🔸8

3.6K 78 6
                                    

Mi affiancai ad un ragazzo fingendo fosse il mio per allontanare Valerio.
Era una delle tante persone alle quali avevo chiesto un passaggio per andare da lui, amico di amici.
Gli piacevo e tanto, sfruttai questo  dettaglio come una carogna ma era arrivato il mio turno di scappare.
Sdragionavo, il cranio mi scoppiava sotto il peso dei pensieri accavallati,  del dolore, della paura. Non capivo più niente.
Il mio unico pensiero era salvarmi, salvare quel poco di dignità che mi restava. Non avrei potuto soffrire un briciolo di più e invece soffrivo più di prima perché, sebbene allontanare l'uomo che amavo da impazzire mi sembrasse la scelta più saggia, farlo mi distruggeva.
Valerio mi disse che m'amava, che non aveva mai smesso di farlo e l'unico motivo per il quale l'aveva detto era allontanarmi, spingermi ad odiarlo.
Davvero credevi avrei pensato all'odio e non al senso di perdita?
Risposi nervosa, chiedendomi perché si ragiona in modo così primitivo, illogico.
I sentimenti non sono fini a se stessi né però prevedibili sotto il punto di vista delle reazioni.
Avevo provato rabbia, patimento,  struggimento, confusione, abbandono, rancore, un dolore infinito ma odio mai.
Mi allontanavo per il semplice fatto di essere arrivata a pensare che, se se ne era andato una volta, l'avrebbe fatto ancora ed ero stanca di rincorrere le persone, lui. Mesi appostata fuori il negozio dove lavorava e respinta davanti ai suoi colleghi.
Lettere senza risposta.
Telefonate staccate.
Parole pesanti.
Assenza.
Scherziamo troppo con i cuori di chi ci ama ed io non avrei retto di nuovo.
Ormai questa paura di poterlo perdere ancora aveva coperto anche i miei reali sentimenti. Nel bisogno di farmi del bene facevo male ad altri e oltre ogni decenza me stessa perché privarti dei tuoi sentimenti è la cosa peggiore che tu possa fare.

Dicevo, a questo ragazzo piacevo quindi fu facile convincerlo a farmi da fidanzato ed essere così bravi da sembrare una coppietta felice.
Amico di amici uscivamo tutti insieme il sabato, non restavo quasi più in casa di sabato, mi infilavo sempre da qualche parte per poter anche mezz'ora distrarmi. Mi trovavo però Valerio ovunque, le parti si invertirono e cominciò un vero massacro. Non credette mai alla mia storia con questo ragazzo. Troppo convinto del mio amore non credeva ad una sola parola eppure si lacerava al pensiero che qualcuno al posto suo potesse sfiorarmi anche solo i capelli di cui era sempre stato estremamente geloso. Il pensiero poi che un altro avesse potuto prendermi e fare l'amore con me lo spingeva a gesti assurdi, di una dolcezza tale da stupirmi. I suoi occhi erano perennemente lucidi.  Mi chiedeva di parlare, di vederci, mi avrebbe offerto uno dei miei sacri caffè. Mi avrebbe portato al campo di margherite bianche nel bosco di Capodimonte che non era altro che una zolla di terreno sulla quale crescevano margherite. Non mi avrebbe fatto mai più soffrire, era stato uno stupido, un cretino, stava morendo senza di me diceva.
"Perché non te se sei reso conto quando mi avevi?"
"Perché ero stupido, sono cresciuto stando lontano non stando con te. Ti avevo e mi bastava, ora so cosa voglia dire non averti."
"Chi mi dice che non te ne andrai di nuovo perché avrai una giornata storta?  Hai capito che sono stanca di soffrire? Che è una vita che lo faccio per non avere neanche 20 anni?"
"Io. Te lo assicuro IO!"

Ma io ero oltre, non mi fidavo più di nessuno anche se volevo star con lui più di qualunque altra cosa, anche se volevo cedere,  anche se non riuscivo a guardarlo negli occhi ambrati perché perdevo il senso di me stessa. La sua sofferenza mi lacerava perché era la mia, vedevo me in lui.
Valerio vedeva la stessa cosa.
"Tu mi ami. Vuoi solo convincerti che non sia così ma conosco meglio te di me e tu conosci meglio me di te quindi lo SAI che ti amo più della mia vita."

Mi arrivarono 24 rose rosse, tanti boccioli , profumati, bellissimi.  24, una per ogni mese insieme, compresi i mesi divisi: "perché non ci siamo mai lasciati"
Piangevo a dirotto,  piangevo continuamente,  confusa da morire e avrei voluto morire.
Le persone come me, quelle invase dalla sofferenza e schiacciate,  cominciano a temerla così tanto da sviluppare un senso di autodifesa, di sopravvivenza ma stavo sbagliando tutto e ne ero consapevole.
Mi punivo come al solito su di me. Mi provocavo il vomito per tutto , mi distruggevo le dita delle mani,  dimagrii molto ma non me ne accorsi neanche.

                             🔸

Passò anche gennaio, arrivò febbraio.
Mesi che odio.
Mesi freddi.
Mesi piovosi.
Mesi grigi e sfatti.
Mesi di una malinconia e tristezza forti.
Arrivammo a metà febbraio nel caos più totale: il tipo che voleva più da me nonostante l'accordo; la mia famiglia che disapprovava le mie scelte; Valerio sull'orlo del baratro ed io in volo giù per quello stesso precipizio. Ero già caduta ma ancora dovevo arrestarmi.
Un pomeriggio, il 25 di febbraio, Valerio stazionava ancora sotto casa mia. Quel pomeriggio però chiedeva solo di darmi delle cose.
Presi tutto e me ne salii, una disperazione enorme sul suo viso.
Un cartellone con delle nostre primissime foto.
Un pacco di foto nuove che ritraevano lui e la sua famiglia: "ti stiamo aspettando amore mio"
Le foto che lo ritraevano solo avevano messaggi come: "questo è il corpo che ami", "sono io il tuo vero amore anima mia" e Dio solo sa se non fosse vero.
Un fascio di finte margherite bianche intrise del suo profumo.
Un tubetto di crema finito, la crema solare appartenuta all'estate che gli avevo preso io e altre cose. Piccole e grandi ma sue.
Quella notte non dormii. Mi agitavo nel letto, stordita dal suo profumo sulle margherite. Ripensando alle foto, ai messaggi sul retro. Alla sua scrittura in stampatello e limpida, a differenza della mia spesso disordinata, un'eterna lotta tra corsivo e stampatello, una corsa alla parola da scrivere per prima . Ripensavo al suo sorriso storto, al suo profumo, alle sue mani bollenti, a quel corpo che amavo nei minimi dettagli e conoscevo a memoria. Ripensavo a tutto quel che c'era di vissuto tra noi e quel che avrebbe potuto esserci ma anche a ciò che mi rifiutavo di pensare. Ero disposta davvero a rinunciare a tutto questo? Alle nostre liti sulle cretinate, al modo in cui mi guardava e sorrideva? Al di là del fatto che Valerio fosse l'unico a farmi vedere bella, erano proprio i suoi occhi su di me a mancarmi.  Il vuoto tra i palmi che spariva quando ci prendevamo la mano.
Ero disposta a rinunciare al condividere la vita con lui per delle paure?

Le paure potevano essere affrontate? Non ne avevo idea, non ero riuscita ad affrontarne una in vita mia e infatti la mia situazione personale lo dichiarava. Avevo migliaia di paure trasformate in disturbi e ansie, psicosi e tic. Poi ecco, anche io non ero stata onesta su questo, Valerio sapeva dell'anoressia, non degli ultimi tre anni immersa nelle psicosi e nella bulimia.
Onestà? 
Su tutto ma non su questo lo ero stata.
Ci sarebbe stato il tempo per parlarne? Per essere onesti entrambi? Per recuperare? Per dimostrarsi amore e fedeltà?
Dipendeva da me. Amare Valerio significava far vivere il cuore, volevo vivere con lui, di lui, per lui. Volevo aprisse le braccia e mi ci facesse nascondere, in quegli abbracci che mi dava, così forti da farmi sospirare.

Alle sei del mattino, dopo una notte tremenda, completamente insonne a rigirarmi nel letto, gli scrissi un SMS: "Ti ho detto che le margherite sono bellissime? Basta farci del male, ti amo e voglio stare con te."
La risposta mi arrivò due secondi dopo: "corro subito da te amore mio" e fu così che, alle 7 di un sabato mattina, il 26 febbraio del 2011, aspettai il muso della 600 sbucare dall'angolo di strada e correre. Correre da lui più velocemente possibile, spalancare la portiera e buttarmi tra le sue braccia. Non dicemmo niente, ci baciammo. Sentii la sua lingua spaccata, toccai le sue lacrime, abbracciai quella nuova magrezza che non gli apparteneva. Respirai di nuovo l'odore della sua pelle e sentii gli organi raggiungermi di nuovo e riposizionarsi caldamente dentro me.  Non so quanto restammo così, un mattino che assisteva al ritrovamento di un amore mai finito.
Salimmo poi in casa mia dove ci aspettavano i miei genitori che ci ammonirono dicendoci che una coppia affronta insieme non divisa.
Quando restammo soli, nel salone, gli ripetei quel che mia madre aveva detto, non ero più disposta a soffrire in quel modo e,  per la prima volta in vita, mia gettai delle basi che mi avrebbero tutelata. Non avrei più accettato di soffrire dalla sua mano.
Non avrei più accettato l'essere data per scontata, non da lui.
Non avrei più perdonato.
"Non tornerò una seconda volta."
"Non ci sarà."

Dai disturbi alimentari a teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora