Capitolo nono.

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Mi guardo allo specchio fissando insistentemente i segni violacei sul mio collo. Dopo tutti questi giorni, i marchi lasciati da Jimin, sono ancora ben visibili sulla mia pelle. Mi ricordano costantemente ciò che è successo e a causa di ciò il mio cervello si rifiuta categoricamente di andare avanti da quel giorno. Non è l'essere stato umiliato a farmi sentire così, ma il non riuscire ad odiarlo, nemmeno dopo tutto questo.
Accarezzo delicatamente quei lividi sfiorandoli con le dita e la mia mano trema compiendo quel gesto. Ancora non riesco a crederci. Sono già passate tre settimane, ventun giorni da quell'episodio. Esattamente cinquecentoventidue ore da quando Jimin se n'è andato e io mi sento così maledettamente, irrimediabilmente patetico a starle davvero contando.


◊ ◊ ◊


Mi sento stanchissimo. Appena suona la campanella che annuncia l'inizio dell'intervallo, mi lascio scivolare sul banco fino a ritrovarmi con la testa poggiata su di esso. Sono completamente solo in classe, tutti gli altri studenti sono in cortile, per i corridoi o in mensa con i propri amici a ridere, parlare e mangiare insieme, mentre io sto qui da solo.
Chiudo gli occhi godendomi quel silenzio e cercando un po' di pace. Sto per addormentarmi quando qualcuno chiede: "Problemi in paradiso?"
Riconosco la voce come quella di Kim Taehyung e, riaprendo lentamente gli occhi, lo ritrovo appoggiato contro lo stipite della porta. Mi osserva incuriosito e noto che non ha la solita espressione da stronzo stampata sul viso, anzi, sembra tranquillo e anche vagamente pacifico. Sa perfettamente di aver vinto contro di me, adesso Jimin è tutto suo perciò non deve più preoccuparsi di avermi tra i piedi.
Eppure i suoi amichetti non perdono occasione di mettermi le mani addosso, proprio com'è successo nelle precedenti tre settimane e anche questa stessa mattina in cortile. La solfa di un po' di giorni fa si ripete quotidianamente con quei quattro ragazzi: testa rosa, il biondo ossigenato e gli altri due di cui non ricordo nemmeno la fisionomia.
"Che vuoi?" sbotto e poi sbadiglio non preoccupandomi di portare una mano davanti alla bocca.
Taehyung entra nell'aula richiudendosi la porta alle spalle. Afferra una sedia a caso e, facendola strisciare rumorosamente sul pavimento, la trascina fino a posizionarla davanti a me. Si siede a cavalcioni poggiando poi le braccia incrociate sullo schienale davanti a lui.
"Non pensavo ti saresti arreso così facilmente" confessa lui mentre io lo guardo dal basso, non avendo nessuna intenzione di alzare la testa dal banco. Taehyung indica i segni sul mio collo e ghigna. "Ti piacciono queste cose, eh? Hai già trovato qualcun altro con cui spassartela?"
Alzo la testa solo per voltarmi dall'altra parte e non vedere più la sua brutta faccia. Ne ho abbastanza di lui, delle sue parole e del suo essere così lunatico.
"Sul serio... Kim Taehyung, lasciami in pace. Non ho voglia di riprendere la scazzottata dell'altra volta."
Lui ride e prende a darmi dei colpetti sulla testa. Colpetti che, seppur stranamente delicati, rifiuto all'istante allontanando la sua mano con un gesto della mia.
"E adesso cosa succederà?" mi chiede e la sua voce diventa man mano più bassa quanto inquietante.
"Non ti sembra di avermene fatte passare abbastanza?" Mi volto nuovamente verso di lui e lo guardo negli occhi, cercando di leggerci dentro qualsiasi cosa ma mi è impossibile. "Vuoi uccidermi?" chiedo sarcasticamente restituendogli il ghigno regalatomi da lui poco prima.
"Io non farò proprio nulla, così come i miei amici o chiunque altro."
Prendo consapevolezza di quelle parole e nel farlo quasi mi sembra di perdere un battito, anche se esternamente rimango tranquillo e impassibile. La sua affermazione mi turba ma non riesco a trovarne la ragione. Una sua risposta affermativa alla quella mia domanda sarebbe stata di certo più confortante.
Brutto bastardo che non è altro... Avevo imparato a conoscerlo nel periodo in cui passavo il mio tempo con lui e Jimin -lo hyung aveva provato anche a farmi entrare nella sua cerchia di amici ma con Taehyung sempre presente era stato inutile. Sapevo perfettamente che era stronzo ma non addirittura così fottutamente abietto.
Sto per rispondergli a tono ma il cellulare prende a vibrare nella mia tasca e così lo recupero, dimenticandomi del ragazzo accanto a me e della sua frase apparentemente innocente. Fisso gli occhi sul display non riconoscendo però il numero che mi sta chiamando. Mi alzo dal mio posto, faccio per lasciare l'aula e Taehyung mi richiama almeno tre volte prima che io arrivi alla porta. Ma tutto ciò che faccio e ignorarlo e, appena sono fuori, m'incammino per il corridoio.
I ragazzi intorno a me mi guardano di sottecchi -fingono di non star fissando gli ematomi che da tre settimane campeggiano sul mio collo- bisbigliano tra loro, m'indicano discretamente e io faccio finta di non accorgermene. Da quando Taehyung ha sganciato la bomba, io non sono più invisibile. Esattamente come prima nessuno mi parla -non che sia un problema per me, anzi- però ora mi sento costantemente sotto i riflettori e infatti, metaforicamente, lo sono. Prima ero l'asociale che si azzuffava sempre con Taehyung e i suoi tirapiedi, adesso invece sono Jeon Jeongguk, il ragazzo che vuole scoparsi il suo amico, quello che lo scarrozza da casa a scuola e viceversa.
Accade però che mi fermo di riflesso appena una ragazza, sicuramente del primo anno, sussurra la parola 'gay' all'amica accanto a lei. Sussurra per modo di dire, dal momento che anche altri ragazzi si voltano a guardarla e l'amica per poco non le stampa la sua mano sulla bocca per farla star zitta. Ma per sua sfortuna ormai il danno è fatto: tutti l'hanno sentita, me compreso, e la figuraccia insieme al suo conseguente imbarazzo è irreversibile.
Io però non le presto particolare attenzione, decido di lasciar perdere. Dopotutto, arrivato a questo punto, sarebbe davvero stupido e meschino da parte mia prendermela con una ragazzina. Tutti questi stupidi idioti che mi circondano ogni giorno vogliono pestarmi e sparlare di me? Bene. Vogliono darmi del gay? Perfetto. Come se dare dell'omosessuale ad una persona fosse un insulto poi... Che facciano quel che vogliono con me. Tanto non m'importa più nulla e peggio di così non può certo andare.
Riprendo a camminare cacciandomi una mano in tasca e continuando a fissare il numero sul display del mio cellulare. Più avanti in corridoio trovo un angolino sgombro di gente e, affacciandomi alla finestra, accetto la chiamata.
"Pronto?" dico portandomi il cellulare all'orecchio.
"Ehilà, Jungkookie!"
Sbarro gli occhi e per attimi interminabili rimango in silenzio a fissare il nulla davanti a me. Riconosco all'istante quella voce. E' diventata leggermente più bassa e profonda ma è sempre la stessa. Pensavo che non l'avrei mai più sentita. Molti anni prima mi ero arreso a quella convinzione e invece adesso eccola, dall'altra parte dell'apparecchio che stringo in mano.
" Yoongi hyung...?"

Save me {jikook}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora