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Quando ti arrendi è difficile accorgersi delle cose che hai intorno. Vivi nei ricordi e a volte neanche in quelli perché ricordare fa soffrire ed io faccio parte di questa seconda categoria. Farei tutto pur di non ricordare i momenti traumatici, le sofferenze, i visi di chi ho perso, i motivi che mi legavano a loro. Cerco di scacciare sempre gli eventi traumatici dai miei occhi, come se non sapessi conviverci ed è ancora così, li riprendo più avanti, quando ciò che mi ha fatto male o spaventato si è assopito un po'. Le persone hanno paura di soffrire,  io di ricordare perché certi ricordi sono marchi perenni ed mi porto dietro già tanti di quei marchi da aver consumato più spazio di quanto fossi disposta a cederne. 

Passò anche novembre, non so come. Arrivò dicembre, il mio mese preferito, il mese del Natale, delle luci e dei pacchetti sotto l'albero. Nessuna è più natalizia di mia madre che addobba la casa, la tavola del salone, crea centro tavola rossi, avvolge le luci intorno alle sue creazioni. Compra decorazioni su decorazioni e pretende di infilarcele tutte su per quel povero albero. Abbiamo scatoloni, borse, valigette di addobbi che ogni anno aumentano. È bellissimo vedere un semplice appartamento trasformarsi nel villaggio di Babbo Natale nel quale i bambini più piccoli si smarriscono contenti perché la zia Anna ha messo tante luci e un Babbo Natale di 50 cm che canta e balla.
Mio padre invece costruisce il presepe e anche quell'anno, cominciando l'8 novembre, ci trovammo all'8 dicembre con  un presepe di due piani, gigante, così bello da stupire chiunque, convinti che in fondo Antonio l'avesse comprato quest'anno, troppo grande, troppo ricco stavolta! E invece no, il salone per un mese fu invaso da sughero, legno, segatura, attrezzi, pacchi di pastori alcuni dei quali appartenenti a suo padre perciò sacri, in ceramica rifiniti a mano, e serie di luci infinite.
L' addobbo dell'albero è sempre stato un mio lavoro e anche quell'anno mi misi di buona lena, sdrotolando collane di lucine, attaccando palline in punti strategici, riempiendolo all'inverosimile come voleva mia mamma. Ogni anno compravamo un nuovo puntale ed ogni anno sbagliavamo la grandezza dell'attaccatura per cui troppo larga o troppo stretta pendeva e incurvava la cima. Il nostro albero era un po' come i quadri appesi al muro, pendente in un angolo. Indossai una maschera per il periodo speciale perché erano già due mesi che davo sofferenza alla mia famiglia e per me già soffrivano da anni. Mi mostravo allegra, propositiva, assicuravo  che m'era passata e invece dentro il petto,  appena sotto qualche lembo di pelle, c'era un vuoto così grande e intriso di dolore da schiacciarmi ma il pregio di chi soffre da tempo è la capacità di crearsi un bagaglio di maschere, ognuna specifica per la situazione in corso. La mia era festosa.

Quando l'ansia mi saliva e mi invadevano dei tic nervosi come schioccare le dita, strapparmi pellicine,  levarmi le cuticole fino a sanguinare (lasciando poi colare il sangue) , agitare la gamba accavallata all'altra e stringere i muscoli dell'interno coscia così forte da formicolarmi dopo un po' e morsicarmi le labbra, prendevo un sacchetto di praline al cioccolato e lo mangiavo . Quelle che si trovano ovunque, di ogni marca e tipo, quelle palline dolci,  di cioccolato gustoso.
Una pralina.
Due praline.
Tre praline.
Sette praline.
Dieci praline.
Quindici...
Venti praline.
TUTTO IL SACCHETTO DI PRALINE.
Poi il vomito.
Entrai in un altro tunnel, quello del vomito autoindotto. I miei tunnel crescevano. Sarei forse arrivata al punto da perderne il conto?

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Come affronta le festività una persona affetta da disturbi alimentari?
Con una mente così satura di pensieri da dolere. 
Quando soffrivo di anoressia piluccavo ciò che ritenevo meno calorico e mi preparavo i pasti da parte, facendo ginnastica ogni volta che mi riusciva, il che voleva dire che, se andavo al bagno, correvo sul posto. Se dicevo di andare a fare un riposino salivo sulla cyclette. Se dicevo di essere stata invitata a bere un caffè con degli amici (cosa non vera) camminavo per km al gelo e spesso sotto la pioggia. Durante le feste le psicosi aumentano, ragion per cui mi ritrovavo più magra di prima dopo. Scheletri che camminano sulla terra.
Ma una che soffre di bulimia?
Ci sono vari casi.
C'è chi mangia tutto, senza rinunciare a nulla e anche oltre il dovuto approfittando della scusa festiva e restringendo drasticamente dal 27 al 31 dicembre tra sensi di colpa schiaccianti e con i piedi fissi sulla bilancia.
C'è chi mangia qua e là, terrorizzata da tutto quel cibo perché troppo e il  cibo per una bulimica non è mai abbastanza, basterebbe dare un morso ad un qualcosa di calorico, ad un dolcino,  per cadere in un lampo in un meccanismo di compensazione e finire col mangiare anche le persone intorno perché "tanto ormai..."
Quel "tanto ormai..."  è la nostra chiave, il nostro cuscino compensativo, il nostro via libero ad ingozzarci il più possibile perché il morso a quel dolce ha rovinato giorni di dieta e il danno è stato fatto, tanto vale la pena mangiare a ruota libera. Perché quindi rinunciare a qualcosa? Per punizione mangiamo fino a scoppiare, se le buste aventi contenuto il cibo fossero state commestibili avremmo mangiato anche quelle.
Facevo parte più del secondo che del primo anche se quell'anno niente aveva sapore. Né gli antipasti sfiziosi preparati da mamma, né le varie portate ogni anno diverse perché le tradizioni culinarie e la fantasia di Annarella non vanno poi molto d'accordo. Pensavo a Valerio.
Cosa faceva?
Mi stava pensando?
Mi avrebbe fatto almeno gli auguri?
Ero sicura di no.
In quei mesi gli ero corsa dietro in ogni modo possibile, sfruttando qualunque carta mi fosse venuta in mente e niente aveva funzionato, cosa mi dava la speranza di ricevere almeno un augurio? 
Infatti così fu, la mezza notte trascorse senza un suo messaggio, notte che trascorsi a piangere e mi svegliai allo stesso modo. Non riuscivo a immaginare un dolore più forte. Le feste non sono fatte per stare con coloro che ami?  Ed il mio amore dov'era allora?
Il giorno di Natale fu pesante per me, non avendo detto a nessuno che c'eravamo lasciati le domande su di lui mi uccidevano dentro ma al tempo stesso dovevo tener su una bella faccia.
Dov'è Valerio?
Già, dov'è?
Come sta?
Già, come sta?

Quella sera mi collegai ad internet, avevo bisogno di distrarmi e la pressa che mi sentivo addosso da parte dei miei familiari era insostenibile.
Dove vai?
Devo distrarmi, sussurrai a mio padre che, zitto zitto quel è il suo carattere capiva sempre tutto.
Fai bene piccola.
Avevo tutte le nostre conversazioni salvate, lo ricordate MSN ?
Avevo tutto salvato di lui,  di noi, ma non riuscivo ad entrare nella cartella perché mi avrebbe fatto del male, ma un male vivo, fisico.
Mi si aprii una conversazione improvvisamente e, contro ogni mia aspettativa, era lui, Valerio.
Voleva farmi gli auguri e la prima cosa che mi venne da scrivere fu: "Con quale coraggio mi scrivi?"
"Volevo solo augurarti buon Natale."
Mi chiese come stessi.
"Come vuoi che stia?"
Volevo staccare perché sapevo che andando oltre avrei sperato e d'un tratto sentivo crescere la rabbia, avrei voluto insultarlo, eppure era il mio amore, avevo sperato in un messaggio, in qualche parola, no?
Certo, ma quando poi arrivano in alcuni casi capisci che sarebbe stato meglio il contrario, non riceverle.
Valerio mi teneva, voleva parlare con me ed il mio petto tremava, le mie mani erano foglie al vento ghiacciate.

Mi turbò moltissimo, quando ci salutammo senza esserci detti niente di concreto ma avendomi lasciata in uno stato d'ansia indescrivibile, presi un sacchetto di praline e lo divorai con lo sguardo perso nel vuoto, bevvi due tazze di latte e caffè, facendo rumore con il cucchiaino mentre scioglievo lo zucchero aggiunto come pioggia. Pucciai nel latte mezzo Pandoro, piluccai i dolci tipici napoletani che neanche mi piacevano ma neanche ne sentivo il sapore. Mangiai quasi senza accorgermene, investita da altri pensieri. Arrivò il mal di stomaco, mi sentii uno schifo. La mente divisa in due: da Valerio e dall' ennesima abbuffata.
La mia vita era un totale schifo.

Valerio tornò a farsi sentire qualche giorno e altri dopo ancora mandandomi in confusione sempre di più. Ricordandomi pezzi della nostra storia.
Ma ti ricordi questo?
Mi ricordo tutto.
Tutto. 
Dentro di me si scatenò piano piano una profonda paura.
Capivo che Valerio stava tornando da me ma io d'un tratto sviluppai una vera e propria fobia nei suoi confronti che non sapevo ancora spiegarmi. C'era qualcosa in me, una grossa parte di me terrorizzata dalla sofferenza. Sarebbe bastato un suo bacio, un suo sorriso storto per farmi capitolare, per farmi dimenticare quei mesi, ma c'era la parte razionale, quella che non mi faceva pensare al paradiso, che non mi avrebbe fatto dimenticare nulla di quei patimenti ma soprattutto, questa parte di me, mi ricordava costantemente che se tendi a scappare sarai tentato sempre, pur tornando a casa, troverai il motivo di scappare ancora. Come avrei fatto allora? Non m'era passato il sentore di un qualcosa accaduto nella sua vita per lasciarmi e,  se m'avesse lasciato ancora?
Mia madre dice " come la mettiamo nome?" in questi casi.
Già, come l'avrei messa nome?

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