacquarmi i capelli. Uscii, mi asciugai i capelli, mi misi l'intimo e la crema; poi mi fiondai in camera per decidere cosa mettere, optai per qualcosa di semplice: skinny jeans, maglietta a maniche corte grigia, giacca leggera stroncata nera con le maniche a tre quarti, stivaletti neri bassi senza tacco e borsa nera. Andai in bagno e mi truccai: BB-cream, correttore per le occhiaie, poca cipria, blush pesca, rimmel e rossetto nude, semplice e professionale (almeno dovevo sembrarlo). I capelli, come al solito, mi ricavano ondulati fino alla vita e decisi di arricciare leggermente le due ciocche davanti. Presi tutto il necessario: appunti, telefono, portafoglio e li misi nella borsa; visto che Valentina sarebbe arrivata a minuti, avevo ancora un po' di tempo e decisi di guardare Whatsapp, il risultato? 150 messaggi non letti, la mia famiglia che mi faceva l'in bocca al lupo per oggi, Valentina che mi avvertiva che era partita, Samanta ed Alice che stavano battibeccando sul nostro gruppo, mia sorella che si raccomandava e poi un messaggio mi colse di sorpresa. Risposi a tutti e poi decisi di aprire quello con il mittente non registrato sul mio telefono.

Guitar // Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora