CAPITOLO TERZO

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Mentirei se dicessi che il primo giorno fosse volato: considerando il "disguido" iniziale con Paris Hilton, le corse da un lato all'altro dell'edificio in cerca dell'aula giusta, il conseguente ritardo concatenato a ciascuna lezione e infine, giusto per non sbagliare, l'enorme macchia di pomodoro che ormai si stava espandendo sulla mia nuova felpa, capirete bene che quello fu un primo giorno piuttosto pesante.

"Corri subito in lavanderia." mi incitò Federica. "Tampona un po' sulla macchia con un panno, vedrai che meraviglia."

"Oh no, no no no." una voce si intromise. "Sbagliatissimo. Bisogna sfregare con forza, non tamponare."

Ci voltammo immediatamente e, con nostra sorpresa, il consiglio di perfetta casalinga proveniva niente meno che da Andreas, con tanto di dimostrazione dettagliata del giusto movimento da assumere.

"Io comunque scherzavo quando avevo detto che assomigliava a Mastro Lindo." sussurrò Federica.

"Che c'è?" chiese il ragazzo, imbarazzato. "Nessuno ha mai guardato 'Malati di pulito'? Sono le basi proprio."

"Andreas, tesoro, hai per caso una crisi d'identità?"

La voce irritante di Ginevra si udì perfettamente, nonostante fosse seduta nell'altro tavolo, ovviamente in compagnia dei ragazzi. "E' Shady la lavandaia del gruppo." ammiccò.

"Io vi giuro che l'ammazzo." esordì Shady, mentre io e Federica la trattenevamo a forza.

***

Una volta tranquillizzata l'atmosfera, mi precipitai verso la lavanderia: ormai era diventata una questione personale, dovevo salvare la felpa.

Stavo correndo tra i corridoi alla ricerca della lavanderia, quando, all'improvviso, appena girato l'angolo, andai addosso al muro, cadendo di culo sulla moquette: giusto per terminare in bellezza la giornata.

"Tutto bene?" una voce si fece sentire.

Alzai lo sguardo: subito pensai che di certo qualcuno lassù doveva avercela avuta con me quel giorno perché non solo ero andata addosso ad una persona, ma si trattava proprio di quel ragazzo, Mike, che si stava trattenendo a forza dalle risate, oltretutto.

"Mica tanto." feci io, alzando gli occhi al cielo.

"Aspetta, ti aiuto."

"Non ce n'è bisogno, faccio da sola." risposi, alzandomi in piedi.

Ora che ci pensavo, mi sarei sicuramente accorta della sua presenza a cena, ma evidentemente l'aveva saltata. Chissà che doveva fare, pensai.

Ci fu qualche istante di silenzio in cui ci fissammo a vicenda, finchè io, curiosa come sempre, cominciai: "Che ci fai qui, da solo?"

"Potrei farti la stessa domanda." controbattè lui.

"Mi sono macchiata," ammisi, arrossendo. "Stavo cercando la lavanderia."

"Sei fortunata, ci stavo andando anche io." fece lui. "Seguimi."

Mentre proseguivamo, mi chiese come fosse andata la giornata e pretese una spiegazione per la macchia, tanto per infierire ancora di più.

Notai come avesse l'abitudine di guardarmi dritto negli occhi mentre parlavo, sia che dicessi una sciocchezza (il che capitava la maggior parte dei casi), sia che facessi un discorso sensato, tanto che dovetti distogliere il mio sguardo più volte, quasi come se incrociare i suoi occhi mi fosse difficile da sostenere, almeno non per più di dieci secondi.

Entrammo nella lavanderia: profumava di ammorbidente alla lavanda ed era completamente isolata, come temevo.

Cominciai a sfregare sulla macchia, memore di ciò che aveva detto Andreas 'Mastro Lindo' Muller.

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