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Avere speranza è una prova ardua e difficoltosa.
Non sono mai stata il tipo da focalizzare tutto sulla speranza, spero sempre sì, ma mai al punto da darle tutta me stessa perché poi dopo una speranza fallita resta un amaro deluso in bocca e di sapori sgradevoli ne erano passati sulla lingua però ci provai. Mi promisi che avrei cominciato con uno spirito diverso. Avrei provato a spingermi oltre.

Non mi salvò cominciare un riequilibrio alimentare.
Non mi salvò neanche lo sport.
Mi salvò l'attaccamento alla vita che mi scattò dentro.
Mi salvò il desiderio e il bisogno di vivere, di essere libera. Improvvisamente il mio bisogno di libertà impennò. Avevo troppe catene da trascinarmi.  Come Scrooge, anche io non sapevo di trascinare centinaia e forse migliaia di catene da me stessa forgiate e inanellate le une alle altre. Come Scrooge, anche io avevo ricevuto un messaggio importante. Una via di redenzione, di perdono, di libertà e vita. In qualche modo, la precaria condizione delle ovaie e della mia mente che si stava dirigendo verso il punto di non ritorno, mi avevano detto qualcosa, dato un messaggio e così fatto scattare qualcosa in me.
I miei pensieri ormai mi facevano paura, io stessa mi facevo paura. Tutto quell'odio che sentivo nei miei confronti mi spaventava perché avrei voluto farmi a pezzi e temevo di farlo durante una crisi. Uno stomaco non può reggere all'infinito. Avrei voluto tagliare via le parti che non sopportavo.
Mi chiesi a cosa sarebbe servito sposarsi con un uomo che sì, si amava ma con il quale non si era in grado di fare le cose più semplici come fare shopping insieme senza che mi venisse una crisi.
Forse sto con l'unico uomo al mondo, o comunque con uno dei pochi esemplari, che preferisce fare acquisti più su di me che su di se e non si annoia a starmi dietro per negozi. Ma errata come al solito lo ero io perché, puntualmente, ogni volta che passeggiavamo per negozi, mi veniva una crisi. Durante il periodo più buio, cioè gli ultimi due anni, provavo una paura paralizzante all'idea di dover andare per negozi e comprare vestiti quindi compravo a scatola chiusa, in solitaria, senza misurarmi niente. Meglio questo che le crisi che mi portavano a farmi del male. Misurarmi un capo e non piacermici, poi un altro, costatare la bellezza di tanti pezzi senza che  io potessi poi indossarli, mi faceva scattare violente crisi di pianto e di odio culminanti sempre con una scarica di pugni allo stomaco, ai fianchi e alla pancia. Il mio guardaroba era monocromatico, spento, largo. Non c'era passione in nulla. Al culmine del buio lasciarmi toccare da Valerio era impensabile. L'idea che mi vedesse nuda mi terrorizzava.
Facevamo l'amore a luci spente ma erano più le volte che inventavo  scuse che le volte in cui lo stringevo. Non provavo più nulla, anche in quei momenti pensavo a come stesse la pancia, se vedesse la ritenzione idrica. A come fosse brutto il seno. Alle cosce grosse, ai fianchi larghi.  Non pensavo a lui, a noi. Pensavo a queste cose così squallide in quei momenti ma così dannatamente importanti per me.
Anche questo fu un campanello d'allarme. L'intimità è sempre stata fondamentale, amavo la nostra così forte e mi ero sempre vista e sentita bella tra le sue braccia. Mi davo anima e corpo con tutta la passione e l'amore possibili ma non ci riuscivo più. Avrei evitato quei momenti con piacere. E le bugie? La finzione ? Mi facevo schifo per tutte le bugie dette , per il modo subdolo in cui stavo con lui sperando finisse presto.
Tutte queste cose contribuirono a svegliarmi.

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Internet mi fu molto d'aiuto perché potevo leggere qualsiasi cosa, raggiungere qualsiasi portale. Studiavo il cibo, i processi ai quali era legato. Cominciai dall' ABC, dalle famose piramidi alimentari. Mi iscrivevo a gruppi, a newsletters dei siti che più mi sembravano interessanti. Chiacchieravo con i medici presenti in questi gruppi, principalmente su Facebook. Così scoprii che un kg di grasso ammonta a 7000 calorie e non si assumono come l'aria ma neanche si perdono in un giorno. Mi spiegarono come il corpo vedeva i periodi di digiuno prolungato e di diete ferree e così mi venne aperto il mondo del metabolismo di cui sì, conoscevo la parola ma effettivamente non sapevo neanche cosa volesse dire.
Il mio corpo, nonostante le abbuffate continue, si trovava in uno stato di carestia, questo perché oltre a non avere un tipo di alimentazione equilibrata, era anche poverissima ed essendo messo a dura prova conservava ogni cosa possibile sotto forma di adipe per periodi ancora più bui.
Io non gli davo carburante e lui non mi metteva in moto, scambio equo se vogliamo vederla così.
La parte più difficile in assoluto fu proprio ritornare a mangiare perché il mio non era un alimentarmi. Fu ritornare a sedermi a tavola per pranzo con mia madre e mio fratello, cosa che non accadeva da ormai due anni.
Pur di non vederli pranzare trascorrevo quei minuti in salone, da sola, attaccata allo schermo del computer guardando serie tv insonorizzandomi con le cuffiette.
Mia madre, il primo giorno, non disse nulla ma non perché non fosse contenta o stupita ma proprio perché temeva una mia reazione contraria. Le mie lunghe malattie avevano insegnato loro il timore nel dirmi le cose quindi tacevano. Ricordo ancora quale fu il mio pranzo: fette tonde di melanzane al forno con sugo di pomodoro, origano e olio con della provola dolce su ogni fetta. Mi sentii strana, timorosa, provavo sensazioni diverse eppure non riuscivo focalizzarle bene per dare loro un nome.
Cenai anche quel giorno e il giorno dopo ancora. Studiavo tantissimo, cercavo di assimilare quanto più possibile, di imparare perché non volevo sbagliare. Non più e solo così facendo avrei potuto riuscirci. 
Facendo ciò che più mi spaventava. Mangiare.

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Direte voi, come può spaventarti  il cibo se soffri di bulimia?
Non è soffrire di anoressia che rende ovvia la paura del cibo. Solo perché si fanno connubi di ogni cosa non significa che sia così, che sia vero.  Quando soffrivo di anoressia adoravo il cibo sebbene mi facesse paura. Volevo che la mia famiglia mangiasse bene, che il frigo fosse sempre ben pieno. Profumavo il cibo come se lo dovessi sniffare e tirarmelo su per il respiro. Questo perché lo anelavo pur standone lontana.
La bulimia è diversa per certi versi ma uguale per altri.
Vuoi il cibo ma vorresti volerlo normalmente.  Come spiegarlo, se oggi ho voglia di un biscotto con gocce di cioccolato, lo mangio e se ne voglio anche un altro ne mangio uno in più senza sentirmi in colpa. Senza che nessun meccanismo di autodistruzione parta e si inneschi spingendomi poi ad abbuffarmi senza ritegno perché tanto ormai.
Cosa significa questo tanto ormai ?
Tanto ormai è la rinuncia.
Tanto ormai è la sconfitta.
Tanto ormai è il principio di abbuffate senza fine.
Tanto ormai è la frase più detta per noi.
Noi poveri pazzi autodistruttivi. 
Soffrire di bulimia significa aver paura del cibo con tutte le tue forze ma non riuscire a farne a meno, il più delle volte non per nutrirsi ma per punirsi. Quei due biscotti diventano tre pacchi, due tavole di cioccolato, una busta intera di pringles, un sacchetto di cornetti al latte, 42 Pan di stelle. Poi lo schifo.
Temevo il cibo più di tutto ma lo desideravo in modo spasmodico perché me lo negavo, lo odiavo e ne facevo un abuso comunque. Sono questi gli errori.
Non bisogna volere il cibo come punizione.
Non bisogna volerlo come massa per riempire vuoto emotivi. 
Non bisogna volerlo in maniera spasmodica, atavica e frustrante ma in maniera genuina, naturale.
Cibarsi è una cosa del tutto naturale, nasciamo sapendo senza sapere nient'altro, come ci si attacca al seno della madre. Fonte di vita, sostegno e sostentamento non è quindi una punizione, un film dell'orrore o un thriller psicologico nel quale alla fine restiamo solo noi.
Hanno distinto disturbi come anoressia e bulimia in due fasce diverse quando in realtà sono due facce della stessa medaglia ed anzi, spessissimo l'una diventa metà viso dell'altra faccia.
Purtroppo siamo superficiali e risparmiamo le etichette perché ci fa comodo darne una per ogni cosa e ad ogni persona.
La mia etichetta era: fissata.
Fosse stato così semplice non mi sarei impelagata 10 anni della mia vita in quella vita buttandoli e nessuno me li avrebbe ridati.

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