🔸6

3.5K 82 12
                                    

Passò un anno e mezzo in quel modo, in bilico tra amore e odio. Amore per questo ragazzo e odio per me.
Arrivò il suo compleanno, 24 anni, che festeggiammo insieme, a casa sua. Con i suoi genitori, i fratelli, la moglie e il figlio di uno dei due in un'atmosfera tranquilla, cordiale e allegra.
Festeggiammo con una cena, ricordo ancora gli antipasti a base di grissini con del prosciutto crudo arrotolato, le olive, i bocconcini di mozzarella. Tutte cose di cui avevo una fobia ma per lui, solo per lui, provai a superare preparando anche io il mio piatto. Valerio mangiava accanto a me, tenendomi la mano sulla gamba, versandomi l'acqua, sorridendomi sempre. La testa era piena di pensieri ma esternamente si vedeva una ragazza di 19 anni felice, sorridente e simpatica perché mi piaceva dar mostra di me in questo senso, nessuno doveva mai vedere la mia tristezza. Poi però arrivò la torta e il terrore mi avvolse. La rifiutai e a Valerio si spensero gli occhi. Ne presi una fetta anche io ed era così buona. Era buona ma pensavo alle calorie.
Era buona ma pensavo ai grassi.
Era buona ma pensavo a cosa potessero pensare gli altri sul fatto che anche io mangiassi la torta. Non mangiavo in pubblico,  come ho già detto. Quella sera provai ad abbattere tutto e questo mi fece rendere conto di quanto fossi innamorata.
Quella sera facemmo l'amore, fu bello da morire, fui amata e amai totalmente. La barba morbida che mi pizzicava le guance, i suoi morsi delicati, il calore estivo della sua pelle.
A saperlo che sarebbe stata l'ultima volta avrei trovato il modo di fondermi in lui e con lui.

Il 16 ottobre mi lasciò.
Al centro di una strada dietro casa mia mi lasciò.
Le parole?
La scusa?
Le solite.
Non ti amo più.
Non
Ti
Amo
Più
Nulla era più devastante e grande del vuoto che mi si aprii nel petto, tra le costole, come se ci avessero scavato al centro e fosse piovuto rendendo il tutto così pesante da costarmi fatica respirare.
Persi completamente la dignità pregandolo di non lasciarmi, di non farlo, di ripensarci.
Cambierò,  te lo prometto.
Resta con me.
Ma io ti amo
Come se bastasse amare singolarmente, come se l'amore fosse unilaterale.
Farò ciò che vuoi.
Quell' eterno sottomettermi,  privarmi di me e intanto pensavo all'aver fatto l'amore pochi giorni prima. Alle sue mani, i suoi palmi che spingevano sulla pelle come a volerci creare un solco, come per sentirmi di più. Come puoi volere così una persona e poi lasciarla? Come puoi imprimerti sotto pelle un'altra pelle e abbandonarla qualche giorno dopo ma non mi chiesi il senso, mi chiesi come fosse durata tanto.
Il momento peggiore fu chiedergli di abbracciarmi per l'ultima volta e lo fece... mi distrusse.
Il momento peggiore del momento peggiore fu mettere il piede fuori dalla quella era stata la nostra 600, voltarmi a guardarlo e dirgli: "dimmi almeno che è stata bellissima la nostra storia"
Finché è durata.
Finché...

Persi la ragione, riuscii a tornare a casa e a cadere tra le braccia di mio padre non appena aprì la porta. Ricordo ancora com'ero vestita,  come lo era lui, cosa mia madre stesse servendo a tavola. Ricordo la morte che mi venne ad abitare nel cuore insieme al gelo e alla paura che fosse reale.
Non c'era più niente che avesse senso, la potenza del mio dolore mi aveva sommersa e mi spensi perché con l'impatto di un'onda d'urto non puoi restartene in piedi, cadi ed io caddi in un modo così disperato e violento da non riconoscermi più.

Cominciai a farmi del male, a sorseggiare i liquori di mio padre a notte fonda, a graffiarmi la pelle quando il suo ricordo era troppo forte, giravo con le sue foto nelle tasche. Vomitavo e mangiavo velocissimamente anche se pochissimo sperando di affogarmi. Meditavo l'atto estremo se non fosse tornato per l'11 novembre, giorno del nostro anniversario, il secondo. Chiedevo passaggi a tutti per andare dove lavorava e parlargli. Crollavo piangente tra le braccia di mia madre mentre allontanavo chiunque altro. Non avevo più amici né una vita. Cercavo chiunque avesse contatti con Valerio. Oggi esiste il termine stalker per indicare una persona che ti perseguita ed io ero diventata questo, una stalker. Controllavo i suoi profili social, la sua e-mail. Cercavo il suo nome ovunque. Gli inviavo continui SMS, lettere, telefonandolo continuamente, supplicandolo in ogni modo possibile a parlare. Ero fermamente convinta ci fosse qualcosa sotto perché ero certa mi amasse. Qualcosa era accaduto nella sua vita più che nella nostra e aveva preferito lasciarmi che dirmelo. Per quanto mi sentissi colpevole, per quanto mi diedi ogni colpa perché un ragazzo così con una come me non c'entrava nulla, per quanto mi facessi più schifo di prima, l'unica certezza era il nostro sentimento. Non puoi amare così qualcuno e lasciarlo in un attimo.
Per me l'amore è trascendentale, supera i limiti del consentito, del reale e dell'irreale. Non puoi amare e non amare, come non puoi essere confuso sul sapere se senti quel che senti, lo sai sempre cosa provi anche se spesso te lo neghi. Per quanto spesso non ci sia razionalità, sai se ami e se non ami, riesci a sentire di essere amata persino perché l'amore lo senti. Sparks scrive: Il nostro amore è come il vento, non lo vedi e non lo senti, però lo percepisci.
Per questo e per ogni singolo, breve o lungo, istante passato insieme, sapevo con assoluta certezza che Valerio m'amava.
Non lo vedevo e non lo sentivo, lo percepivo.

                             🔸

Capitava una cosa bizzarra ogni mattina. Verso le otto il cuore mi esplodeva e mi costringeva a restare immobile, avvolta da quella strana sensazione.
Il mio inconscio straziato mi suggerì che quella era l'ora in cui Valerio si svegliava per andare a lavorare ora che era un full time.
Mi suggerì che eravamo tanto connessi da percepire il suo risveglio.
Mi suggerì che forse lo sentivo perché mi pensava, ero quindi il pensiero nascosto nei suoi occhi non appena li apriva?
Ti aggrappi a tutto pur di credere ci sia ancora una speranza. Ti aggrappi per non cadere quando sei disperata.

Qualche volta uscivo,  qualche sabato sera.
Andavamo al cinema, indossavo tacchi altissimi, scambiavo cappotti con un'amica. Il rosso delle mie guance era defluito lasciando il pallore.
Non ricordo neanche un film visto tranne per  Il viaggio di Gulliver, credo si intitolasse così, perché lo legano così fortemente strattonandolo tanto da fargli perdere l'equilibrio, Gulliver cade con un tale schianto da sollevare il terreno intorno. Ero Gulliver.
Altre volte andavamo a mangiare un panino, una pizza. Non ero di compagnia oppure lo ero troppo.
Camminavamo tutti al freddo o ci stringevamo in un auto. 
A momento ero euforica, altri dispersa e disperata.
Cosa stava facendo?
Con chi era?
Gli ero venuta in mente almeno tre volte?
Ma dei miei sorrisi ne sentiva la mancanza?

Arrivò l'11 novembre.
Arrivò senza lui, senza noi, senza me. Non mi uccisi, mi misi a letto e vegetai. Immaginando scene meravigliose in cui Valerio sicuro sarebbe tornato. Mi avrebbe fatto una sorpresa, lo strazio sarebbe finito.
Invece no, non tornò.
Ed io mi smarrii ancora di più dentro me stessa. Qualche giorno dopo, mio padre, venendo a cercarmi per casa, mi trovò nell'armadio delle lenzuola, seduta su una scatola di plastica dura singhiozzando con la bocca tappata da una mano per non farmi sentire da nessuno, in modo da proteggere la mia famiglia dal mio dolore.
Ho perso una figlia disse. 
Proteggevo bene chi amavo.
Mi dispiacque ma ormai ero oltre me stessa.
Mi arresi.
Mi arresi anche alla sua perdita.

Dai disturbi alimentari a teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora