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Le medie finirono senza ricordi, senza saluti, senza promesse di rivedersi. Fino alla fine non ebbi i numeri di telefonino di nessuno ma come avrebbe potuto essere diverso?
Fu una bella estate per quel che ricordo. Andammo al mare, qualche volta mangiavo anche un gelato per poi bruciarlo stando per ore in piedi in camera o correndo in groppa alla mia cyclette che rappresentava il centro della mia esistenza. Ebbi un virus intestinale a fine luglio, mi nutrii con due bicchieri di latte per giorni, con la scusa di non riuscire ad ingerire altro. La denutrizione fisica che mi portava indietro fino all'utero di mia madre andava di pari passo con la distruzione mentale anche se la mia mente era la parte più forte. Non siamo deboli sotto quel punto di vista. Potremmo anche avere valori del sangue sballati e una condizione fisica precaria ma mentalmente siamo dei carri armati. Niente ci scalfisce. Siamo intoccabili dalla cima del nostro limbo infernale. Mia madre mi scattava fotografie ogni settimana con la vecchia macchina fotografica, credo mi vedesse morta e volesse ricordare gli ultimi momenti.
In famiglia non andava niente bene, liti su liti tra me e lei. La mano calda di mio padre e gli occhi azzurri disperati. La rabbia di mamma incapace di darsi pace. Aveva cresciuto una figlia intelligente, forte, matura. Com'era mai possibile che si fosse ammalata proprio di anoressia quando mi ci aveva messo così in guardia! Era stata così aperta, così tanto onesta nel dirmi che si muore di certe cose e invece mi ero ammalata della malattia delle ragazze stupide perché allora l'anoressia, la bulimia erano la malattia delle modelle, delle attrici che dovevano essere perfette e volevano essere magre, sempre più magre. Conducevano campagne contro per un mese poi bastava una sfilata, un cartellone pubblicitario, una rivista ed eccola, l'anoressia in tutto il suo malsano splendore. La disperazione dei miei genitori veniva fuori a tavola, quando era palese che oltre un'insalata scondita con quattro crocchette di pollo o una zucchina bollita con due fette di galbanino non sarei andata.
I miei alimenti potrei riassumerli in poche dita:
🔸 galbanino.
🔸 zucchine lesse.
🔸 piselli lessi.
🔸 insalata.
🔸 due fette di prosciutto cotto.
🔸 4 spinacine di pollo a polpette.

Niente pane o pasta o riso, i legumi anche facevano ingrassare come la carne o la mozzarella o qualsiasi altro tipo di formaggio. La frutta conteneva zucchero quindi non era ammessa. Bevevo circa 3 lt di acqua al giorno e a volte mi concedevo una striscia di cioccolato insieme a mia madre e a mio fratello. Non so come facessi ad andare avanti ma ci andai per circa quattro anni.
Ora mi sembra inammissibile mangiare così, se solo penso che la mia colazione di oggi è consistita in pane integrale con marmellata mi sembra assurdo il ricordo di vivere con lo stomaco vuoto a volte fino a sera.
La mente. Non è il fisico ma la mente perché se solo la mia mente avesse ceduto di un solo millimetro sarei crollata senza la forza di alzarmi.

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Ero sola ma non me ne rendevo conto, non avevo amici. Ero al liceo ma non avevo un'amica.
Se alle medie ero stata bullizzata, al liceo ero completamente invisibile.
Le ragazze facevano i gruppetti, i ragazzi anche ed io ero sempre un po' fuori da entrambi.
A volte, quando parlavamo tutte insieme, inventavo storie d'amore bellissime. Ero fidanzata, uscivo continuamente e la mia vita era fantastica. In realtà ero sola, triste e nessun ragazzo m'aveva mai guardato. Vivevo ancora nel mio mondo serale immaginario. Le mie fantasie si infarcivano sempre di più. Mi abbonai a varie collane di romanzi rosa, avevo un disperato bisogno d'amore. Non lo ricevevo da nessuna parte se non da me. Ma il mio amore esisteva nella fantasia, in tutti quei libri, in realtà mi stavo procurando la morte. Più mi avvicinavo alla fine più volevo amore.

La fine arrivò con un braccio che non fu capace di sollevare una bottiglia di acqua e mia madre che mi riempì di botte.
Feci vari esami del sangue, varie visite: tutto irregolare. Il ciclo mestruale ormai era sparito da molto e non è che mi fosse rilevante averlo o meno. Cominciarono a fioccare minacce di cliniche, di alimentazione tramite sondino, di provvedimenti forti. Mi costrinsi a mangiare qualcosa di più ma poi tornavo a bruciare tutto sulla cyclette.
Così arrivò Maggio ed io svenni proprio in groppa alla cyclette. Mi sollevò mio fratello e mi mise sotto le coperte. Mi salii una febbre paurosa, ghiaccio su caviglie e polsi. Provai strane cose in quella incoscienza: pesavo 800 kg, non riuscivo a sollevare neanche una mano, non riuscivo ad aprire gli occhi, il cuore mi batteva forte poi piano, fortissimo, pianissimo. Ebbi paura.
Per chi stavo facendo tutto questo? Per cosa? Per me? Be', non ero più invincibile, no? Ero bloccata in un letto da giorni incapace di tutto. Quando mia madre mi portò il pranzo mi feci aiutare per finirlo, ci mettemmo un'ora e mezza ma quello fu il mio primo pasto in tre anni.
Mi ripresi lentissimamente da quella febbre incosciente ma lo feci. Volevo guarire o almeno provarci, sentire qualcosa dentro di me e non il deserto.
Ero così stanca di tutto, anche di essere me, soprattutto questo.

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Essere me significava avere il controllo maniacale di ogni aspetto possibile e immaginabile.
Essere me significava essere brava in una matematica che a scuola non serviva: calcolavo l'ora dei pasti e contavo le calorie della lattuga. Lo sbalzo anche solo di un'ora del pasto significava saltarlo perché non sarebbero passate abbastanza ore tra quello e il successivo.
Un principio di sazietà significava aver mangiato molto quindi allungavo di mezz'ora le due ore in cyclette.
Non mi lavavo mai con acqua calda perché lessi da qualche parte che favorisse la ritenzione e, anche se tutto ciò che desiderassi fosse sciogliermi in un calore che non sentivo più, mi ripassavo le gambe con l'acqua gelida.
Non andavo mai a dormire prima delle due ore dalla cena e non mi concedevo il lusso di sdrairmi per paura che ciò rallentasse la digestione.
Contavo le volte in cui andavo al bagno e come e se non ero soddisfatta prendevo un lassativo calcolando l'orario giusto per non avere lo stimolo a scuola quindi era alla notte che sottraevo un importante sonno al dover liberarmi per forza.
Essere me non era facile, il mio cervello fumava sotto il peso di tutti questi ragionamenti, calcoli, conti.

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