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È sempre tutto molto strano all'inizio. Non riesci mai a spiegarti bene quel che succede. Parti sempre da zero quando avviene un cambiamento.
Per chi soffre di un disturbo alimentare il cambiamento rappresenta un centinaio di traumi compressi in uno solo.
Cosa accadrà?
Cosa cambierà in me se faccio questo?
Cosa mi succederà?
Non vedremo mai la cosa positivamente o senza timore, ci sarà sempre quella parte traumatizzata, arrabbiata, e dolente che rifiuta a prescindere qualsiasi passo che ci permetta di stare meglio.
Ho rifiutato a lungo il pensiero di stare meglio.
Ancorata all'idea di essere malata rifiutavo l'idea di sentirmi diversamente.
Una persona affetta da anoressia sarà spaventata all'idea che qualcuno potrà dirle: "sai,  ti vedo meglio " perché automaticamente quel ti vedo meglio starà a significare sei ingrassata.
Ugualmente accade in una persona bulimica, nel mio caso, visto che praticavo il digiuno seguito da abbuffate nascoste, vedermi mangiare era per tutti uno shock quindi, nella mia mente, automaticamente sentivo sei ingrassata.
Mi ci è voluto molto per incanalare la mente nella giusta direzione. Il lavoro mentale sta alla base di tutto e fu facendo questo lavoro continuo che imparai a parlare con me stessa. La vera me, quella non in superficie ma nascosta in fondo a tutto, in un posto quasi irragiungibile. Lì avevo sepolto quella dolce ragazza piena di vita che purtroppo non era mai fiorita, repressa presto dal tarlo dell'anoressia.

Parlavo con me continuamente.
Mi chiedevo come stessi.
Cosa volessi fare.
Cosa volessi indossare.
Cosa volessi mangiare per colazione.
Mi chiedevo come mi sentissi.
Cosa avessi imparato di nuovo.
Cosa avrei potuto fare meglio e pian piano funzionò,  qualcosa si mosse,  qualcosa veniva fuori.
Un pomeriggio mi vidi bella.
Non carina ma bella.
Guardandomi allo specchio mi trovai bella. Trovavo bello l'abbinamento di colori, belli i vestiti che indossavo e bello il mio viso. Cercai con lo sguardo ogni parte di me e,  il giorno dopo, provai a guardarmi nuda.
Da quanto non accadeva? Da quanto il coraggio mancava e soprattutto, mi ero mai guardata veramente?
Ok,  Ilary, ce la fai. Su.
Il mio corpo mi attendeva lì e non mi parve arrabbiato o schifato. Il mio riflesso ed io ci guardavamo e giuro mi aspettavo l'arrivo della nausea, dello schifo. Invece vidi solo una cosa. Anzi, vidi solo una persona.
Ilary.

Ilary aveva il collo lungo, un seno piccolo, delle gambe lunghe e la pelle chiara. Le labbra a cuore, carnose, un naso non proprio bello ma appropriato all'ovale del suo viso. Ilary aveva occhi grandi, timidi,  lucidi e un corpo in trasformazione.
Non l'avevo notato ma davvero perdevo peso, davvero riuscivo a notare sul mio corpo quei due mesi e mezzo di duro lavoro.
Mentale. Non è fisica, questa guerra, ma mentale.
Sono attimi quelli in cui ti piaci. Sono attimi quelli in cui non ti seppelliresti.
Sono attimi quelli in cui pensi di volerti bene.
Era dura accettare di dover mangiare cinque volte al giorno.
Era dura sfidarsi con alimenti fobici.
Era dura trattenersi dal non fare ore e ore di cyclette dopo ogni pasto per  smaltire. Era dura non cercare ogni modo per muoversi.
Era dura farsi accarezzare.
Era dura.
Dura.
Dura.
Ma era per me.
Era per quella ragazza piena di vita che avevo intravisto.
Dovevo focalizzarmi su questo.
Dovevo focalizzare tutta la mia attenzione su quella ragazza. Volevo raggiungerla, essere lei. Essere felice. Essere libera.
Essere la me non ancora nata.

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Arrivò l'autunno.
Arrivò l'inverno.
Arrivò la primavera.
Il mio corpo in costruzione continuava a costruirsi.
Vedevo cambiarlo sotto ai miei occhi e condividendo il mio percorso su instagram capii di non sognare.
Le mie compagne di viaggio sempre più numerose erano tutto ciò che avevo, la mia comunità virtuale. Provavo a mia volta ad aiutare chiunque avesse difficoltà. Bastava un commento, cercare privatamente una persona, riuscire a parlare con lei per farla stare meglio.
I disturbi alimentari rendono soli ma quei diari sociali ci rendevano vicini. Quante liti che ho avuto, quanti insulti, quante parole cattive ma forse è , grazie al brutto dei social,  che oggi sono in grado di riconoscerne il lato migliore.
Ad un anno esatto dal mio inizio feci un collage.
Da un lato la vecchia me in una foto rubata al mare. Io nascosta sotto le pagliarelle del parcheggio vicino l'auto tutta coperta, grassa e un viso triste  nascosto da due occhialoni neri. Dall'altro, quella me in cantiere. Quasi bionda, con un sorriso, un corpo totalmente diverso.
Fu impressionante anche per me vedermi. Prendendo coraggio decisi di postarla e condividerla così con il gruppo su Facebook che tanto mi aveva aiutata. Fu la foto delle polemiche. Quasi nessuno credeva che entrambe le foto rappresentassero la mia persona.
"Due persone diverse!"
"È tua zia?"
"Sei squallida, prendere in giro così la gente che magari davvero vuol cambiare " e via di questo passo. Piansi moltissimo. Piansi perché di primo acchito mi vergognai di me, di nuovo giudicata. Di nuovo sentirmi dire che facevo schifo. Piansi perché tutto il mio lavoro era stato archiviato con un "non sei tu" poi,  dopo moltissime ore, capii che la colpa non era la loro.
In una società dove tutto è finto perché si dovrebbe credere? Perché si dovrebbe conservare la buona fede? Ero poi cambiata radicalmente. Non avevo lasciato una parte di me simile alla persona che ero prima. Stavo lottando con tutta me stessa per eliminarla, quella parte.
Le mie lacrime furono tante, si riformavano ad ogni nuovo commento. Ad ogni nuova cattiveria ma forse quella che mi faceva più male non erano quelle prettamente rivolte a me: ero stata talmente brutta e vecchia, sfatta e maltrattata da essere scambiata persino per una vecchia zia di me stessa? Possibile? Ma no, non era stato questo a ferirmi quanto il poter anche solo credere che potessi aver preso in giro tutti. Che avessi  creato un montaggio. Che avessi quindi illuso quelle persone improvvisamente speranzose di poter cambiare davvero. Quella speranza dovuta al mio cambiamento. Volevo dimostrare qualcosa. Avevo da sempre il bisogno ossessivo di dimostrare questo o quello ma era diverso in quel frangente . In quel momento volevo soltanto dimostrare di avercela fatta al 10% di un 100% e, chiaro come il sole, se c'ero riuscita io,  malata da un decennio di gravissimi disturbi comportamentali e alimentari con un altrettanto grave forma di dispercezione,  poteva riuscirci chiunque lo volesse. Non per forza affetto da un disturbo.
Una persona sovrappeso, mettiamo, di venti chili, molto probabilmente partirà con un entusiasmo formidabile che si spegnerà poi in qualche settimana. Vuoi perché i kg persi non sono abbastanza. Vuoi perché l'immagine che rimanda lo specchio non è quella desiderata. Vuoi perché, soprattutto, qualche imbecille privo di tatto, le dirà che non potrà farcela e allora si spegne, molla. Agguanta quel cibo ipercalorico per compensare, perché tanto ormai . Tutto ruota intorno a questo pensiero.
Tanto ormai? 
Tanto ormai non dimagrirò mai.
Sono troppi anni che mi porto questo grasso appresso, si è sedimentato quindi tanto ormai...
Non potrò mai essere bella e con il corpo dei miei sogni quindi tanto ormai...

Il nuovo bisogno che si stava facendo strada in me era dire: non è vero! Il grasso è fatto di cellule che puoi perdere! Anche tra mille anni potrai perderlo, devi volerlo! Devi essere tu! Devi voler star bene, devi voler dimagrire, prendere peso, guarire, vederti bella. Tutto ciò che vuoi, qualsiasi sia il risultato da ottenere sei tu a doverlo raggiungere. Sei tu!
Perché vorremmo un aiuto continuo. Vorremmo essere sostenuti ogni istante, avere l'approvazione perché da soli non siamo in grado di vederci avendo gli occhi appannati dallo schifo verso noi stessi ma no. No e no! Siamo noi a doverci aiutare e salvare. Quel che so,  quel che ho capito è che se perderemo sarà per colpa nostra e se vinceremo sarà grazie a noi.
Quindi mi asciugai le lacrime e perdonai tutti quanti. Non saremo mai capiti da tutti, né sostenuti, né apprezzati sempre. È difficile credere ma voglio credere in tutte quelle persone che al mattino si svegliano con una lacrima incastrata nell'occhio e nonostante questo si alzano dal letto, accendono il fuoco sotto la caffettiera e prepareranno la colazione. Si siederanno chiedendosi, dopo qualche sorso,  ed oggi?  Cosa ho da fare?

Anche solo il pensiero di dover fare qualcosa cambia il giorno.

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