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È stato il Natale più brutto della mia vita, trascorso, letteralmente, sul divano di mia suocera.
La data del mio presunto parto segnava la data del 15 gennaio quindi mi aspettava quasi un mese atroce visto che già da due settimane avevo cominciato ad avere qualsiasi tipo di dolore. Si chiamano contrazioni preparatorie quelle che precedono il parto, alcune donne sono fortunate e avvertono un vago senso di indurimento della pancia fino alle vere da parto, altre, io, si pietrificano sotto la potenza di questi dolori. Ogni volta che camminavo a piedi finivo con il telefonare a mia madre con il terrore di star per partorire per strada. Era diventato tutto faticoso e la mia mente cedeva insieme al mio corpo. Non so quando e come ma una mattina mi svegliai con le caviglie pesanti e gonfie. Proprio il giorno del servizio fotografico!
Avevo chiesto a tuo padre di imprimere quei momenti. Volevo ricordarmi della pancia, essere modella di te e con te per un giorno. Nonostante mi sentissi orribile e faticassi a respirare mi feci la piega ai capelli, mi truccai con precisione ed indossai un meraviglioso abito bianco.
Feci finta che le scarpe, che fino a due giorni prima mi entravano, mi entrassero ancora e misi su un sorriso quando arrivarono i fotografi. Mi facevano sentire sempre bellissima, erano gli stessi ragazzi che ci seguirono per tutto il giorno del matrimonio. Dimenticammo tutto, ci divertimmo tanto e per tutto il tempo una lacrima mi restò bloccata in gola. In momenti così grandi mi rendevo conto del miracolo che stavo vivendo. Avevo, in momenti simili, l'impressione di vedere me stessa al di fuori di me.
Una piccola parte del mio cervello non credeva a quanto stessi vivendo, al fatto che io fossi incinta sul serio e, cosa sbagliatissima, si preparava al peggio, a qualsiasi soluzione probabile ed improbabile nell'eventualità in cui...
Odiavo quel lato di me e, per fortuna, era solo un lato. Non avevo paura del parto, avevo già pronta la valigia, avevo già detto a tutti cosa avrebbero dovuto fare ed ero psicologicamente preparata a partorire. Doveva accadere e le cose che devono accadere non mi spaventano mai. Senza ansia e senza stress, quindi.
Ciò a cui non ero preparata era quella modifica improvvisa del mio stato.
Giorno per giorno il dolore alla schiena aumentava, i piedi si gonfiavano e le gambe raddoppiavano diventando bianche, facendo pressione con un dito sentivo l'acqua. Mi mancava il respiro sotto le decine di contrazioni che avvertivo. Ti muovevi tantissimo e riuscivamo a rilassarci solo sdraiati, ragion per cui vissi settimane sdraiata. La mia mente ormai vagava e pesava sotto il disgusto che cresceva per il mio corpo. A 35 settimane smisi di fare attività fisica pesante e mi dedicai allo yoga, al pilates preparando il pavimento pelvico. L'unica cosa che desiderassi era partorire perché vivere mi era diventato immensamente difficile. Mi mancava l'aria. La dottoressa dagli occhi azzurri mi diceva che stavi benissimo e che avrei potuto partorire in qualsiasi momento perché il tuo lo avevi fatto, eri pronto ma pigro. Spingevi giù per poi rilassarti. In più, il forte dolore al fianco non era solo il gravare del tuo peso ma anche una colica renale che non avevo curato quindi il dolore era immenso e mozzafiato. Avrei trascorso i giorni di natale così, come una moribonda tra le frasi stupide delle persone.
"Non sei la prima a dover partorire"
"Hai avuto una gravidanza stupenda, non dovresti lamentarti"
"Panciona, ora sì che hai la pancia"
Mi chiedevo come si potesse essere così stupide nel dire ad una donna in procinto di partorire che ha la pancia, mavvà? Non l'avrei mai detto.
Tutte queste parole inutili turbavano il mio già vacillante sistema nervoso, non avevo bisogno di chi mi rifilava risposte ovvie. Era ovvio non fossi l'unica a partorire ma era anche certo che in quel momento ero io, proprio io in tutto il mondo unica perché io,a soffrire in quel modo. Avevo bisogno di una carezza, non di chi mi faceva notare che quel giorno la polvere non era stata levata. Cominciai a sentirmi fragile anche nel mondo social e questo, chi ne godeva della fragilità altrui, fu come un regalo, ragion per cui mi piovvero addosso caterve di insulti.
Sei grassa.
Povero figlio con una madre malata come te.
Non potrai mai crescerlo bene con tutti i disturbi che hai.
Sei un'anoressica e basta, lo sarai per sempre!
Parole così gravi da farmi piangere.
Allora cominciai a scrivere questo libro che adesso scrivo con te addormentato al mio seno.
In quei giorni ogni parola mi distruggeva, ogni gesto mancato, ogni sguardo non ricevuto.
Arrivò il Natale, traumatico. Qualche risata, regali per te, tanti dolori per me. Il divano di mia suocera divenne la mia cuccia, giravo con le pantofole. in borsa.
Il ventisei tornata a casa piansi disperatamente, la colica pulsava, il fiato mi mancava e non riuscivo a fare un passo. Alle sette del pomeriggio ero già a letto, non smettevo di piangere. Tuo padre si sedette accanto a me, mi accarezzò il viso.
"Dimmi cosa posso fare per te, amore..."
"Ho troppo dolore, mi manca il fiato. Non riesco a muovere le gambe. Non ce la faccio più!"
"Ho cambiato idea, può nascere anche ora. Non riesco più a vederti così."
Tutti, tranne mia madre, desideravano che resistessi almeno fino al primo gennaio mentre io sapevo che non ci sarei arrivata. Non era normale sentirmi così. Pregai così tanto e in maniera così appassionata a te di nascere, di aiutarmi che tu cominciasti a muoverti. Come a chiedermi scusa, come a farti sentire perché sapevi che, se avessi sentito un tuo piedino, avrei gioito comunque. Anche senza fiato. Ti avrei perdonato di agitarti sulla colica, avrei dimenticato il dolore alla schiena, la pressione alle gambe, le notti insonni. Sentirti era vivere però quella notte qualcosa cambiò ancora, decidesti che era forse ora di conoscerci.

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