Capitolo 1

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La calura estiva aveva stretto Parigi nella sua morsa, facendo aumentare notevolmente le temperature e portando i parigini a cercare refrigerio ovunque: le rive della Senna si erano popolate di bagnanti che, sognando il mare lontano, si accontentavano del surrogato offerto dal fiume, anche se ciò non permetteva loro di buttarsi nelle acque non tanto limpide del corso d'acqua.
I più fortunati cercavano un po' di pace nei giardini ombrosi, altri ancora avevano abbandonato la città decisi, per quanto lo permettesse il lavoro e i loro impegni, a restare il più lontano possibile dalla metropoli.
«Fa caldo.» sentenziò Lila, spalmandosi un po' di crema abbronzante sulle braccia, abbassando poi lo sguardo e facendo scivolare sul setto nasale gli occhiali da sole, studiando le amiche: «Ragazze, con la vostra pelle chiara dovreste usare qualcosa per non scottarvi.»
«Mi sono giù spalmata di roba a casa.» dichiarò Sarah, giocherellando con Mikko e Flaffy, i kwami dell'Ape e del Pavone: «Davvero Lila! Mi sono ustionata una volta da piccola e non intendo ripetere l'esperienza.»
Marinette alzò la testa dal blocco da disegno, togliendo il berretto e sventolando un po' sulla faccia: «Idem. Mia madre mi ha spennellata come se fossi un croissant.»
«Questi paragoni...» sbuffò Lila, sistemandosi gli occhiali e scuotendo il capo: «Passi troppo tempo con Adrien.»
«Non è buona come cosa?»
«No, perché sta prendendo i suoi difetti!»
«E' una vera fortuna che al momento sia impegnato a svuotare il magazzino del maestro e non sia qui a dichiarare quanto, la sua presenza, stia avendo effetti benefici su di me.» dichiarò Marinette, rimettendosi il berretto in testa e indicando la pila di casse e mobili che la parte maschile del gruppo di Portatori stava portando fuori dal prefabbricato, ammassando tutto nel giardino di Fu: «A proposito, cosa sta cercando, maestro?»
«Cercando?» domandò Fu, sorseggiando il suo cocktail colorato e spostando l'ombrellino: si tolse gli occhiali da sole, guardando le tre ragazze e posando il bicchiere: «Veramente volevo solo fare pulizia.»
«Ma ha detto...»
«Ehi, se dicevo a quei tre di aiutarmi a pulire, avrei dovuto fare il lavoro tutto da solo.» dichiarò l'anziano, riprendendo la propria bevanda e tirando su dalla cannuccia: «Che cosa bella essere Gran Guardiano.»
«Maestro, questo è abuso di potere.»
«Questo si chiama allenamento, Sarah. Quei tre hanno bisogno di metter su muscolo.»
«Wei ne avrebbe anche abbastanza di muscolo.» dichiarò Wayzz, supportato da Vooxi che, accanto a lui, annuiva con la testa: «E' talmente grosso quanto impacciato.»
«Non ricordarmelo, Wayzz. Ha distrutto un'altra tazza stamattina.»
«Come sta andando la convivenza?» domandò Sarah, voltandosi verso l'italiana e studiandola assorta.
«Mh. Da un certo punto di vista si può dire che sta andando alla meraviglia, soprattutto la sera...»
«Quel povero letto...» sbuffò Vooxi, scuotendo il capino: «Penso che preferirebbe trovarsi nella Camera dei Segreti con il basilisco piuttosto che sopportare tutte le sere certe attività...»
«Perché non hai mai sentito quello di Marinette.» dichiarò Plagg, svolazzando davanti la Portatrice della Coccinella e incrociando le zampine: «Io mi chiedo come abbia fatto quel soppalco a rimanere ancora lì.»
«Plagg!» strillò Marinette, afferrando il kwami nero e guardandolo male: «Non c'è Adrien e ti ci metti tu.»
«Rafael e Sarah non fanno ancora certe cose.» s'intromise Flaffy, ignorando lo strillo strozzato dell'americana e fissando gli amici kwami: «Ma Rafael è un piccolo hobbit, ha bisogno di tempo.»
«No. Scusa. Non fate nulla?»
«Usciamo.» mormorò la bionda, stringendosi nelle spalle: «E ci baciamo. Non tutti sono veloci come te, Lila. Guarda Marinette, con Adrien ci ha messo...quanto ci hai messo prima di fare quel passo?»
«Quattro anni.» sibilò Plagg, ancora stretto nella morsa di Marinette: «Ma tranquille. Hanno recuperato.»
«Plagg!»
Lila ridacchiò, scuotendo la testa e offrendo il volto al sole: «Va benissimo così. Vi preferisco dolci e innocenti, perché anche Marinette è ancora innocente, sebbene abbia fatto cose con il gattaccio.»
«Lila!»
«D'accordo, d'accordo.» dichiarò l'italiana, ridacchiando: «Comunque sei troppo timida su questi argomenti, ragazza mia.»
«Signorine?» s'intromise Fu, attirando l'attenzione generale su di sé: «Se continuate a chiacchierare e ridacchiare, quelli si accorgeranno che stanno facendo tutto il lavoro.» dichiarò, indicando con un cenno della mano il Portatore della Pavone che stava uscendo dal prefabbricato, gettando un'occhiata a tutti loro.
Rafael sbuffò, poggiando l'ennesima cassa piena di qualcosa di pesante e si appoggiò a questa, osservando il padrone di casa chiacchierare allegramente con le tre ragazze: «Ehi.» sbottò Adrien, spintonandolo e posando una nuova cassa di legno, asciugandosi poi il sudore con la maglietta, guardando male il compagno: «Non si batte la fiacca finché non abbiamo finito di svuotare il magazzino!» ordinò, indicando il piccolo stanzino da cui Wei stava uscendo con una scatola sotto il braccio sinistro e una in precario equilibrio sulla spalla destra.
«Sarah?» esclamò Rafael, ignorando il modello biondo e avvicinandosi al quartetto, tenendo lo sguardo sulla sua ragazza.
La sua ragazza.
Ancora gli faceva strano chiamare l'americana Portatrice dell'Ape così, anche se era una relazione consolidata da qualche mese.
«Sì?» domandò la bionda, voltandosi verso di lui con il sorriso sulle labbra, mentre Flaffy e Mikko le riposavano in grembo: da cosa mai dovessero rilassarsi i kwami non gli era dato sapere.
«Non dovevate darci una mano? Voi tre, intendo.»
Sarah si voltò verso Lila e Marinette, tornando poi a fissare il moro: «Sono stata educata alla vecchia maniera.» sentenziò sicura delle sue parole.
«Cosa?»
«Gli uomini lavorano e le donne stanno a casa.»
«Cosa?»
«L'avete voluto il sistema patriarcale?» s'intromise Lila, muovendo una mano per aria e poi battendola assieme all'altra: «Su, Rafael. Al lavoro! Vogliamo vedere quei muscoli in movimento. Forza! Forza!»
«Wei, puoi dirle qualcosa?»
Il cinese, Portatore del Miraculous della Tartaruga, poggiò i due pesi che aveva portato e osservò il resto del gruppo: «Lila. Lascia in pace Rafael.»
«D'accordo!» sbuffò Lila, ravviandosi indietro una ciocca castana e sorridendo gongolante a Rafael.
«Sai, vero, che non riceveremo alcun aiuto da loro?» dichiarò Adrien, scuotendo il capo e togliendosi la maglietta: «Marinette. Al volo.»
«Cosa?» la ragazza si voltò, afferrando il capo che le era stato lanciato e lo spiegò davanti al viso: «Co...» iniziò, abbassando la maglia e rimanendo pietrificata alla vista del petto nudo di Adrien: «Co-co-co...»
«Fa caldo!» si giustificò il biondo, facendole l'occhiolino: «E poi non è la prima volta che mi vedi senza niente addosso!»
«Adrien!»


Il tempo.
Che cosa strana.
Quando era a Parigi, le sue giornate erano piene e movimentate: si alzava la mattina e girava come una trottola, quando poi riusciva a fermarsi il sole stava già calando e lei rincasava da suo marito e suo figlio, chiedendosi come aveva fatto ad arrivare così velocemente la sera.
Da molti anni, invece, quel tempo che prima era così veloce, era diventato lento.
Inesorabile.
Secondi, minuti, ore, giorni, mesi, anni.
Tutto trascorreva spietatamente lento.
Quanto tempo era trascorso da quando era stata portata in quella cella? Anni, sicuramente.
Il rumore di passi nel corridoio, al di là della pesante porta di metallo, l'attirò: visite, a quanto pare. Si issò a sedere, portandosi una mano ai capelli e storcendo le labbra al groviglio che trovò al tatto: non si lavava da...quando era stato l'ultimo bagno? Qualche settimana fa, quando l'avevano letteralmente gettata di peso in una vasca di pietra, piena d'acqua.
All'aperto.
Sinceramente non le era dispiaciuto quel bagnetto, peccato che quel giorno ci fossero stati solo pochi gradi di temperatura.
Sospirò, ascoltando il rumore metallico delle chiavi, che aprivano la porta, e poi osservò le figure che entrarono nella sua cella: «Guten Tag.» esclamò la voce dell'ombra più piccola che, staccandosi dalle altre due, si avvicinò a lei: basso, molto in là con gli anni, con un baffetto grigio che sormontava il labbro superiore e lo sguardo scuro dalla luce pazza.
«Bonsoir, monsier Maus.» dichiarò la donna, sorridendo al suo carceriere e dando una veloce occhiata alle due guardie che aveva con sé: anche quel giorno era scortato da due gorilla, quasi fosse timoroso che lei potesse scappare alla prima occasione: «Qual buon vento la porta qui, nella mia umile dimora?»
Maus storse la bocca, assottigliando lo sguardo: «Tu avere sempre voglia di scherzare.» dichiarò nel suo francese stentato e con un forte accento tedesco nella pronuncia: «Ma io sapere come fare per togliere sorriso da tue labbra, ja.»
La donna accentuò il sorriso: «Sì, purtroppo conosco molto bene i suoi metodi. Cosa vuole?»
«Sapere dove essere Miraculous, ja.»
«A giro per il mondo?» mormorò lei, stringendosi nelle spalle e sbattendo le palpebre con fare civettuolo
«Dove essere tuo Miraculous.»
«Penso che a quest'ora il Gran Guardiano avrà già trovato un nuovo Portatore, quindi non è più mio.» dichiarò, osservando la bocca di Maus muoversi in preda a un tic nervoso: «In ogni caso, anche se sapessi dove sono, io non glielo direi mai: il Quantum è qualcosa di troppo potente e prezioso perché un piccolo riempiprovette come lei possa giocarci!»
«Io avere Quantum! E tu non potere fare niente!» dichiarò Maus, girando su se stesso con uno svolazzo del camice bianco e ordinando ai due scimmioni, che lo avevano accompagnato, di seguirlo; si fermò nell'antro della porta, osservandola: «Tu non uscire più da questo posto, Sophie Agreste. Mai più.»
Sophie Agreste osservò la porta chiudersi con un tonfo, rimase immobile alcuni minuti, aspettando un possibile ritorno del suo carceriere e, quando si fu assicurata che nessuno sarebbe tornato da lei, poggiò la testa contro la parete in pietra, socchiudendo gli occhi: «Ti prego, fa che i Miraculous siano al sicuro. Fa che quell'uomo non ci metta sopra le mani e attivi il Quantum.»


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